Nonostante rovesci e umiliazioni sul campo, il presidente russo non ha cambiato gli uomini che conducono l’invasione russa dell’Ucraina: un piccolo gruppo di vecchi amici, ufficiali leali e intraprendenti outsider in costante lotta per il suo favore
Non è facile farsi un’idea di chi sta conducendo la guerra di Putin in Ucraina. Tra cambi ai vertici, morti in combattimento e la presenza di figure ambigue dall’influenza poco chiara, gli alti comandi russi sembrano avvolti nel caos tanto quanto le truppe impegnate sul campo.
Ma sotto la superficie del caos apparente, Putin ha mantenuto al loro posto tutti gli uomini chiave che fin dall’inizio hanno condotto il conflitto, perdonando loro disfatte, sconfitte e umiliazioni. Si tratta di un gruppo eterogeneo di personaggi, militari, alleati politici di vecchia data e intraprendenti outsider. Alcuni influenti, altri dotati più di ambizione che di vero potere, mentre altri ancora sono intenti più che altro a sopravvivere. A unirli c’è soprattutto la costante lotta per restare nelle grazie del presidente. Il motivo ultimo per cui, nonostante i disastri al fronte, sono tutti rimasti al loro posto.
Sergei Shoigu
Tra i signori della guerra russi, il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu non è soltanto il più alto in grado, ma è anche il più vicino a Putin. E anche se si mostra quasi sempre in divisa, non è un militare di carriera. Originario della siberia, suo padre era parte di una delle minoranze turcofone che vivono nella Russia orientale, Shoigu è un ingegnere civile diventato popolare per aver guidato il ministero delle Emergenze, l’equivalente russo della protezione civile (un corpo militarizzato e il motivo per cui Shoigu ricopre il rango di generale d’armata).
Dirigente politico carismatico, abile e leale, è stato tra i fondatori di Russia unita, il partito che negli anni si è trasformato nella macchina per la gestione del consenso del regime. Senza precedenti esperienze militari, diviene ministro della Giustizia nel 2012, in sostituzione di Anatoly Serdyukov, diventato estremamente impopolare tra gli ufficiali per via delle sue ambiziose riforme.
Il compito di Shoigu è stato quello di tranquillizzare i militari, rallentare alcune delle più controverse riforme del suo predecessore e dare alle forze armate un ruolo sempre più rilevante nella società russa.
Shoigu non si occupa direttamente delle operazioni militari in Ucraina e, secondo la maggior parte degli osservatori, non ha avuto alcun ruolo nella pianificazione del fallimentare attacco iniziale del 24 febbraio, che avrebbe dovuto portare alla conquista del paese in un paio di settimane.
Ma nonostante questo, è diventato uno dei principali capri espiatori per gli insuccessi militari delle forze armate russe. Se criticare Putin è off limits, c’è ampio spazio invece per prendersela con Shoigu. Un motivo, non secondario probabilmente, del perché Putin lo tiene ancora al suo fianco.
Valery Gerasimov
Per il 67enne Valery Gerasimov, capo di stato maggiore delle forze armate russe da bene undici anni, gli osservatori internazionali si aspettavano più un annuncio della pensione che la nomina a comandante in capo delle operazioni militari in ucraina. Scelta doppiamente inusuale non solo per l’età, ma anche perché è un caso quasi unico nella storia militare quello di un capo di stato maggiore a cui viene assegnato un incarico operativo sul campo.
Nato nel 1955 a Kazan, in una regione turcofona della Russia, Gerasimov è considerato un ufficiale competente e pragmatico, anche se non particolarmente brillante. Anche se sotto il suo comando le forze armate russe hanno compiuto numerosi crimini di guerra, Gerasimov ha ricevuto apprezzamenti dalla giornalista Anna Politkovskaja per il suo ruolo nell’arresto di un militare russo accusato di rapimento e omicidio mentre prestava servizio in Cecenia.
Capo di stato maggiore dell’esercito, cioè militare di più alto grado di tutte le forze armate, Gerasimov è l’inseparabile doppio di Shoigu, con il quale lavora a stretto contatto da oltre un decennio. A Gerasimov viene spesso attribuita l’invenzione della “dottrina Gerasimov”, un metodo di guerra ibrida non dichiarata che sarebbe stato perfezionato durante la prima invasione dell’Ucraina nel 2014. L’esperto russo che ha inventato il termine, il britannico Mark Galeotti, ha rinnegato l’utilizzo fatto successivamente del termine. Galeotti, insieme a gran parte degli esperti russi, non ritiene che Gerasimov sia un rivoluzionario o inventore di nuove dottrine. Quanto più un buon manager che non ha tanti grilli per la testa.
Sergey Surovikin
Il generale Sergey Surovikin è ritenuto da gran parte degli osservatori uno dei più capaci comandanti russi in Ucraina. Originario di Novosibirsk, Surovikin è un militare di carriera che ha fatto la gavetta partendo dal basso.
Ha combattuto in Afghanistan, in Tajikistan e ha servito per un anno in Cecenia. Comandante delle forze aerospaziali dal 2017, ha guidato il corpo di spedizione russe in Siria, a cui viene attribuito il merito di aver salvato il regime di Bashar al Assad. Nell’operazione, Surovikin sono stati accusati di condotto bombardamenti indiscriminati sui civili. Surovikin è conosciuto anche per la sua brutalità nei confronti dei subordinati. Nel 2004 avrebbe picchiato un suo ufficiale e pochi mesi dopo un altro si sarebbe suicidato di fronte a lui a causa delle umiliazioni subite.
All’inizio dell’invasione dell’Ucraina, Surovikin comandava il fronte sud, uno di quelli che hanno ottenuto i maggiori successi. La sua nomina a comandante in capo delle forze in Ucraina è arrivata lo scorso ottobre, in un momento particolarmente difficile per le forze russe, battute a Kharkiv e a rischio di doversi ritirare da Kherson. Come ampiamente previsto, uno dei suoi primi compiti è stato prendersi la responsabilità di chiedere ufficialmente a Putin e Shoigu il permesso di abbandonare la città.
Surovikin è considerato un eroe dagli oppositori di Shoigu e Gerasimov, ma personalmente non ha mai dato segno di avere ambizioni politiche o di volersi inimicare i suoi superiori. A gennaio, poco dopo aver ricevuto una decorazione da Putin, è stato sostituito alla guida delle operazioni da Gerasimov e ora deve accontentarsi del ruolo di vicecomandante, che condivide con altri due generali.
Circolano molte ipotesi sulle ragioni di questa decisione. Una delle più quotate e che, almeno in parte, si tratti di una manovra degli attuali alti comandi per togliere visibilità a un loro possibile e popolare rivale.
Evgenj Prigozhin
Il finanziatore del gruppo paramilitare semi-privato Wagner Evgenj Prigozhin è una delle figure dell’entourage militare che hanno attirato le maggiori attenzioni in occidente, anche per via della sua vita rocambolesca.
Nato a San Pietroburgo nel 1961, condannato per una serie di piccoli reati durante l’Unione sovietica, negli anni Novanta si arricchisce in maniera tuttora piuttosto misteriosa. Grazie al suo impero commerciale nei servizi di catering entra in contatto con il regime, di cui di viene il fornitore principale in occasione di banchetti e altri eventi di stato (di qui il suo soprannome “chef di Putin”).
Negli anni successivi, Prigozhin si specializza nel fornire al regime ciò di cui Putin ha bisogno, ma che il regime non può fare apertamente, che si tratti di “fattorie di troll” (dalla dubbia utilità) per influenzare il dibattito pubblico di altri paesi o compagnie militari da impiegare dove non è possibile utilizzare soldati russi.
Tra i signori della guerra russi, Prigozhin è di certo quello che si agita di più per attirare l’attenzione di Putin. È infatti un completo outsider della cerchia ristretta: non è né un vecchio compagno di partito come Shoigu, né un tecnocrate militare come Gerasimov o Surovikin, personaggi che disprezza e che critica sempre più violentemente. «Tutti quei bastardi dovrebbero essere mandati al fronte a piedi nudi e armati soltanto di fucile», ha detto lo scorso ottobre.
Anche se resta un attore di secondo piano, la sua visibilità e in parte anche la sua influenza sono cresciute dall’inizio del conflitto in Ucraina. Secondo le principali stime, il gruppo Wagner avrebbe tra i 20 e i 50mila soldati in Ucraina, in parte ex carcerati reclutati in cambio di una remissione della pena.
Le sue truppe operano in modo piuttosto indipendente dalla catena di comando e dallo scorso agosto sono impegnate nella sanguinosa battaglia di Bakhmut, un’operazione strategicamente non particolarmente importante, ma su cui Prigozhin ha scommesso molto.
Ramzan Kadyrov
Il presidente della Cecenia è ritenuto tra i più leali sostenitori di Putin, a cui deve gran parte del potere semi-assoluto che esercita nella repubblica autonoma che guida dal 2007.
Figlio di un leader ribelle passato con la Russia durante l’ultima guerra civile, Kadyrov è un personaggio eccessivo e sopra le righe, famoso per le bombastiche dichiarazioni sui social e le pose da macho.
La sua è una figura per certi versi simile a quella di Prigozhin. Non fa parte della cerchia ristretta di Putin, né dell’apparato tecnocratico di stato. Ma la sua relazione con il presidente russo è di vecchia data e la sua base di potere in Cecenia è molto più solida dell’effimera Wagner. Anche Kadyrov critica spesso gli alti comandi dell’esercito russo. Ma se Prigozhin sottolinea spesso di essere d’accordo e di sostenere il leader ceceno, non risulta che Kadyrov abbia mai riservato le stesse attenzioni per lo “chef”.
A parte i continui post su Telegram e agli appelli che continua a fare per un’ulteriore escalation del conflitto, il contributo di Kadyrov allo sforzo bellico è importante, ma sostanzialmente secondario. Secondo le stime del think tank britannico Rusi, Kadyrov avrebbe circa 4.500 soldati in Ucraina. Inquadrate nella Rosvgardia, la guardia nazionale russa, queste truppe hanno svolto un ruolo di prima linea nell’assedio di Mariupol, ma in gran parte sono armate alla leggere e sono pensate per un utilizzo in seconda linea.
Secondo gli esperti, i ceceni operano tuttora con grande indipendenza in Ucraina e gli ordini che gli arrivano dagli alti comandi vengono eseguiti soltanto dopo aver ricevuto l’assenso di Kadyrov stesso.
I milblogger
Nell’ultimo anno ha acquistato sempre più influenza un gruppo di attivisti di estrema destra che utilizzano Telegram per diffondere informazioni sul conflitto spesso molto dettagliate. Chiamati collettivamente “milblogger”, alcuni sono figure note, come l’ex spia e leader separatista del Donbass Igor Girkin, altri sono anonimi, come Rybar, il cui account è seguito da oltre un milione di persone, tra cui moltissimi analisti europei e americani (qui trovata la traduzione in inglese su Twitter).
I milblogger sono in genere giornalisti, ex militari o funzionari di governo. Hanno spesso accesso al fronte e a informazioni normalmente off limits per i giornalisti. Sono tutti favorevoli al conflitto, spesso sono fortemente anti-ucraini e anti-occidentali. Sono anche estremamente critici nei confronti del ministero della Difesa e della maggior parte degli alti ranghi delle forze armate, che attaccano per la loro incompetenza, per i loro errori e per la tendenza a incolpare i semplici soldati delle disfatte. Anche per queste ragioni. Molti di loro esprimono posizioni simili a quelle di Prigozhin, mentre altri sono direttamente legati al gruppo Wagner. Surovikin, con i suoi metodi brutale e la sua capacità di organizzazione, è uno dei loro idoli, mentre quasi tutti disprezzano Shoigu e Gerasimov.
Gli osservatori hanno notato con interesse come a questi milblogger sia stata concessa un’elevata libertà di critica da parte del Cremlino (anche se nei mesi passati c’è stato qualche arresto che ha ricordato a tutti di non spingersi oltre certi limiti). Grazie alla loro presenza, il governo russo ha ottenuto uno spazio in cui il conflitto viene raccontato in modo più diretto e realistico rispetto ai media ufficiali, che non si discostano dalla versione del ministero della Difesa. Ma questo racconto viene fatto da attori che non sostengono apertamente il conflitto.
Fin dove a questi personaggi sarà consentito di spingersi e quale influenza esercitano sulla conduzione del conflitto resta da vedere. La nomina di Surovikin lo scorso ottobre e l’inizio della massiccia campagna di bombardamenti aerei sull’Ucraina sono entrambi richieste che i milblogger avevano avanzato per mesi.
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