Era nell’aria da tempo ed è successo il mese scorso: Fiat non è più la marca di automobili più venduta in Italia. In base ai dati del ministero dei Trasporti, nel dicembre 2023 sono state immatricolate in Italia 10.523 vetture del marchio torinese contro le 10.752 della rivale storica Volkswagen; Fiat resta in testa per l’intero 2023, con 174.580 vendite contro le 122.794 del marchio tedesco. Lo storico sorpasso deriva sia dalla buona performance di Volkswagen (più 21 per cento sul dicembre 2022) che dal calo di Fiat (meno 16 per cento) la cui quota di mercato è scesa al 9,5 per cento dall’11,9 di un anno prima.

In un mercato che a dicembre è cresciuto del 5,9 per cento, come si spiega il ribasso di Fiat? Secondo Salvatore Saladino, country manager per l’Italia della società di indagini di mercato Dataforce, «dicembre è un mese in cui di solito i costruttori inseguono gli obiettivi di chiusura che il mercato non ha regalato. La cosa che più mi ha stupito in questo fine anno è stato soprattutto l’andamento di Fiat e dell’intero gruppo Stellantis che, come mai successo in passato, sembra indicare una vera e propria scelta di non intervenire».

Fiat e il dossier incentivi

Anche i marchi Jeep (meno 16 per cento) e Alfa Romeo (meno 9 per cento) sono in effetti andati male a dicembre: che sia un mezzo per fare pressione sul governo in vista del rinnovo degli incentivi all’auto? Nel merito del provvedimento si entrerà con il tavolo automotive che il ministero delle Imprese ha convocato per giovedì 1 febbraio.

Secondo indiscrezioni l’ultima bozza sul tavolo del ministro Adolfo Urso, prevede per le auto a batterie incentivi da 6.000 euro fino a 13.750; l’aiuto per l’acquisto di un veicolo ibrido dovrebbe andare da 4mila a 10mila euro, e quello per un’auto a basse emissioni dai 1.500 ai 3.000 euro. Continua dunque l’incentivo a veicoli ibridi, eliminato in quasi tutta Europa, e addirittura quello a vetture con emissioni di CO2 perfino superiori agli obiettivi Ue per il 2025; il primo serve a sostenere le produzioni dei suv Jeep Renegade e Compass, e Alfa Romeo Tonale; quello alle auto impropriamente definite “a basse emissioni” aiuterà la vecchia Panda.

Il governo punta a utilizzare risorse per 930 milioni, sommando 570 milioni di nuovi fondi per l’automotive a quanto rimane non speso dei “vecchi” incentivi. L’intervento riguarda anche veicoli commerciali, taxi e noleggi a lungo termine, e per un esperimento di “leasing sociale” simile a quello attivato in Francia sono previsti 50 milioni. Il rischio, sottolineano le associazioni della filiera, è che l’attesa destinata a protrarsi per qualche mese contribuisca a raffreddare la domanda riducendo quindi le vendite.

Al traino di Panda

Sul calo delle vendite Fiat pesano anche fattori di lungo periodo come la progressiva contrazione della gamma e il suo invecchiamento. Su 10.523 vetture immatricolate da Fiat a dicembre, quasi 7mila (6.992) erano Panda, ovvero due su tre. Il peso non è molto diverso nell’arco dei 12 mesi: 102mila unità su 174mila. La Panda ha però ormai dodici anni e si avvicina a fine produzione, prevista per il 2026.

Il marchio Fiat ha storicamente dominato il mercato italiano dell’auto, fin dagli anni Venti del Novecento e per tutta l’epoca del miracolo economico del secondo Dopoguerra. Fino al 1974, più di un’auto su due venduta in Italia veniva dall’azienda torinese e ancora nel 2001, anno della prima grande crisi del gruppo, le vendite targate Fiat erano comunque pari al 25 per cento del totale.

L’arrivo di Sergio Marchionne al Lingotto nel 2004 raddrizzò la posizione finanziaria, anche al prezzo di una progressiva ritirata dalle posizioni di mercato. Marchionne aveva pensato di sostituire di fatto il marchio Fiat con una specie di “marchio 500”. Di qui i lanci di 500L e 500X, due modelli dal successo limitato e attualmente vicini a fine corsa. La gamma del marchio Fiat è stata progressivamente ristretta a due minicar popolari – la Panda e la 500 (prodotta peraltro in Polonia) – e qualche modello di contorno, come le citate 500L e 500X o la Tipo fatta in Turchia.

Anche altri marchi storici hanno portato produzioni all’estero e hanno perso quote di mercato, ma Volkswagen resta numero uno in Germania, così come Renault e Peugeot occupano i primi due posti in Francia. Quanto a Fiat, l’unica nazione in cui ha conservato una posizione dominante è il Brasile.

La perdita di posizioni di mercato del marchio e dell’intero gruppo ha comportato il progressivo dimagrimento della struttura industriale italiana, che ha visto di recente la chiusura dello stabilimento Maserati di Grugliasco mentre altre fabbriche producono al di sotto della loro capacità.

Proprio al Tavolo automotive si dovrebbe discutere su come riportare la produzione italiana verso il milione di unità annue, furgoni compresi. Sgonfiato quasi del tutto il ruolo del marchio Fiat, la presenza futura di Stellantis in Italia dipende da qualche modello Jeep, come Renegade e Compass; da eventuali produzioni di auto dell’ex gruppo Peugeot; e soprattutto da due marchi di gamma media e alta come Alfa Romeo e Maserati. Questi ultimi, però, si trovano ancora in mezzo al guado in cui li aveva lasciati la gestione Marchionne, e sono in ritardo nella transizione all’elettrico.

Chi invece continua ad aumentare le vendite sono i due colossi mondiali dell’auto elettrica, Tesla e la cinese BYD. Quest’ultima ha conquistato il primato nel quarto trimestre 2023, vendendo 526mila auto a batterie contro le 484mila dell’azienda guidata da Elon Musk; Tesla rimane in testa nei dodici mesi: 1,8 milioni di unità vendute contro 1,6 milioni.

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