Ricominciano le proteste che da mesi stanno animando la vita politica di Israele. Anche oggi le piazze e le strade di Israele si sono riempite di cittadini che manifestano contro la riforma della giustizia voluta dal primo ministro, Benjamin Netanyahu, e dal suo governo di estrema destra.

In particolare, le proteste di oggi sono state alimentate dall’approvazione, in prima lettura, di una legge – facente parte del più ampio progetto di riforma della giustizia – che mira a cancellare la possibilità per la magistratura di pronunciarsi sulla “ragionevolezza” delle decisioni del governo.

La legge è stata approvata ieri con una maggioranza di 64 parlamentari (tutti quelli che fanno parte della maggioranza di governo) e dovrà ora essere approvata in seconda e terza lettura dalla Knesset, il parlamento monocamerale di Israele.

I manifestanti si sono riversati nelle strade, paralizzando le principali vie di Israele. La maggior parte delle proteste si concentrano a Gerusalemme, dove la polizia ha cercato di disperdere i manifestanti con cannoni ad acqua. Anche i due principali aeroporti del paese sono stati presi di mira dai manifestanti. Il numero delle persone arrestate si attesta, per il momento, a 66.

A seguito dell’approvazione della legge sulla clausola della “ragionevolezza” il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha voluto rassicurare il paese dicendo: «Non è la fine della democrazia, rafforzerà la democrazia. I diritti dei tribunali e dei cittadini israeliani non saranno in alcun modo violati e e la Corte continuerà a monitorare la legalità delle decisioni e delle nomine del governo».

Parole, quelle del premier, in contrasto con le opinioni dell’opposizione parlamentare, che durante l’approvazione del disegno di legge ha urlato: «Vergogna!».

Il contenuto della riforma

Il governo di estrema destra guidato dal premier Netanyahu ha presentato a gennaio un progetto di riforma che mira a indebolire le prerogative della magistratura, in particolare della Corte suprema, e a rafforzare i poteri dell’esecutivo e del parlamento (Knesset).

Infatti, molti degli esponenti dei partiti che compongono il governo ritengono che negli ultimi anni il potere della magistratura si sia rafforzato eccessivamente, andando a minacciare il principio della “sovranità del parlamento” e quindi del popolo. 

La proposta più criticata riguarda l’eliminazione della prerogativa, in capo alla Corte suprema, di annullare le leggi approvate dal parlamento. Al momento, la Corte suprema ha il potere di rigettare le leggi che ritiene in contrasto con le leggi fondamentali (leggi di rango costituzionale, quindi fonti primarie del diritto).

Il progetto di riforma mira a eliminare tale prerogativa, dando al parlamento la facoltà di rigettare la sentenza di annullamento per mezzo di un voto a maggioranza semplice (61 parlamentari su 120).

Tale facoltà darebbe alla Knesset un potere enorme riducendo al contempo quello della Corte suprema e creando non pochi problemi sugli assetti costituzionali del paese. I detrattori della riforma sottolineano come tale legge porterebbe a un evidente squilibrio fra i poteri dello stato, a favore della maggioranza parlamentare e, quindi, del governo.

Il secondo elemento criticato della riforma sulla giustizia concerne la nomina dei membri della commissione che seleziona i nuovi giudici. Il governo vorrebbe, infatti, aumentare i membri di nomina governativa in modo che siano in maggioranza all’interno della commissione.

Questo è un evidente tentativo di condizionare le nomine della Corte suprema con lo scopo di avere magistrati graditi al governo. Ad oggi, i membri della commissione che nomina i giudici della Corte suprema sono nove, di cui quattro scelti dal governo. La proposta di legge vorrebbe aumentare i membri della commissione a 11 e portare a 8 i membri di nomina politica. 

La riforma della giustizia, inoltre, mira a limitare il concetto di “ragionevolezza” con cui i tribunali possono sottoporre, di propria iniziativa, al controllo giurisdizionale qualsiasi atto amministrativo del governo, compresa la nomina di pubblici ufficiali.

Grazie a tale prerogativa, la Corte suprema, lo scorso gennaio, ha annullato la nomina di Aryeh Deri a ministro dell’Interno, in quanto considerata “irragionevole” alla luce della condanna per frode fiscale. 

Gli interessi dei sostenitori della riforma

La riforma di legge in materia di giustizia è stata voluta e promossa dal premier Benjamin Netanyahu e presentata dal ministro della giustizia, Yariv Levin. La riforma è sostenuta da tutta la maggioranza, infatti tutti i partiti al governo sono d’accordo sul fatto che la magistratura, in particolare la Corte suprema, abbia negli ultimi anni interferito in modo indebito sui lavori del parlamento. Ma oltre a tale giustificazione, i partiti della maggioranza hanno specifici interessi legati a questa riforma. Primo fra tutti il premier Netanyahu che sta affrontando un processo con le accuse di frode, corruzione e abuso d’ufficio.

La nomina dei componenti che selezionano i nuovi magistrati dei tribunali è oggetto della riforma e la sua approvazione permetterebbe al premier di avere un maggiore controllo sulle sue vicende giudiziarie.

Il partito ultra ortodosso, “Giudaismo della Torah unito”, vede con favore i ridimensionamento dei poteri della Corte suprema, che da anni tenta di eliminare i privilegi di cui godono gli ortodossi, come l’esenzione alla leva militare obbligatoria.

In ultimo, anche il partito sionista di estrema destra ha interessi legati alla riforma. Con l’entrata in vigore della riforma si aprirebbe la possibilità, per la Knesset, di annullare le vecchie sentenze della Corte suprema che hanno limitato l’espansione degli insediamenti israeliani in Cisgiordania.

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