E pluribus unum: il motto sul sagrato di Capitol Hill durante la cerimonia di insediamento del neopresidente Joe Biden scandisce anche i tempi che vive la chiesa cattolica americana. L’analogia con uno dei postulati del pontificato di Bergoglio, «il tutto è superiore alla parte» (Evangelii Gaudium) non è sufficiente: ora il cattolico Biden si appresta a intercettare i punti in comune con Roma dopo quattro anni di crisi diplomatica.

Se quanto accade all’inaugurazione presidenziale va letto come la prima dichiarazione alla nazione, allora la presenza del gesuita Leo O’Donovan guida spirituale di Biden ed ex rettore della Georgetown University, dice tanto sul ruolo che la Compagnia di Gesù avrà nella ricostruzione di una chiesa cattolica che, mutuando le parole di monsignor Robert McElroy, «è oggi alla deriva da molti punti di vista».

Negli ultimi anni i gesuiti hanno puntato al rinnovamento, incoraggiati da un pontefice che proviene dal loro stesso ordine. Quando Trump ha deciso di smantellare il decreto che consentiva ai minori giunti illegalmente negli Stati Uniti di essere regolarizzati, la risposta dei gesuiti del nord America è stata dura: «Siete venuti da noi per un’istruzione, siete venuti per una guida pastorale e spirituale e vi abbiamo accolto. Nessun governo può strappare questo legame», ha scritto Timothy Kesicki, presidente della conferenza dei gesuiti di Canada e Usa. Nel 2017 anche la Fordham University ha rinnovato il suo impegno nei confronti dei suoi studenti beneficiari del decreto.

Padre Leo O'Donovan all'insediamento di Biden. (Patrick Semansky - Pool/ CNP/Polaris - Europa Press via AP)

Per l’immigrazione

La revoca delle restrizioni all’immigrazione di Trump è fra i primi provvedimenti presi dal nuovo presidente. La promessa di consentire l’ingresso a 125mila immigrati all’anno avrà una ripercussione sull’identità cattolica americana. Con il declino dell’elettorato bianco cattolico, in gran parte refrattario alle aperture di papa Francesco, i latinos stanno plasmando nuove forme di cattolicesimo, imbevute di religiosità popolare e orientate alla lotta per la giustizia.

Al rifiuto di istanze progressiste, come l’aborto e le unioni omosessuali, si affianca la sintonia con l’agenda presidenziale nella lotta al cambiamento climatico e la giustizia sociale.

Secondo il Pew Research Center, il 40 per cento dei cattolici ispanici pensa al cambiamento climatico come parte della propria identità cattolica (contro il 22 per cento dei cattolici bianchi) e solo il 25 per cento degli intervistati ammette le unioni omosessuali. Lo sviluppo sociale è in cima all’agenda sociale dei gesuiti d’America.

Lo dimostra il servizio dei gesuiti per i rifugiati che, giunto ai suoi 40 anni di attività, è stato omaggiato lo scorso novembre dallo stesso Biden, ottenendo il plauso anche dell’immunologo Anthony Fauci, educato in uno dei più prestigiosi college gesuiti d’America, Holy Cross.

Lo scontro tra Trump e la scienza in piena pandemia è stato il terreno in cui si è consumata una visione protestante dell’America come faro della nuova fede, contro l’interpretazione cattolica postconciliare che legge i segni dei tempi.

L’incauto ottimismo di Trump davanti alla diffusione mortale del Covid-19 ha mostrato, così, il dissidio fra l’America protestante di matrice ottocentesca e l’interpretazione evolutiva del mondo evidente nella zoonosi: con Trump si è tornati a un lessico evangelico di inizio secolo, e la regressione del fondamentalismo ha generato il proliferare di cospirazioni di origine diabolica, come la tesi di QAnon, che collegava l’imminente venuta di Cristo allo scatenarsi dell’Anticristo (rappresentato da Biden e dall’establishment democratico).

Questi elementi erano stati menzionati, a pochi mesi di distanza dall’elezione di Trump, dai gesuiti Antonio Spadaro e Marcelo Figueroa. In un articolo di fuoco sulla rivista dei geusiti La Civiltà Cattolica, i due prendevano di mira il fondamentalismo evangelico, di cui Trump si faceva portavoce: «Oggi il presidente Trump indirizza la sua lotta contro un’entità collettiva genericamente ampia, quella dei “cattivi” (bad) o anche “molto cattivi” (very bad). A volte i toni usati in alcune campagne dai suoi sostenitori assumono connotazioni che potremmo definire “epiche”», sottolineavano i due autori menzionando la retorica premillenarista che faceva di Trump l’eletto da Dio.

(AP)

Vescovi ai due estremi

Al ritorno in scena dei gesuiti americani fa da contraltare la frattura con i cattolici più conservatori, lo zoccolo duro della Conferenza episcopale degli Stati Uniti (Usccb).

Non è un caso che, messo da parte l’entusiasmo per il rinnovato asse Biden-Bergoglio, il presidente della Usccb, José Gomez, abbia richiamato in una lettera l’attenzione del neo-presidente ai valori pro-life, sfumati nella sua agenda.

Le anime progressiste dell’Usccb, come il cardinale di Chicago, Blaise Cupich, si sono dissociate dal messaggio, ritenendolo «inopportuno». Ma c’è la sensazione che lo scontro tra conservatori e progressisti sia ormai giunto a un punto di rottura. Questo era già emerso nell’ultima Conferenza dell’Usccb a Baltimora (novembre 2019), dove i riflussi conservatori emersi con la nomina di Andrew Cozzens a vicepresidente, hanno cozzato con gli inviti del nunzio apostolico degli Usa, Christopher Pierre, nel recepire la linea dettata da Bergoglio nelle esortazioni apostoliche.

La storia sembra ripetersi: come ai tempi del primo presidente cattolico, John Fitzgerald Kennedy, fu un teologo gesuita, John Courtney Murray, a ricucire la linea tra Washington e la Santa sede, così lo stesso ordine potrà riprendere questo punto di contatto: «Chissà che le idee di Murray non siano anche stavolta di ispirazione per accompagnare le evoluzioni della chiesa cattolica, della società̀ e della politica, negli Usa e altrove, dopo tante incomprensioni e rigidità del periodo precedente», scrive il giurista Stefano Ceccanti nella nota introduttiva all’opera di Murray, Noi crediamo in queste verità (Morcelliana, 2021).

Chiuso il capitolo trumpiano, Biden avrà bisogno dei gesuiti per voltare pagina. Il cattolicesimo americano sta cambiando pelle ed è su temi come la stabilità sociale e la lotta per la giustizia che si giocherà la partita confessionale. In questo senso, un papa gesuita e argentino, fautore della teologia del meticciato, potrà aiutare a conquistare i nuovi americani, pronti a trovare una nuova identità nell’America post-Trump: dai molti a uno.

 

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