Con il voto finale della Camera dei deputati è stata definitivamente approvata la modifica degli articoli 9 e 41 della Costituzione, introducendo cosi la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni, tra i princìpî fondamentali dell’ordinamento repubblicano e condizionando l’attività di impresa alla loro salvaguardia.

La modifica costituzionale origina dai lavori della Commissione governativa istituita dal secondo governo Conte, presieduta da Valerio Onida e composta, tra gli altri, da Beniamino Caravita, costituzionalista di grande spessore umano e professionale, recentemente scomparso.

Le questioni su cui riflettere sono almeno quattro.

In primo luogo, dal punto di vista strettamente giuridico, le modifiche non fanno altro che dare evidenza a una consolidata giurisprudenza costituzionale: da più di quarant’anni, infatti, la Corte riconduce ai princìpî fondamentali la tutela ambientale e ritiene che l’attività di impresa debba essere necessariamente compatibile con la salute umana e l’ambiente.

Tale innovazione, tuttavia, ha un forte valore simbolico: la Costituzione non è solo un regolamento di competenze ma è, prima di tutto, espressione della cultura di un paese e della sua comunità ed è un messaggio e una guida per i futuri cittadini.

Sguardo al futuro

In secondo luogo, emerge un elemento di novità ovvero l’esplicito richiamo ai diritti delle future generazioni: è una formula fortemente voluta dall’Alleanza per lo sviluppo sostenibile fondata da Enrico Giovannini. Questo nuovo principio potrebbe indurre a estendere a qualsiasi movimento giovanile il diritto ad agire in giudizio per tutelare un bene ambientale.

Al tempo stesso tale previsione dovrebbe portare alla istituzione di veri tribunali ambientali, ovvero corti specializzate e dedicate al pari di quelle che si occupano dei minori o del lavoro.

In terzo luogo occorre registrare come, per la prima volta, siano state apposte modifiche a quella parte della Costituzione denominata “Princìpî fondamentali” che, fino a ora, era sempre stata sottratta a ogni ipotesi di riforma.

A partire da una nota sentenza della Corte costituzionale del 1988, infatti, si è sempre detto che vi fosse un “nocciolo” duro di valori costituzionali immodificabili e che tra questi vi rientrassero, quanto meno, i primi dodici articoli della Costituzione.

In sostanza si riteneva di poterli modificare – almeno in linea teorica – solo al fine di ampliarne la portata e non per restringerne l’efficacia: tuttavia, onde evitare di aprire un varco a possibili interventi “restrittivi”, la politica, fino a ora, si era sempre astenuta dall’incidere sui primi dodici articoli. Oggi cade questo tabù, e non è detto che sia positivo.

I prossimi passi

C’è un’ultima questione, non solo giuridica ma con evidenti ricadute pratiche anche politiche.

Come più volte la Corte costituzionale ha spiegato, la tutela ambientale non è una torta che si divide a pezzetti tra diversi livelli di governo e, nel medesimo livello di governo, tra diversi apparati. All’opposto, essa è una questione trasversale che deve plasmare tutte le policy, in modo uniforme.

Ne derivano almeno due conseguenze. La prima è che occorrerà re-intepretare l’articolo 117 della Costituzione che ripartisce le competenze tra lo stato e le regioni (e la cui interpretazione ha consentito taluni interventi regionali ad esempio in materia di rifiuti) alla luce del novellato articolo 9 che imputa la tutela dell’ambiente in capo alla Repubblica nel suo insieme e quindi anche alle regioni.

La seconda è che si dovrà ripensare il modello di governance nazionale in materia ambientale: dopo la soppressione del ministero dell’Ambiente e la confluenza di alcune sue competenze nel nuovo ministero della Transizione ecologica (meglio: energetica), appare necessario, da un lato, che vi sia un forte coordinamento a palazzo Chigi delle questioni ambientali che devono diventare la cartina di tornasole con cui valutare preventivamente ogni azione di governo (anche, se del caso, con uno specifico sottosegretario delegato al tema) e, dall’altro, che l’attuale Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) sia trasformato in una vera Agenzia per l’ambiente, rendendola pienamente autonoma rispetto al governo.

Proprio per il valore sacro che la Costituzione ha in ogni ordinamento democratico, occorre ora che il parlamento dia seguito con immediatezza alla modifica approvata e non disilluda chi in questa novità ha visto un segnale positivo.

© Riproduzione riservata