- Al netto dell’esito giudiziario della vicenda, è un fatto che Delmastro abbia svelato nella buvette del parlamento conversazioni riservatissime a un suo compagno di partito, che poi le ha usate come manganello politico contro il Pd.
- Un’azione che non ha precedenti nella storia della Repubblica.
- Delmastro non si era dimesso quando doveva. Lo faccia ora. Non per l’avviso di garanzia, ma per il rispetto che un politico deve alle istituzioni che rappresenta.
Un avviso di garanzia non è una condanna, ed è possibile che il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, iscritto nel registro degli indagati dalla procura di Roma per rivelazione di segreto d’ufficio, esca penalmente immune dalla vicenda.
La mossa della procura certifica però che le granitiche certezze del ministro della Giustizia Carlo Nordio e della premier Giorgia Meloni sul corretto comportamento del suo ex avvocato erano mal riposte. E che la copertura politica data da Palazzo Chigi a Delmastro e al suo coinquilino Andrea Donzelli – capaci di spiattellare documenti riservati del Dap sull’anarchico Cospito e su tre boss della mafia solo per attaccare l’opposizione – è stata una scelta scellerata. Figlia di un metodo politico (imparato nella sezione dell’Msi Colle Oppio, dove Meloni si è formata) che non si basa sul merito, ma sulla fedeltà. Un cerchio magico dove chi sbaglia, non paga mai.
L’inadeguatezza
L’inadeguatezza di parte dei dirigenti di Fratelli d’Italia rischia di essere una spina nel fianco della presidente del Consiglio, almeno fino a quando Meloni non capirà che l’Italia non si può governare dando fiducia a chi sembra non conoscere neanche le basi delle prassi istituzionali.
Al netto dell’esito giudiziario della vicenda, è un fatto che Delmastro abbia svelato nella buvette del parlamento conversazioni riservatissime a un suo compagno di partito, che poi le ha usate come manganello politico contro il Pd. Un’azione che non ha precedenti nella storia della Repubblica.
L’operazione ordita dagli ex camerati, di cui uno è pure vicepresidente del comitato che controlla informazioni sensibili dei nostri servizi segreti, avrebbe dovuto portare a un’unica conseguenza: le dimissioni immediate di entrambi.
Meloni, se con i due amici in privato è stata durissima, ha scelto in pubblico una difesa a oltranza, sintetizzata in una lettera al Corriere della Sera che conteneva menzogne, come la leggenda che le carte divulgate dal suo sottosegretario a Donzelli (non indagato perché per i magistrati è Delmastro il solo detentore del segreto amministrativo) erano state già «anticipate da alcuni media». Una bugia sesquipedale.
Come quelle ripetute dal capogruppo alla Camera di FdI, che aveva giurato di aver chiesto e ottenuto il rapporto segreto della polizia penitenziaria dagli uffici di Nordio, e che qualsiasi altro deputato avrebbe potuto fare lo stesso. Balle. E gli arzigogoli giustificazionisti di Nordio hanno alzato sullo scandalo una cortina fumogena, che ora la procura ha squarciato.
Delmastro non si era dimesso quando doveva. Lo faccia ora. Non per l’avviso di garanzia, ma per il rispetto che un politico deve alle istituzioni che rappresenta.
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