I redditi medi degli italiani caleranno del 15 per cento nel 2050 a causa dei cambiamenti climatici. Per quell’anno, quando i nati del 2024 saranno appena entrati nell’età adulta, il conto globale della crisi sarà già di 38mila miliardi di dollari all’anno, secondo una nuova stima fatta con un modello econometrico più accurato e innovativo di quelli usati in precedenza.

Il dato più importante della ricerca, a meno di due mesi dalle elezioni europee e a sette da quelle americane, è che il costo dei cambiamenti climatici sarà sei volte più alto di quello degli investimenti necessari per mantenere l’aumento delle temperature entro l’ultima soglia considerata accettabile dalla scienza per la prospettiva di una Terra abitabile: +2°C rispetto all’èra pre-industriale.

Sopra questa soglia, i costi dei cambiamenti climatici sono destinati a essere ancora più alti. Insomma, questi 38mila miliardi di dollari l’anno sono la parte fissa di quella che potremmo definire “multa climatica”, la quota che già oggi siamo certi di dover pagare, qualunque cosa faremo. Poi ci sarà una parte variabile, che si sommerà e che dipenderà da come andrà l’opera di mitigazione, dalle transizioni ecologiche dei vari paesi e dalla conseguente riduzione delle emissioni di gas serra.

L’impatto dei dati

Questi sono dati scientifici dall’enorme impatto politico. Sono stati pubblicati su Nature e provengono da uno studio del Potsdam Institute for Climate Impacts Research (PIK), l’ente di ricerca finanziato dal governo tedesco e guidato da Johan Rockström, lo scienziato svedese che per primo aveva teorizzato nel 2009 il concetto di «limiti planetari».

La definizione del costo complessivo annuo dei cambiamenti climatici è una delle misurazioni più complesse e allo stesso tempo più importanti da fare. È la valutazione delle dimensioni dell’iceberg verso il quale viaggiamo, è da queste stime economiche che dipendono le scelte sulla decabornizzazione globale.

Da un punto di vista della capacità di previsione, questo nuovo studio è considerato all’avanguardia, perché i modelli sono costruiti sulla base di dati empirici provenienti da oltre 1.600 regioni di tutto il mondo negli ultimi quaranta anni. Inoltre, non sono basati soltanto sull’aumento previsto delle temperature (come di solito fanno questo tipo di strumenti predittivi), ma anche sugli sbalzi termici (che fanno crollare le rese dell’agricoltura) e sulla riduzione delle precipitazioni.

Ci sono altri fenomeni da cambiamenti climatico che i ricercatori non sono riusciti a inserire nei nuovi calcoli, tra questi gli incendi, che renderebbero le stime ancora più elevate.

La maggior parte dei modelli usati finora per valutare i costi dei cambiamenti climatici proiettano i costi della transizione nella prima metà di questo secolo, prevedendo che i danni peggiori della crisi climatica arrivino invece nella seconda metà, creando il dilemma: come convincere le generazioni del presente ad accollarsi costi ingenti oggi per risparmiare i disastri peggiori a quelle del futuro?

Secondo i modelli del Pik, la curva dei danni inizierà invece ad avere un impatto su una scala paragonabile a quella del Covid-19 già nei prossimi decenni. Secondo una stima del Fondo monetario internazionale, nel 2020 la pandemia era costata alle economie globali 28mila miliardi di dollari. Le stime sull’impatto dei cambiamenti climatici nel breve o medio termine finora non arrivavano a tanto.

Una scelta conveniente

Una delle più citate finora era quella del World Economic Forum che, per il 2050, fissava l'asticella del danno climatico tra 1.700 e 3.100 miliardi di dollari l’anno. Passare già per quell’anno a 38mila miliardi è un completo cambio di scala della nostra percezione di quanto grave sarà l’impatto della crisi climatica e di quanto presto arriverà quell’impatto.

Secondo questa nuova analisi, con i cambiamenti climatici il reddito medio globale calerà del 19 per cento. Come spiega Leonie Wenz, una delle scienziate del Pik che hanno guidato lo studio, «la nostra analisi mostra che il cambiamento climatico causerà ingenti danni economici entro i prossimi venticinque anni in quasi tutti i paesi del mondo, anche in quelli altamente sviluppati come Germania, Francia e Stati Uniti. Questi danni a breve termine sono il risultato delle nostre emissioni passate. Avremo bisogno di maggiori sforzi di adattamento se vogliamo evitare almeno alcuni di questi danni. E dobbiamo ridurre drasticamente e immediatamente le nostre emissioni: in caso contrario, le perdite economiche diventeranno ancora più ingenti nella seconda metà del secolo, fino a raggiungere il 60 per cento in media globale entro il 2100. Questo dimostra chiaramente che proteggere il nostro clima è molto più conveniente che non farlo, e questo senza nemmeno considerare gli impatti non economici come la perdita di vite umane o di biodiversità».

Nessuno escluso

Nessuna area del mondo sarà risparmiata da questi effetti di calo dei redditi, compresi il nord America e l’Europa, dove la media delle perdite di reddito sarà dell’11 per cento. Con il 15 per cento, l’Italia è uno dei paesi messi peggio del continente, insieme alla Grecia (meno 17 per cento) e alla Spagna (meno 18 per cento).

Gli impatti maggiori saranno però sulle economie di Africa e Asia meridionale, dove il reddito calerà del 22 per cento. Secondo gli autori, «la distribuzione spaziale dei danni rappresenta una sorta di doppia ingiustizia, perché gli impatti saranno più grandi lì dove c'è una quota inferiore di emissioni storiche e dove i redditi pro capite sono più bassi».

Insomma, il cambiamento climatico colpirà tutte le economie, ma colpirà più duramente i paesi che hanno meno colpa storica per questa emergenza e che avranno meno risorse per adattarsi alle nuove condizioni di rischio. I paesi del cosiddetto sud globale subiranno danni più alti del 60 per cento rispetto a quelli delle economie più ricche e del 40 per cento più alti rispetto ai paesi con più emissioni storiche.

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