In tutti gli ordinamenti nazionali, il riscaldamento globale pone ai legislatori e al sistema economico alcune sfide fondamentali, che non sempre vengono affrontate in modo adeguato e tempestivo.

Il contenzioso climatico è il tentativo di ottenere per via giudiziaria migliori politiche ambientali dai governi o dalle grandi aziende. Il numero dei casi di coinvolgimento dei Tribunali nell’azione per la salvaguardia del clima è in costante e forte crescita almeno a partire dal 2015, quando venne deciso in primo grado un caso pilota olandese.

Allo stesso modo, è in forte aumento l’interesse degli studiosi per il tema, tanto che vengono costantemente aggiornate due diverse banche dati internazionali, il Sabin Centre for Climate Change Law presso la Columbia University di New York  e il Grantham Research Institute on Climate Law and the Environment presso la London School of Economics.

Un recente accurato volume comparatistico identifica quattro sfide globali poste da questo genere di cause legali. Affrontare in modo efficace e proporzionato queste fondamentali questioni consentirà anche di gestire una problematica di crescente rilievo nel diritto internazionale sul clima (e non solo): quello della adeguata, equilibrata e razionale risposta alle emozioni e alle paure della popolazione.

La sostenibilità

La prima sfida riguarda sostenibilità e giustizia ambientale. La sostenibilità concerne l’elemento temporale del cambiamento climatico, che, in mancanza di efficaci interventi, scaricherà sulle future generazioni il peso di quanto sta avvenendo.

La giustizia ambientale è invece relativa all’elemento spaziale, nel senso che le azioni per il contenimento del riscaldamento globale (mitigazione e adattamento, soprattutto) devono essere congegnate, come del resto previsto dagli accordi internazionali sul clima, in modo tale da realizzare anche migliori condizioni di giustizia comparativa fra i popoli e le nazioni.

Chi inquina paga

La seconda concerne il principio “chi inquina paga”. Cruciale in generale nell’ambito del diritto internazionale dell’ambiente, il principio “chi inquina paga” assume, nel discorso sul clima, una sua connotazione persino più pregnante. Grazie alle misure di contrasto verso il riscaldamento, i costi del cambiamento climatico non sono più necessariamente esternalizzati, ma, se vi è la volontà politica di farlo, possono essere internalizzati.

Il vero problema consiste ovviamente nelle difficoltà esistenti sul piano tecnico-scientifico per determinare con sufficiente certezza, anche stabilendo le proporzioni relative, le specifiche responsabilità (fra gli stati, fra le aziende, ecc.) per il riscaldamento del pianeta.

Chi comanda sul clima?

La terza e più delicata sfida riguarda i rapporti fra potere legislativo e potere giudiziario. Chi comanda sul clima? Il crescente protagonismo delle Corti (nazionali e internazionali) nel settore del cambiamento climatico pone all’attenzione una questione di rilievo costituzionale con riferimento al noto e tradizionale principio della separazione dei poteri.

Dovrebbe in linea di principio essere il potere legislativo a definire le politiche ambientali, dunque anche climatiche, di ogni paese. Ciò peraltro deve avvenire nel quadro e nel rispetto dei Trattati internazionali e dei principi generali del diritto internazionale e costituzionale, la cui violazione può essere oggetto di intervento da parte delle Corti.

La letteratura costituzionale più recente ritiene in prevalenza che, nella maggior parte delle situazioni, i casi climatici proposti alle Corti non comportino invadenze nella sfera riservata alla politica, in quanto gli standard invocati discendono direttamente dalle evidenze scientifiche nel loro collegamento con i principi fondamentali del diritto costituzionale e internazionale. La possibile tensione fra Corti e governi è comunque una conseguenza inevitabile di una situazione di questo tipo e già si è del resto in alcuni casi verificata. Per rendere questa potenziale tensione uno stimolo positivo e non un fattore di blocco, occorrono ovviamente, da parte di tutti gli attori in campo, autocontrollo, senso di responsabilità e consapevolezza dei limiti esistenti per ciascun potere (quello legislativo come quello giudiziario, in questo caso).

Il dovere di protezione

Infine, deve essere affrontata la sfida posta dal cosiddetto dovere di protezione. Siamo abituati a vedere chiaramente indicati nelle Costituzioni i principali doveri di protezione che incombono sugli stati. Questo è ancora raramente vero per le questioni riguardanti il clima, anche se esso sempre più frequentemente sta diventando protagonista del contenzioso costituzionale; fondamentale, da questo punto di vista, è la recentissima decisione della Corte costituzionale tedesca del 24 marzo 2021, che ha ordinato al Parlamento di introdurre, entro la fine del 2022, misure più stringenti per il clima, per una esplicita finalità di protezione delle generazioni future. Il dovere di “protezione climatica” degli stati deve naturalmente essere basato sulla scienza. Non nel senso che il potere legislativo e quello esecutivo siano tenuti a seguire ogni singolo suggerimento della comunità scientifica, ma nel senso che tali poteri non possono legittimamente assumere decisioni di fondo che siano scientificamente irragionevoli.

A questi quattro punti, deve essere aggiunta una riflessione ulteriore. Vi è infatti un interessante – quanto delicato – collegamento fra il tema della trasparenza e fiducia negli stati come chiave dell’implementazione del Trattato di Parigi e il tema del contenzioso climatico. È evidente infatti che nei paesi dove il contenzioso climatico è una possibilità e anzi ormai una realtà (come quelli europei o gli Usa), il controllo sulla trasparenza e sul rispetto della fiducia da parte degli stati avviene anche dall’interno degli stessi stati. In altri paesi invece, come la Cina, dove al momento non è pensabile un contenzioso climatico dei cittadini contro le Autorità (se non forse per problemi marginali o locali), ogni verifica sulla trasparenza può avvenire solo per il tramite della comunità internazionale. Nel complesso, il contenzioso climatico insegue l’antica utopia della rule of law, della possibilità cioè per il singolo individuo di osare l’impossibile nel nome della legge. Un pensiero utopico che tuttavia non è un lusso, ma uno strumento decisivo proprio nei periodi di grave crisi.


Il testo è un estratto dal libro Non esistono diritti tiranni, di Luciano Butti (Mimesis 2023, pp.168, euro 16)

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