Da che l’uomo è comparso sulla Terra e si è posto domande sull’universo, ha sempre pensato che gli innumerevoli misteri che caratterizzano quest’ultimo siano gli unici ad esistere.

Ad alcuni abbiamo dato delle risposte, a molti non sappiamo neppure dove andare a cercare le soluzioni. Eppure una volta capito a fondo il nostro universo – certamente ci vorrà molto tempo ancora – saremo solo al primo gradino di una ricerca molto più ampia di quel che c’è “là fuori”.

Oggi, infatti, cresce sempre più l’idea che ci possono essere molti altri universi oltre al nostro, con caratteristiche del tutto diverse e quindi con infiniti problemi da risolvere. Potremmo essere parte quindi, di una singola frazione di un ramo di universi infiniti noti collettivamente come multiverso.

Questi universi potrebbero essere apparsi poco dopo il Big Bang, potrebbero nascondersi in dimensioni a noi inconcepibili o potrebbero apparire all’esistenza ogni volta che una proprietà quantistica passa da una nuvola di possibili stati a una singola realtà.

Le idee del multiverso hanno acquisito peso scientifico negli anni Ottanta con l’invenzione dell’”inflazione”, un periodo in cui l’universo primordiale si è improvvisamente espanso.

Le ipotesi

L’inflazione spiega alcune caratteristiche del nostro cosmo e prevede anche la possibile esistenza di una moltitudine di universi a “bolla” indipendenti. L’inflazione tuttavia, è solo una delle vie che avrebbero permesso la nascita di un multiverso e va sottolineato che l’ipotesi ha i suoi detrattori. Negli ultimi anni, molti cosmologi, si sono rivolti ad alternative per spiegare il multiverso, come l’ipotesi dell’universo ciclico, che afferma che l’universo è in un ciclo infinito tra “rigonfiamento” e “compressione”.

Queste ipotesi invocano ancora universi multipli, ma in tempi diversi. «Quello che non mi piaceva dell’inflazione sta nel fatto che impedisce previsioni genuine, ossia non dice molto a proposito degli altri universi», afferma Neil Turok , un fisico dell’università di Edimburgo, Regno Unito, che ha contribuito a sviluppare un modello per un universo ciclico, pubblicato qualche anno fa, come rivale dell’inflazione.

«Ho cercato strade per spiegare il multiverso che siano migliori rispetto a quella dell’inflazione», ha detto. L’universo ciclico ha i suoi vantaggi. Nel nostro universo l’energia oscura, la misteriosa forza che accelera l’espansione del nostro universo, sembra molto più debole delle previsioni, il che è un problema.

È stato suggerito fin dagli anni Ottanta che l’energia oscura potrebbe ridursi nel tempo in una serie di “salti”. Poi, nel 2006, Turok e Paul Steinhardt della Princeton University hanno combinato questa idea con un universo ciclico. Hanno dimostrato che, man mano che l’energia oscura si riduceva, il tempo tra i salti si allungava sempre di più, quindi un universo ciclico trascorrerebbe naturalmente la maggior parte del tempo con un’energia oscura bassa, rendendo più probabile ciò che vediamo oggi. Nella caccia alle prove di un multiverso, uno dei posti che i cosmologi stanno osservando è il fondo cosmico a microonde (CMB), le radiazioni rimaste dal Big Bang.

La cosmologa Hiranya Peiris dell’università di Cambridge e i suoi colleghi hanno dimostrato che gli universi a bolle in collisione, come quelli previsti dall’inflazione, dovrebbero lasciare impronte circolari nel CMB. Nel 2011, hanno scoperto quattro zone di cielo che potrebbero un giorno rivelare tali cicatrici. Ora, Peiris è coinvolta in un esperimento quantistico per stabilire come si formano e si scontrano le “bolle di vuoto”, intuizioni che potrebbero migliorare le previsioni del multiverso.

«La cosa che deve essere affinata sono le previsioni teoriche», afferma l’astrofisica. Ciò potrebbe rafforzare le prove delle impronte o escluderle. Quando si tratta di modelli ciclici, Roger Penrose, un fisico matematico dell’università di Oxford, ha suggerito che potrebbero anche apparire segnali di questi nella CMB.

Altri hanno detto che i buchi neri dei cicli precedenti potrebbero potenzialmente sopravvivere in questo universo ed essere rilevabili. Turok, recentemente, ha avanzato un concetto nuovo, chiamato “universo specchio”, in cui il tempo si inverte al Big Bang, un modello che ritiene più semplice dell’universo ciclico. E potrebbe presto essere messo alla prova. Un universo specchio potrebbe essere la risposta al mistero della materia oscura, la sostanza sconosciuta che costituisce circa l’85 percento della massa nell’universo. L’idea è che la materia oscura potrebbe essere composta da un tipo di neutrini ancora non scoperti, che potrebbero essere in abbondanza in un universo specchio.

Nel 2022, un gruppo di ricercatori ha dimostrato che ciò significherebbe che il neutrino più leggero ha esattamente massa zero, una previsione attualmente in fase di test in indagini galattiche su larga scala come farà il Vera Rubin Observatory, che dovrebbe iniziare a scansionare l’universo l’anno prossimo. Cento anni dopo la dimostrazione di Edwin Hubble che altre galassie sono là fuori, potremmo essere sul punto di trovare prove di un altro regno oltre il nostro universo.

Spostamenti acquatici

Prevedere come si sposteranno le specie marine in diversi scenari di emissione di anidride carbonica è di fondamentale importanza per garantire una gestione adeguata delle risorse ittiche, soprattutto in uno scenario in cui l’oceano si sta rapidamente riscaldando a causa del cambiamento climatico. Un team di ricerca coordinato dall’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale (Ogs), con il coinvolgimento dell’università di Bari, della Fondazione Coispa Ets e dell’Istituto di Oceanografia e Pesca di Split (Croazia), ha applicato un approccio modellistico per rappresentare presente, passato e futuro delle variazioni spaziali di nove specie demersali, ovvero pesci, crostacei e molluschi che nuotano attivamente, ma si mantengono in prossimità del fondale.

I risultati mostrano una variazione futura della distribuzione e della densità di queste specie nell’area oggetto dello studio, Adriatico e Ionio, in risposta al cambiamento climatico. L’approccio è stato applicato ai dati di individui sia giovanili che adulti del mar Adriatico e nel mar Ionio occidentale in quattro finestre temporali (1999-2003, 2014-2018, 2031-2035 e 2046-2050). Le nove specie prese in esame sono state il nasello, la triglia, lo scampo, la rana pescatrice, il totano, il sugarello europeo, la seppia, la canocchia e la sogliola comune.

«Lo studio implementa diversi modelli di distribuzione già ampiamente noti in letteratura che, utilizzati insieme, producono un insieme solido di previsioni, già in precedenza utilizzato dal nostro team di ricerca» specifica Diego Panzeri, assegnista di ricerca dell’OGS e autore principale dello studio.

Il mar Mediterraneo è un grande hotspot di biodiversità e conta più di 700 specie di pesci ma è anche, come tutti i bacini semichiusi, particolarmente sensibile agli effetti del cambiamento climatico, i cui impatti sono già sostanziali e stanno generando cambiamenti significativi nelle dinamiche delle popolazioni ittiche, soprattutto nei paesi che si affacciano nella parte meridionale del bacino, con conseguenti impatti sui settori economici legati alla pesca.

Tuttavia, il progressivo e rapido aumento delle temperature farà sì che gli impatti socio-economici del cambiamento climatico interessino sempre più anche la parte settentrionale del mar Mediterraneo, dove le infrastrutture e le economie legate alla pesca sono ben consolidate. Nelle regioni adriatica e ionica si prevede che l’aumento delle temperature porterà a cambiamenti oceanografici e biologici importanti.

Secondo il modello utilizzato, le principali specie commerciali, che rappresentano attualmente il 60 per cento del totale dello sbarcato dei demersali in Adriatico e Ionio, potrebbero cambiare la loro posizione e densità già nel prossimo futuro, con conseguenti impatti sulla pesca. In particolare, il nasello, la triglia, la rana pescatrice e il suro nel loro stadio adulto risultano essere gli stock ittici che più potrebbero essere colpiti dai cambiamenti climatici, stessa cosa per la triglia, la rana pescatrice e il sugarello europeo nel loro stadio giovanile.

Ciò potrebbe comportare conseguenti impatti economici e commerciali difficilmente calcolabili. Come evidenziato inoltre, da altri studi svolti dall’OGS, inoltre, futuri cambiamenti climatici potrebbero favorire l’aumento delle specie invasive in questi due sottobacini, con notevoli impatti sulle dinamiche alimentari territoriali e un possibile ulteriore spostamento delle specie residenti. «La distribuzione dinamica delle specie marine è il risultato di un insieme complesso di fattori interconnessi», specifica Simone Libralato, ricercatore dell’OGS.

«I modelli di distribuzione delle specie, come quelli utilizzati dal team dell’OGS, sono approcci empirici correlativi che possono essere addestrati dai dati del passato per estrapolare considerazioni sulle condizioni future». I cambiamenti temporali e spaziali rilevati nel presente studio sulla base dei dati e delle variabili utilizzate mostrano spostamenti per le diverse specie considerate e variazioni importanti nella loro distribuzione.

La rappresentazione della futura ripartizione delle specie è importante per supportare la gestione territoriale delle risorse ittiche, anticipando quelli che saranno gli impatti del riscaldamento del mare e gli effetti sulle zone di aggregazione delle specie giovanili e adulte e, quindi, ottimizzare la pianificazione ed eventuali chiusure spazio-temporali della pesca.

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