- Unite nell’utopia rivoluzionaria, Francia e Stati Uniti sono state tradizionalmente distanti nella concezione della cittadinanza: una religione civile di assoluta eguaglianza nel primo caso; una religione civile di attenzione alle differenze nel secondo.
- In entrambe le repubbliche i cittadini che fanno parte di minoranze razziali sono e si sentono discriminati. Ma il problema viene negato; non può esistere, perché la legge dice che non deve esistere.
- L’imparzialità per legge è una pellicola troppo sottile per neutralizzare le diseguaglianze sociali; alimenta semmai rabbia razziale e odio di classe.
Unite nell’utopia rivoluzionaria, Francia e Stati Uniti sono state tradizionalmente distanti nella concezione della cittadinanza: una religione civile di assoluta eguaglianza nel primo caso; una religione civile di attenzione alle differenze nel secondo. La triade “libertà, eguaglianza, fraternità” respinge politiche di “azione affermativa” verso etnie svantaggiate. Molto diversa la logica dei liberal americani, ben rappresentata dal presidente Lindon B. Johnson (e ora da Joe Biden): «Non si può prendere una persona che, per anni, è stata bloccata da catene, liberarla, portarla sulla linea di partenza di una gara e poi dirle: “Sei libero di competere con tutti gli altri”, e credere ancora giustamente di essere stati completamente corretti».
A questa idea gli Stati Uniti hanno ancorato per decenni la teoria della giustizia e le politiche federali. Ma le cose stanno cambiando e la distanza tra le due repubbliche si accorcia. La Francia ha il suo George Floyd (il ragazzo nero ucciso dalla polizia di Minneapolis due anni fa senza un motivo evidente), e i giudici statunitensi propongono il modello francese di cittadinanza senza colore (color blind) nella recente decisione della Corte Suprema di cancellare la legittimità dell’affermative action nell’ammissione degli studenti alle università. I giudici ripetono quel che le autorità francesi dicono giustificando l’uccisione di Nahel Merzouk, francese di origini nord africane: la legge è uguale per tutti, senza pregiudizio.
In entrambe le repubbliche i cittadini che fanno parte di minoranze razziali sono e si sentono discriminati. Ma il problema viene negato; non può esistere, perché la legge dice che non deve esistere. Molti afro-americani e molti francesi nordafricani hanno negli anni lottato per trovare “silenziosamente” il loro posto nelle rispettive società. E la “promessa repubblicana" di integrazione ha funzionato fino a quando l’affermative action” (USA) e le politiche sociali (Francia) sono state capaci di far ottenere a molti un'istruzione superiore e un lavoro migliore. Politiche attente, a modo loro, alle condizioni ambientali.
Ma l’ideologia del “merito cieco” erode alla radice questi programmi di integrazione. Le differenze razziali non contano, ha dichiarato il responsabile della polizia francese rispondendo alle critiche; le condizioni di vita degli afro-americani non devono contare nell’ammissione all’università, ha decretato la Corte Suprema. Il fatto è che la «legge uguale per tutti», ha scritto la giudice di minoranza nella decisione della Corte, è «una regola superficiale di daltonismo in una società endemicamente segregata dove la razza ha sempre contato e continua a contare». L’imparzialità per legge è una pellicola troppo sottile per neutralizzare le diseguaglianze sociali; alimenta semmai rabbia razziale e odio di classe.
© Riproduzione riservata