Il governo del presidente Milei ha annunciato una svalutazione di oltre il 50 per cento del peso, la moneta nazionale. Una scelta che andrebbe accompagnata da un sostegno ai deboli. Il Fondo monetario dovrà però monitorare la politica economica di Buenos Aires per evitare c
osti sociali che potrebbero avere conseguenze anche nel lungo periodoL’Argentina ha chiesto cambiamento al suo nuovo presidente e il cambiamento è già arrivato: Javier Milei, entrato in carica il 10 dicembre, ha annunciato che il peso, la valuta nazionale, verrà svalutato di oltre il 50 per cento. Finora, il cambio fisso prevedeva che per acquistare un dollaro americano bastassero 360 pesos, ma presto ne serviranno 800. In un Paese in profonda crisi economica, politica e sociale, sembra una scelta assurda, ma in realtà è una mossa nella direzione giusta.
La scelta di tutelare il potere d’acquisto dei cittadini bloccando il tasso di cambio era stata presa dal predecessore di Milei, Sergio Massa. L’idea era quella di frenare l’aumento dei prezzi delle importazioni, dato che una valuta più forte avrebbe garantito una conversione da dollaro a peso meno costosa. Il problema è che questa scelta ignorava completamente ogni meccanismo di mercato: se gli operatori non sono convinti che bastino 360 pesos per comprare un dollaro, semplicemente non venderanno la moneta americana per acquistare quella argentina. O meglio, lo faranno attraverso un mercato nero. Non a caso, il costo del dollar blue, ossia il tasso di cambio applicato nel mercato nero, ha superato i mille pesos per un dollaro.
Perché svalutare è la scelta giusta
La scelta di Milei, per stessa ammissione del governo, avrà pesanti conseguenze nel breve periodo, dato che porterà a un ulteriore indebolimento del potere d’acquisto dei cittadini argentini e probabilmente a un aumento dei prezzi. Una pessima notizia per un Paese che già oggi registra un’inflazione superiore al 140 per cento. Eppure, il paese ha deciso di dar fiducia al suo nuovo presidente, che in campagna elettorale aveva annunciato questa misura. La ragione è semplice: in teoria, la decisione di Milei porterà a maggiore stabilità economica nel medio-lungo periodo. Un tasso di cambio più in linea con i reali valori di mercato aumenterà la fiducia degli operatori economici e delle famiglie e potrebbe fermare il ricorso al mercato nero. In quest’ultimo caso, la svalutazione porterebbe addirittura a un aumento del potere d’acquisto effettivo dei cittadini, dato che si passerebbe da un tasso di cambio superiore a mille pesos a uno pari a 800.
Anche altre politiche annunciate da Milei sembrano promettenti, come il taglio alla spesa pubblica inefficiente. La situazione economica argentina, infatti, dipende molto da una politica basata sulla corruzione, sul clientelismo e sul massiccio intervento statale nell’economia. La scelta di spendere molto non è necessariamente sbagliata (basta osservare il livello di welfare state nei paesi scandinavi), ma in Argentina l’intervento dello Stato non ha mai seguito logiche economiche. Milei vuole eliminare la spesa improduttiva, ma sembra volerlo fare seguendo l’esempio di Reagan e Tatcher, una scelta che potrebbe avere conseguenze disastrose sulle fasce più povere della popolazione.
Gli enormi rischi delle politiche di Milei
I prossimi mesi saranno fondamentali per capire se la svalutazione voluta da Milei aiuterà l’Argentina ad uscire dalla crisi o se la porterà ancora più vicina al baratro. Bisognerà innanzitutto capire se il nuovo tasso di cambio verrà adottato dai cittadini oppure se ci sarà ancora un largo ricorso al mercato nero. In quel caso, la situazione rimarrebbe piuttosto simile a quanto sta accadendo adesso. Inoltre, il governo dovrà dimostrare di essere affidabile, mantenendo il cambio fisso a 800 pesos per un lungo periodo: una nuova svalutazione – o magari una rivalutazione richiesta a gran voce per frenare l’aumento dei prezzi – avrebbe conseguenze disastrose sulla fiducia dei mercati nei confronti dell’Argentina, già oggi ai minimi storici.
Sarebbe poi necessario contenere i danni sociali causati da un cambio svalutato e un’inflazione in aumento, per esempio investendo risorse pubbliche per sostenere le fasce di popolazione economicamente più deboli. I tagli alla spesa previsti dal nuovo governo, però, sembrano suggerire che non ci sarà alcun sostegno per chi si trova in difficoltà.
La decisione di tagliare la spesa in maniera indiscriminata è il vero pericolo della politica economica di Milei: la riduzione della spesa sociale lascerebbe cicatrici permanenti tra le fasce meno abbienti e potrebbe abbattere così tanto il tessuto produttivo da non lasciargli forza per risollevarsi. Di solito, poi, gli interessi legati alla spesa pubblica improduttiva sono molto più forti e radicati rispetto alla tutela dei più deboli: una riduzione della spesa indiscriminata potrebbe non andare a toccare i privilegi e allo stesso tempo provocare una macelleria sociale, un po’ come è successo in Grecia negli anni della Troika.
Il Fondo monetario internazionale ha accolto favorevolmente gli annunci di Milei, definendo la sua politica “coraggiosa”. La speranza è che la supervisione dell’Fmi, verso cui l’Argentina è debitrice per oltre 40 miliardi, possa guidare il governo nella giusta direzione, in modo da fare correttamente e per l’ultima volta i sacrifici necessari a tornare a crescere.
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