Il petrolio è un concetto vecchio e provare a dargli un altro nome, per gli esperti di comunicazione, è un’operazione mediatica dal dubbio risultato. Il 6 ottobre si è svolta l’assemblea dell’Unione petrolifera, associazione di Confindustria nata nel 1948, che include le grandi compagnie che operano nel petrolio in Italia, da Eni a Saras, la società sarda di raffinazione. Hanno deciso di cambiare nome in “Unione energie per la mobilità”.

L’Up ha rimarcato la decisione «storica» di cambiare nome, e ha fatto riferimento «alla forma e ai contenuti dell’assemblea di quest’anno», che hanno riguardato l’ampliamento del perimetro associativo per dare più sostegno ai carburanti alternativi e alla ricerca per la decarbonizzazione. Bruno Ballardini, esperto di marketing e comunicazione strategica, dice che «è una mossa che andava di moda negli anni Novanta», ma oggi «ci cascano solo i polli».

Gli altri cambi di nome

L’Unione petrolifera non è la sola in Italia a provarci. Già nel 2010 Assopetroli, l’associazione indipendente che riunisce dal 1949 i proprietari delle stazioni di benzina, ha assunto la doppia denominazione “Assopetroli-Assoenergie”. Visto che la componente slegata dal petrolio non era abbastanza evidente, l’anno scorso ha deciso di mettere nel logo la seconda dicitura in occasione dei suoi settant’anni.

Il precedente più prossimo a quello dell’Up è la nuova denominazione di Assomineraria, un’altra associazione di Confindustria che ha a che fare con petrolio e gas. L’organizzazione, di cui fanno parte nello specifico le compagnie che si occupano dell’attività estrattiva e nata oltre cento anni fa, a luglio è stata ribattezzata “Assorisorse - Risorse Naturali ed Energie sostenibili” con il fine di porre l’accento sulla nuova consapevolezza relativa al mutamento climatico.

Energia e sostenibilità

Le mobilitazioni degli ambientalisti e dei ragazzi di Fridays for future, spiegano gli esperti di marketing, hanno reso inevitabile una mossa per sintonizzarsi in qualche modo con l’opinione pubblica. Anche la pandemia ha avuto la sua parte nel dare forza a questa necessità. Massimiliano Panarari, sociologo della comunicazione e consulente dice: «Il Covid-19 ha spinto a chiedere sicurezza sanitaria e generale, ma anche la sovranità energetica per la garanzia di alcune strutture». Questa però non può più prescindere dalla transizione energetica: «Uno dei grandi temi contemporanei che la pandemia, invece di soffocare, ha rilanciato».

Il petrolio è vecchio e cattivo

L’Up adesso vuole essere associata a concetti positivi e la parola petrolio non lo è più. Panarari spiega: «Per i consumatori del futuro è una fonte di energia del Novecento». Per i millennials e le generazioni successive il carburante è un tema lontano «ma c’è il nuovo status symbol dell’auto elettrica, pensiamo alla fascinazione per le Tesla ad esempio». Una novità a cui si associa quella della mobilità condivisa. La scelta di inserire mobilità nel nuovo logo Up ha a che fare con la necessità di ampliare lo spettro dei mezzi: «rientrano anche i mezzi pubblici». Il vasto utilizzo della parola energia invece, dice Panarari, si spiega col fatto che è un termine molto meno definito. Petrolio ha un significato concreto, viene associato ai pozzi e alle trivelle, invece l’energia «è un termine con più significati, si va dal cibo alle palestre. È sicuramente positivo». Inoltre, «l’energia non sporca».

Ripensare a sé stessi

Se ai proclami non seguirà niente di concreto, è improbabile che i potenziali clienti cambieranno opinione sulle vecchie aziende petrolifere. Per Ballardini quello dell’Up e delle altre associazioni «è un annuncio verso le nuove energie, ma il processo è molto più lento di un cambio di nome». Per ora non hanno elementi per giustificare una reale pretesa di cambiamento: «non hanno dimostrato nessuna particolare attitudine se non quella di non restare indietro». Quello che è evidente è la preoccupazione. Se il nuovo nome prospetta un cambio di affari, conclude, «è perché ci sono costretti. Il mondo sta cambiando».

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