Il paese, che è afflitto da corruzione sistemica e disoccupazione, andrà alle urne il 29 maggio. Per la prima volta i il partito che ha messo fine all’apartheid potrebbe non vincere le elezioni
Blackout, omicidi, corruzione sistemica e il più alto tasso al mondo di disoccupazione e diseguaglianza economica affaticano il voto del 29 maggio, in cui il partito che ha posto fine all’apartheid rischia di perdere la maggioranza dopo 30 anni di egemonia, sotto i colpi di un suo ex presidente rancoroso con il suo successore.
Il 29 maggio i sudafricani voteranno per il rinnovo dell’Assemblea nazionale, che una volta insediata eleggerà tra i suoi membri il nuovo capo di stato e di governo. La nazione arcobaleno combina infatti un presidente della Repubblica a capo del governo con un sistema parlamentare (e proporzionale). Per la prima volta in trent’anni non è certo che la maggioranza vada all’African National Congress, il partito che sotto la guida di Nelson Mandela ha posto fine all’apartheid.
La situazione del paese
Nel 1994 l’Anc aveva vinto le elezioni con lo slogan “Una vita migliore per tutti”. Coi più alti tassi al mondo di disoccupazione e diseguaglianza economica, in Sudafrica qualcosa deve essere andato storto. La percentuale di omicidi ogni 100mila abitanti è 87 volte superiore a quella italiana, il 60 per cento della forza lavoro è inattiva o disoccupata, e nel 2022 l’1 per cento più ricco della popolazione deteneva il 54 per cento della ricchezza nazionale. Le istituzioni sono piagate da corruzione sistemica.
Coi suoi otto milioni di residenti tra i 25 e i 39 anni che faticano a trovare lavoro, il Sudafrica è pure in pieno youth bulge, quell’espansione della fascia giovanile della piramide demografica che ha portato a molti dei 35 tentativi di golpe e dei conflitti civili che hanno funestato l’Africa nell’ultima decade. Da oltre un decennio dei blackout programmati a rotazione fanno mancare l’acqua e perdere fino a 50 milioni di dollari al giorno di diminuita produzione, non risparmiando scuole e ospedali. L’allora ceo della compagnia elettrica statale nel dicembre del 2022 ha visto premiare i suoi sforzi di risanamento dell’azienda con un caffè a base di zucchero e cianuro. Secondo uno studio pubblicato da Afrobarometer nel giugno del 2023, il 72 per cento dei sudafricani rinuncerebbe alla democrazia in cambio di un leader autoritario.
L’Anc e l’opposizione
Al pari di molte altre giovani democrazie, il Sudafrica è stato sin qui caratterizzato da un sistema a partito egemone. Ramaphosa, leader dell’Anc e presidente uscente del Sudafrica, non è riuscito a far nascere la “nuova aurora”, ma l’Anc a oggi gode ancora del 44 per cento dei consensi, secondo la media dei sondaggi elaborata dall’Economist.
La principale forza di opposizione del paese è invece la Democratic Alliance, il cui zoccolo duro rimane però troppo confinato tra i bianchi (il 7 per cento della popolazione) per poter dare corpo alla sua vocazione maggioritaria.
Un nemico-amico dell’Anc, che potrebbe fungere da stampella dopo il voto, è invece Julius Malema, il controverso capo della sinistra radicale, che è un interprete perfetto della disillusione della “Born Free Generation” che rinnega l’operato di “Madiba” come un inganno che ha mantenuto i neri in posizione subalterna anche dopo la fine dell’apartheid.
L’anima rivoluzionaria
Per di più qualche mese fa è nato un raggruppamento politico che si definisce come un “vero movimento di liberazione” e ambisce ad accreditarsi come l’erede autentico dell’anima rivoluzionaria dell’Anc.
Si tratta di uMkhonto we Sizwe (Mk), che segnatamente ha scelto per sé lo stesso nome della formazione paramilitare fondata da Mandela nel 1961 per contrastare l’apartheid. Dopo una lunga battaglia legale la Corte costituzionale ha confermato l’incandidabilità del leader di Mk, Jacob Zuma, all’Assemblea nazionale, per via di una sua condanna per oltraggio alla corte. Zuma in ogni caso non sarebbe potuto assurgere al vertice dello stato in questa tornata, essendolo già stato – sotto le insegne dell’Anc – il massimo numero di volte consentito dalla Costituzione, dal 2009 al 2018.
Allora, per volere del suo vice e neopresidente dell’Anc Ramaphosa, fu costretto a dimettersi per accuse di mercimonio dei pubblici uffici a favore della famiglia Gupta e addebiti di corruzione, per mano del Gruppo Thales.
Adesso Zuma sta facendo campagna per azzoppare la riconferma di Ramaphosa alla massima carica dello stato e far valere i voti ottenuti alle urne da Mk per condizionare la successione a Ramaphosa in seno all’Anc.
ÈmortoDesmondTutuIl ritorno
La fine dell’autosufficienza del partito di Mandela accrescerà l’instabilità del sistema (privo di elementi stabilizzatori per le coalizioni di governo), ledendo la sua capacità di affrontare i problemi. Gli esperimenti coalizionali locali si sono rivelati rissosi e fallimentari.
Ramaphosa, per rimanere presidente, potrà mercanteggiare posti di sottogoverno con i partiti più piccoli od optare per un governo di larghe intese. Una volta Zuma disse che l’African National Congress avrebbe governato fino all’avvento sulla Terra di Gesù Cristo. Ma per il momento è la seconda venuta di Zuma a impensierire l’Anc. Il 29 maggio si vedrà se sarà lui a tornare.
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