Il fisco ha chiesto un miliardo di tasse non versate alla famiglia che controlla il gruppo Campari, uno dei marchi del made in Italy più noti al mondo. Secondo l’Agenzia delle Entrate, i Garavoglia hanno spostato in Lussemburgo la quota di maggioranza della multinazionale del bitter aggirando la cosiddetta exit tax, l’imposta da pagare, a determinate condizioni, sui profitti realizzati trasferendo all’estero la residenza fiscale di una società.

Sul caso indaga anche la procura di Milano e la notizia, resa nota mercoledì in serata, ha dato uno scrollone in Borsa al titolo, che giovedì ha perso oltre il 3 per cento. L’innesco della vicenda risale al 2019, quando il pacchetto di controllo di Campari approdò nel Granducato. Il trasloco andò in scena grazie alla fusione tra Alicros, holding italiana della famiglia milanese, e la controllante Lagfin, con base, appunto, in Lussemburgo.

Va detto che l’anno dopo anche la multinazionale quotata in Borsa cambiò bandiera. Dal giugno 2020 la sede legale di Campari si trova infatti in Olanda, in modo da sfruttare i vantaggi offerti dalle norme locali. In sostanza, i Garavoglia, cioè il presidente Luca e la sorella Alessandra, possiedono, via Lussemburgo, il 51,4 per cento del capitale che però, grazie alle azioni con voto maggiorato, vale l’82,5 per cento nell’assemblea dei soci.

Campari non è l’unica grande azienda che ha fatto rotta su Amsterdam, dove negli anni scorsi sono sbarcate anche Mediaset e Brembo. A dare l’esempio, fin dal 2014, sono stati gli Agnelli, che all’epoca portarono nel paese dei tulipani la sede di Fiat-Fca, poi diventata Stellantis dopo la fusione con la francese Psa. Negli anni successivi è stata la volta di Ferrari, della holding Exor e della capofila delle attività di famiglia, l’accomandita Giovanni Agnelli sapa.

Le affinità non si fermano qui. A ben guardare si scopre anche che le due famiglie condividono un percorso molto simile. Compresi i guai con il fisco, visto che nel 2022 Exor e l’accomandita Giovanni Agnelli pagarono in totale poco meno di un miliardo (949 milioni) per chiudere il contenzioso con l’Agenzia delle entrate sul trasferimento in Olanda delle due holding.

Banca svizzera

L’indagine di questi giorni riguarda il Lussemburgo, ma l’accusa è la stessa, il mancato pagamento dell’exit tax. Alla luce di questo fatto non sorprende che agli atti dell’inchiesta ci siano alcuni messaggi in cui Luca Garavoglia avrebbe chiesto consigli a John Elkann sui consulenti a cui rivolgersi per gestire il trasferimento all’estero. La richiesta si spiega anche con la lunga frequentazione tra le due famiglie. Tra l’altro, il presidente di Campari nel 2003 entrò nel consiglio di Fiat, dove è rimasto per un decennio.

Dagli documenti ufficiali emerge anche un’altra coincidenza, che porta l’insegna della banca svizzera Pictet, uno dei marchi più noti della finanza elvetica. Ebbene, prima della fusione con la lussemburghese Lagfin, il 46 per cento del capitale della società milanese, quella a cui faceva capo il controllo di Campari, era intestato per conto dei Garavoglia alla P fiduciaria, controllata da Pictet.

La stessa P fiduciaria che secondo le indagini della procura di Torino avrebbe presto i suoi servizi anche agli Agnelli per schermare attività nei paradisi fiscali.

Come noto, l’inchiesta dei magistrati nasce dalle denunce di Margherita Agnelli, figlia dell’Avvocato e madre di John Elkann, che sostiene di essere stata privata di parte dell’eredità miliardaria del padre e poi della madre Marella Caracciolo. E qui, ancora una volta, la storia finisce per assomigliare a quella degli eredi del gruppo Campari.

Anche Luca e Alessandra Garavoglia hanno dovuto difendersi dalle accuse della sorella Maddalena, che riguardavano, tra l’altro, la spartizione del patrimonio dopo la morte nel 2016 della madre Rosa Anna Magno. La vertenza si è risolta nel 2022, dopo quasi vent’anni di scontri in tribunale. Una soluzione che per gli Agnelli sembra, per il momento, a dir poco improbabile.

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