Era l’ultima roccaforte su cui poteva contare l’Ue, dopo il disimpegno della Francia. Ma le strategie sbagliate nel Sahel hanno creato le condizioni per ulteriori pericoli
Il colpo di Stato militare in Niger avrà un impatto non soltanto all’interno del paese, ma anche sulla politica estera europea e dei suoi stati membri, ergo la Francia, nel Sahel.
Dal 2021, l’Europa ha impostato parte della politica estera con i governi locali a seconda delle relazioni che questi avevano con gli attori esterni, ovvero la Russia. La guerra in Ucraina non ha fatto altro che acuire questa tendenza.
Un problema per l’Europa
Il caso del Niger potrebbe dimostrare che questo approccio è problematico per due motivi: da una parte, come ha scritto Mario Giro su questo giornale, la democrazia è in crisi non solo nel Sahel, ma anche in tutto il continente.
Dall’altro, tutti i paesi della regione rivendicano la propria sovranità nazionale e la volontà di diversificare i propri alleati, rifiutando qualsiasi tipo di interferenza esterna nella propria governance. Compreso il Niger che, fino alla destituzione del presidente Bazoum, era un governo alleato di Parigi e di Bruxelles. Potrebbe rimanere tale, anche se tra le prime parole pronunciate dai putshisti nigerini c’è stata la “richiesta di non-interferenza degli attori esterni”.
Questa possibilità non è priva di conseguenze per l’Unione europea che dal 2011 considera il Sahel come una regione “strategica” per via della sua prossimità geografica e in quanto “ponte” tra il nord Africa e l’Africa sub-sahariana.
Ma anche, e soprattutto, perché, dopo la caduta del leader libico Gheddafi, la regione è diventata una sorta di polveriera a cielo aperto.
Fuori dalla realtà
Secondo l’Indice globale sul terrorismo 2022, tra il 2007 e il 2021, il numero di morti legate al terrorismo è raddoppiato. Nel 2021, tale numero rappresentava il 35 per cento del totale delle vittime di terrorismo nel mondo. Nel 2007, queste morti nel Sahel rappresentavano appena l’1 per cento.
Questo contesto ha spinto l’Unione europea ad adottare diverse strategie di intervento – soprattutto a livello umanitario e securitario – che hanno però ricevuto molte critiche.
Tra queste, gli effetti limitati sulla sicurezza, nonostante gli sforzi dell’Ue nella formazione e nell’addestramento delle forze di sicurezza locali; una mancanza di coordinamento con gli attori internazionali quali Stati Uniti, Nazioni Unite e forze regionali; e, soprattutto, una concentrazione eccessiva sulla sicurezza a scapito dello sviluppo e di un’analisi profonda sulle cause dei conflitti – ovvero povertà, cambiamento climatico e mal governo.
Di fronte a queste critiche, la strategia europea per il Sahel del 2021 sembrava voler abbandonare l’approccio orientato prevalentemente sulla sicurezza per adottare un intervento più integrato, promuovendo il buon governo, la tutela dei diritti umani e lo sviluppo economico.
Tutto ciò con l’obiettivo di affrontare le cause che generano l’insicurezza in un quadro di partenariato con i governi locali e di cooperazione regionale. Purtroppo però sono bastati pochi mesi per dimostrare che la strategia europea del 2021 era stata concepita con una buona dose di ottimismo che era distaccato dalla realtà.
Colpi di stato
Da maggio 2021, il Sahel è stato attraversato da un’ondata di colpi di stato militari (dal Mali, al Burkina Faso e adesso in Niger) o cambi di governo “dinastici” come Ciad, dopo la morte del trentennale presidente Idriss Déby sostituito da figlio Mahamat.
I colpi di stato e le transizioni militari, oltre ad aver sottolineato l’impossibilità di avere una stabilità governativa in un contesto in cui la maggior parte della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà, hanno evidenziato l’incapacità delle istituzioni regionali – come l’Ecowas o l’Unione africana – di prevenire e risolvere le crisi.
Inoltre, sono avvenuti in un contesto regionale in cui la competizione multipolare tra attori esterni non ha fatto altro che aumentare e incrinare i rapporti tra i paesi della regione e gli ex-alleati tradizionali.
I colpi di stato militari hanno difatti limitato l’implementazione della strategia europea per il Sahel, soprattutto in Mali, diventato l’epicentro non solo della violenza ma anche di una crisi politica strutturale tra alcuni paesi saheliani e Parigi, ex-colonia accusata spesso da vertici o sacche della popolazione di “neo-colonialismo”.
L’arrivo di Wagner
La goccia però che ha fatto traboccare il vaso è stato l’arrivo di Wagner in Mali nel settembre 2021. Per Bamako, avrebbero colmato “il vuoto" che si sarebbe inevitabilmente creato con il ritiro di Barkhane, l’operazione militare francese anti terrorismo.
Il ritiro è stato annunciato dal presidente Macron dopo il secondo colpo di stato, ma sebbene l’instabilità politica avrà certamente convinto Parigi a lasciare il paese, tale decisione derivava anche dal fatto che Barkhane era diventato sempre più impopolare in Francia.
Dal 2013, 51 soldati francesi francesi sono morti mentre l’insicurezza in Mali e nella regione non ha fatto che aumentare. Di fronte a queste dinamiche, Bruxelles ha seguito Parigi lasciando intuire che la politica estera europea era guidata prevalentemente dalla Francia.
Nel 2022, l’Unione europea ha sospeso il partenariato militare con il Mali, conosciuto sotto l’acronimo Eutm. Lo stesso è accaduto al di fuori del Sahel: nella Repubblica centrafricana, ex-colonia francese, l’arrivo di Wagner ha messo a dura prova le relazioni tra Bangui e i suoi partner occidentali tradizionali.
La roccaforte insicura
Al fine di continuare ad avere un ruolo militare nel Sahel, Parigi ha spostato l’intero contingente (2.400 soldati) dal Mali al Niger, unico paese – insieme al Ciad – rimasto fedele alle posizioni dell’Esagono.
L’Europa idem: nel 2022 ha istituito un Eutm nel paese e ha finanziato l’esercito nigerino attraverso lo European peace facility (Epf). In questo modo, il Niger è diventato un paese chiave per l’Europa e la Francia.
Ciò però è successo in momento in cui, nonostante il presidente Bazoum fosse stato eletto democraticamente, vi erano diverse tensioni interne. L’elezione di Bazoum era stata preceduta e seguita da profonde fratture politiche e sociali, anche all’interno del suo partito.
L’aver stretto la cooperazione militare con la Francia aveva provocato un forte malcontento popolare. E sebbene l’ex presidente abbia tentato di adottare un approccio di riconciliazione nazionale anche con i jihadisti, l’insicurezza non ha fatto che aumentare.
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