Il decreto legge approvato dal Consiglio dei ministri, che intende vietare definitivamente lo sviluppo di impianti fotovoltaici su qualunque tipo di terreno agricolo, rappresenta un’offensiva senza precedenti contro la transizione energetica.

Schierandosi senza alcun senso critico sulle posizioni ideologiche e populiste portate avanti dai coltivatori, il governo rischia di interrompere il processo tracciato dall’Unione europea per raggiungere gli obiettivi sull’energia rinnovabile in Italia.

Come Alleanza per il fotovoltaico, in rappresentanza dei principali player italiani del settore, abbiamo già ribadito in passato che non esiste alcun conflitto reale tra lo sviluppo delle rinnovabili e l’agricoltura. Il fotovoltaico a terra, in tutte le sue molteplici declinazioni, non produce impermeabilizzazione del suolo, né alcun impoverimento del terreno e della biodiversità. Il fotovoltaico non pregiudica l’utilizzo agricolo; anzi, è acclarato che consente il risparmio idrico e riduce l’impatto della desertificazione.

Secondo i dati più recenti, la superficie agricola nazionale è di circa 16,5 milioni di ettari, ma soltanto 12,8 milioni sono effettivamente destinati alla produzione alimentare (seminativi, coltivazioni legnose, pascolo e orti familiari), mentre i restanti 3,5 milioni di superficie agricola sono incolti o abbandonati.

A fronte di questi numeri, va detto che soltanto 17.000 ettari di superficie agricola sono attualmente occupati da impianti fotovoltaici. Nell’ipotesi in cui volessimo installare a terra tutta la potenza fotovoltaica prevista in Italia dal Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec) per il raggiungimento degli obiettivi al 2030, sarebbero necessari non più di ulteriori 80.000 ettari circa (appena lo 0,6 per cento della superficie agricola nazionale).

Questi dati incontrovertibili smentiscono l’intero impianto accusatorio utilizzato dalle associazioni di categoria che accusano gli imprenditori attivi nella transizione energetica di voler speculare a danno di chi coltiva la terra. Nulla di più falso, perché chi investe nell’energia solare vuole farlo sui terreni con scarso valore agricolo (banalmente anche per ragioni di prezzo del terreno da acquisire) e non certamente su aree destinate alla produzione agricola di qualità.

In realtà, sono proprio gli agricoltori a proporci di acquistare il diritto di superficie sui loro terreni abbandonati, e in ogni caso, quando stipuliamo contratti con aziende del settore agricolo, è sempre garantita la prelazione agraria qualora ci siano altri coltivatori interessati al terreno.

Sorprende, quindi, che appena una settimana dopo la conclusione del G7 sul clima e il documento finale sottoscritto alla Venaria Reale di Torino per triplicare entro il 2030 l’energia prodotta da fotovoltaico, il governo italiano si muova in direzione contraria rispetto a quanto si è impegnato a fare con gli altri partner internazionali. Se la norma varata dal Consiglio dei ministri dovesse essere approvata in parlamento, si impedirebbe la realizzazione di oltre l’80 per cento degli impianti fotovoltaici necessari, bloccando la messa a terra di oltre 50 miliardi di euro di investimenti, senza riuscire a tagliare i costi dell’energia elettrica, una priorità per le famiglie e le imprese. Senza dimenticare le ricadute occupazionali, considerando che vengono messi a rischio 150mila posti di lavoro garantiti dal settore del fotovoltaico grazie ai nuovi progetti.

Gli operatori del settore auspicano che il decreto Agricoltura diventi l’occasione per aprire un tavolo di confronto e di lavoro tra mondo agricolo e mondo dell’energia rinnovabile. Ci accomuna il reciproco interesse per la salute del pianeta, della nostra Italia e dei nostri cittadini. È un punto non da poco dal quale si può iniziare una nuova narrazione.

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