- Twitter ha sospeso in maniera permanente gli account di alcuni giornalisti che di recente si sono occupati del proprietario della piattaforma, Elon Musk, suscitando la giustificata indignazione del mondo dei media e delle istituzioni.
- L’uomo che si presenta come il paladino globale della libertà di parola sembra sempre più interessato a marginalizzare le opinioni che non gli piacciono e a valorizzare quelle gradite, giustificando a posteriori le sue preferenze con linee guida interpretate alla bisogna. E’ esattamente quello che la piattaforma faceva anche prima.
- Bari Weiss, una delle giornaliste a cui Musk ha affidato le prove dei pregiudizi politici del vecchio Twitter, ha notato che il magnate sta riproponendo a stessa logica che dominava prima di lui, anche se con segno politico diverso.
Twitter ha sospeso in maniera permanente gli account di alcuni giornalisti che di recente si sono occupati del proprietario della piattaforma, Elon Musk, suscitando la giustificata indignazione del mondo dei media e delle istituzioni, compresa la Commissione europea, che attraverso la commissaria Vera Jurova ha espresso preoccupazione per la decisione arbitraria e minacciato sanzioni all’azienda di Musk.
Fra i giornalisti cacciati dalla piattaforma di sono Ryan Mac del New York Times, Donie O’Sullivan della Cnn, Drew Harwell del Washington Post, Matt Binder di Mashable, Micah Lee di Intercept, Steve Herman di Voice of America e i giornalisti indipendenti Aaron Rupar, Keith Olbermann e Tony Webster.
A detta di Musk sono tutti colpevoli di doxxing, cioè di avere rivelato la geolocalizzazione del miliardario, cosa che viola la politica di Twitter che Musk sta modificando, a suo dire, in senso libertario, dopo aver dissolto il comitato per la sicurezza del social.
Negli ultimi tempi il proprietario di Twitter ha parlato e twittato spesso della questione del doxxing, arrivando a stabilire il principio per cui la condivisione di informazioni sulla posizione di qualcuno è potenzialmente pericolosa per la sua incolumità, e perciò vietata da Twitter, quando avviene in tempo reale, mentre è tollerata se avviene in differita.
Sulla base di questa distinzione Musk ha fatto ad esempio sospendere un account che traccia gli spostamenti di jet privati, compreso il suo, ha parlato di «coordinate per un omicidio» e ha scritto che «le stesse regole sul doxxing si applicano ai “giornalisti” come a tutti gli altri».
In una conversazione pubblica con uno dei cronisti coinvolti ha ribadito il punto: «Se fai doxxing vieni sospeso. Fine della storia. Questo è quanto».
Controllo arbitrario
Alcuni dei media coinvolti, ad esempio la Cnn, negano che i loro giornalisti abbiano violato la policy: anche accettando il principio stabilito da Musk, ritengono che le sue accuse siano infondate e perciò ritengono la sospensione ingiustificata.
Ma questa è soltanto la superficie del problema. Più in profondità, la questione riguarda il controllo arbitrario esercitato dall’uomo che si presenta come il paladino globale della libertà di parola, mentre ogni giorno che passa sembra sempre più interessato a bandire, nascondere o marginalizzare le opinioni che non gli piacciono e a valorizzare quelle gradite, giustificando a posteriori le sue preferenze con linee guida della piattaforma modificate alla bisogna.
I critici di Musk dicono che non ama davvero la libertà di parola come dice, ma più semplicemente porta avanti sue battaglie ideologico-politiche e affaristiche strumentalizzando brutalmente la nozione di free speech.
Dopo il bando imposto ai giornalisti senza avvertimenti né discussioni preliminari l’intero dibattito è sopraffatto dalla rabbia per la censura imposta dall’eroe anti censura, ma l’emozione del momento rischia di oscurare un fatto elementare: Musk sta semplicemente facendo quello che Twitter ha sempre fatto.
Lo sta facendo per scopi e con orientamenti politici in contrasto rispetto a quelli promossi dal management precedente – con l’effetto ad esempio di far imbufalire chi esultava per la sospensione di Donald Trump, revocata da Musk – ma l’operazione nella sostanza non è diversa: si tratta di stabilire regole funzionali ai propri obiettivi e poi interpretarle in modo creativo quando i casi particolari lo richiedono.
La regola contro il doxxing (anzi, un certo tipo di doxxing) per mettere il silenziatore a certi giornalisti che lo criticano è un caso di scuola. Ma il fatto è che questa scuola ha una lunga tradizione nell’azienda, e ora lo sappiamo in modo più documentato grazie alle rivelazioni di – rullo di tamburi – Elon Musk.
Vecchio e nuovo
Com’è noto, Musk ha consegnato a due giornalisti – Matt Taibbi e Bari Weiss – i cosiddetti Twitter Files, una gran mole di email e messaggi scambiati negli anni fra i manager di Twitter e altri soggetti che sono particolarmente interessanti proprio quando devono affrontare le decisioni su sospensioni o bandi più o meno esplicitati.
Nelle comunicazioni emergono chiaramente le pressioni, sia all’interno dell’azienda che dall’esterno, per oscurare certi contenuti e promuoverne altri sulla base delle preferenze politiche dei gestori della piattaforma, ma curandosi attentamente di far quadrare i desideri particolari con le regole generali della piattaforma, in modo che all’esterno le decisioni apparissero come ispirate da principi che valgono per tutti, senza distinzioni.
Ci sono casi in cui i funzionari di Twitter fanno complicatissime piroette legalistiche per arrivare a stabilire che un certo tweet viola qualche regola della piattaforma, ma è evidente che l’intento è colpire l’autore, non il messaggio.
È il caso ad esempio di Trump, che è stato bandito per incitamento alla violenza dopo un tweet che era ambiguo e meritevole di una valutazione, ma era certamente meno diretto di quello in cui l’ayatollah Khamenei promette la distruzione del «tumore maligno» Israele. Il tweet della Guida suprema dell’Iran non è stato rimosso.
Altre comunicazioni testimoniano procedure più sofisticate per nascondere nelle pieghe dell’algoritmo utenti sgraditi, senza sospenderli, e altre ancora mostrano funzionari perfettamente coscienti delle reali motivazioni delle decisioni dell’azienda e alacremente impegnati per trovare giustificazioni credibili per il pubblico.
Insomma, è tutto molto simile a Musk che caccia da Twitter i giornalisti che lo infastidiscono, e non è difficile immaginare un futuro in cui un nuovo proprietario di Twitter pubblicherà i Twitter Files dell’era Musk per mostrare pregiudizi e intenti malevoli o faziosi nascosti dietro decisioni prese nel nome della libertà di espressione.
Il potere resta
Bari Weiss, giornalista a cui Musk ha dato i Twitter Files e che ha invitato a passare una settimana nel quartier generale dell’azienda, ha afferrato la dinamica e l’ha raccontata nel suo giornale di recentissima fondazione, The Free Press, probabilmente deludendo un po’ il magnate, che si aspettava forse una glorificazione senza punti di domanda.
Weiss ha notato che Musk stesso rischia di riproporre – anzi, sta già riproponendo – la stessa logica che dominava prima di lui, anche se con segno politico diverso.
«Il vecchio Twitter era guidato dalla morale e dai costumi di un gruppo. Ora è guidato dalla morale e dai costumi di un uomo», ha scritto Weiss, che ha aggiunto un avvertimento inquietante: «Quello che mi sono portata a casa dalla mia settimana a Twitter è che è una questione di potere».
Un giorno dopo la pubblicazione di queste parole, Musk ha iniziato a silenziare i giornalisti che non gli piacciono, così come i suoi predecessori silenziavano quelli che non piacevano a loro. I proprietari di Twitter cambiano, il potere resta.
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