- Dopo il confronto con la presidente del Consiglio, il ministro degli Affari regionali deve fare un passo indietro. I tempi dell’autonomia andranno di pari passo con il presidenzialismo.
- Affiancando i due dossier Meloni allunga i tempi e mette in cima alle priorità uno dei punti più importanti del proprio programma.
- Calderoli apre anche sulla definizione dei livelli essenziali di prestazione, assicurando che «questo governo e questa legislatura porteranno alla definizione di tutti i Lep», una condizione che le regioni del sud ritengono essenziale per rimettersi al tavolo e discutere un compromesso.
Il ministro degli Affari regionali, Roberto Calderoli, dovrà pazientare per vedere la sua riforma dell’autonomia differenziata diventare legge.
A mettere un freno all’ansia del ministro di portare a casa il provvedimento entro la fine dell’anno è stata la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che, in una riunione con lui, i due vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani, il ministro per l’Agricoltura Francesco Lollobrigida e il ministro per gli Affari europei con delega al sud Raffaele Fitto, ha messo sul piatto anche la riforma del presidenzialismo. Meloni ha imposto che le due riforme da adesso in poi procedano di pari passo e, visto che per il presidenzialismo non esiste ancora neanche una traccia di lavoro, anche il percorso dell’autonomia dovrà rallentare.
Ma il tempo in più sarà utile a Calderoli per riaprire il discorso dei Livelli essenziali di prestazione: la definizione di questo parametro, che serve per misurare la quantità di denaro di cui avranno bisogno le regioni, era il punto di partenza che le regioni del sud – anche quelle in mano a Forza Italia, come Calabria e Sicilia – avevano indicato per tornare al tavolo della trattativa.
L’incontro di ieri segna una battuta d’arresto alla frenesia leghista. Il primo testo proposto da Calderoli alle regioni aveva provocato le ire di buona parte dei presidenti di regione meridionali, primi fra tutti Michele Emiliano e Vincenzo De Luca, tanto che nelle ultime ore il ministro aveva fatto un mezzo passo indietro disconoscendo la sua proposta, diventata ormai una «bozza di lavoro». La Conferenza stato-regioni di giovedì è stata aggiornata alla prossima settimana per dare a tutti i rappresentanti modo di esprimersi. E ieri Calderoli ha rassicurato che i timori del sud «svaniranno quando ci sarà un testo» e ha spiegato che per il momento raccoglierà «le richieste di tutti» e poi produrrà.
L’apertura alle regioni
Ma il vero passo avanti nella trattativa sta in un’altra frase pronunciata dal ministro dopo l’incontro: «Sono convinto che dopo 21 anni in cui c’è la previsione che lo stato definisca i Livelli essenziali delle prestazioni (Lep), finalmente questo governo e questa legislatura porteranno alla definizione di tutti i Lep».
Sembra un tecnicismo, ma quest’affermazione può riaprire il dialogo con le regioni del sud. Nella bozza di Calderoli, infatti, il parametro per definire la quota da destinare a ogni regione era la spesa storica, uno strumento che legherebbe ciascuno al suo passato: chi ha avuto poco continuerebbe ad avere poco anche in futuro. Per la definizione dei Lep, che fanno riferimento a fabbisogni standard elaborati dallo stato centrale e che dovrebbero garantire servizi uniformi su tutto il territorio, il testo prevedeva giusto 12 mesi di tempo. Qualora il termine non fosse stato rispettato, liberi tutti.
È questa la ragione per cui per le regioni meridionali la possibilità di discuterne prima dell’inizio delle trattative bilaterali con lo stato centrale era un punto imprescindibile per riaprire la trattativa. Questo sviluppo rasserena anche Forza Italia, che per bocca di una fonte parlamentare sottolinea come sia fondamentale prendersi il tempo necessario per «fare le cose per bene e lavorare con dati precisi», anche a costo di far slittare il termine di fine anno che tanto sta a cuore ai leghisti. Arriva apprezzamento per il rinvio anche da Fratelli d’Italia, dove si raccomanda di «andare con calma e avere l’accortezza di non creare regioni di serie A e di serie B».
L’imposizione di Meloni
La vera vittoria, però, la porta a casa Fratelli d’Italia. O meglio, Meloni stessa, che lega a doppio filo la riforma dell’autonomia, una delle più importanti per i leghisti, alla sua personale priorità, il presidenzialismo.
A esplicitare il suo pensiero è Lollobrigida, vicinissimo alla presidente: «Lavoreremo in parallelo su autonomia e presidenzialismo, in modo da portare avanti i punti programmatici, includendo anche Roma Capitale» ha detto dopo l’incontro. Anche Calderoli stesso ha ammesso che presidenzialismo e autonomia cammineranno fianco a fianco: «Una è una legge costituzionale e una è una legge ordinaria, ma ragionevolmente i tempi che porteranno alla definizione credo saranno molto simili».
Del presidenzialismo vuole continuare a occuparsi la premier in persona, anche se andrà coinvolta anche la responsabile delle Riforme, Maria Elisabetta Alberti Casellati, che a questo punto dovrà iniziare a immaginare una prima proposta a stretto giro. Sembra più agevole invece il percorso per l’aumento dei poteri di Roma Capitale, su cui era già stato trovato un accordo di massima di tutto l’arco parlamentare durante la scorsa legislatura.
Da Fratelli d’Italia indicano quello come punto di partenza per riprendere il discorso e portare a casa il provvedimento il prima possibile. Nell’attesa di riaprire con la Lega la questione delle materie da devolvere alle regioni con l’autonomia differenziata.
Ai meloniani non è andata giù l’inclusione dell’istruzione nelle competenze da alienare dallo stato centrale: al massimo, spiegano, si può parlare di affidare maggiore responsabilità sul piano organizzativo. Tradotto: la definizione dei programmi resta a Roma.
© Riproduzione riservata