In attesa che vengano rinnovati i Consigli di amministrazione delle società partecipate, i conflitti di interesse si sono già riproposti. Lo scorso 13 aprile, il Mef ha presentato la sua lista per il rinnovo degli organi sociali di Eni.

Tra i nomi è presente quello di Roberto Ciciani, a capo del Dipartimento VI del Tesoro che si occupa anche della «garanzia statale per i crediti all’esportazione e vigilanza sull’attività del gruppo Sace», l’assicuratore pubblico controllato dal ministero dell’Economia e delle finanze (Mef) che copre dai rischi politici e commerciali le società italiane nel loro export e investimenti.

Si tratta cioè del referente tecnico-politico della società. Ciciani sarà così a un tempo controllore del garante, e parte dell’impresa interessata. Un cortocircuito che ripete un’anomalia che si era già presentata in veste differente in passato, e su cui né Sace né il ministero dell’Economia hanno mai risposto.

Il caso Giansante

A maggio 2022, il Cda di Sace ha nominato Filippo Giansante come presidente. Fino a qui niente di male, essendo Giansante funzionario di lungo corso del Tesoro: tuttavia, per lo stesso motivo è anche membro in quota Mef del cda Eni, partecipata al 30 per cento dal pubblico tramite il Mef e Cassa depositi e prestiti.

In sintesi, la più alta carica dell’istituzione pubblica che tutela gli investimenti delle aziende private italiane siede presso l’organo decisionale di un beneficiario passato e, potenzialmente, futuro.

È plausibile pensare che il presidente di Sace non sia stato riproposto onde evitare polemiche, soprattutto in vista delle possibili richieste di garanzia per i progetti esteri di Eni, nonché per quelli legati al Pnrr, ma il problema rimane.

Le porte girevoli

Più di un anno fa ReCommon metteva in guardia sulle porte girevoli e i potenziali conflitti di interesse tra le istituzioni di finanza pubblica e le multinazionali del fossile. In quell’occasione, Rodolfo Errore aveva lasciato la presidenza di Sace per approdare ai vertici di Ludoil, società attiva nei settori petrolifero e petrolchimico.

In attesa del bilancio d’esercizio e consolidato 2022, non ancora reso pubblico nella sua interezza, i dati 2016-2021 attestano che Sace abbia emesso garanzie per progetti oil&gas per un volume complessivo di 13,7 miliardi di euro.

Le garanzie sono assicurazioni sui progetti delle multinazionali o garanzie sui prestiti delle banche commerciali per quegli stessi progetti. Se le cose vanno male, Sace rimborsa le aziende o le banche: in entrambi i casi con soldi pubblici. Tra questi progetti troviamo Coral South Flng di Eni in Mozambico.

Nel 2017, Sace ha emesso infatti una garanzia sui prestiti di Ubi Banca (ora parte del gruppo Intesa Sanpaolo), UniCredit e altre banche internazionali coinvolte nel finanziamento del progetto, del valore complessivo di 700 milioni di dollari.

Si parla poco delle conseguenze dei progetti fossili nel paese africano, ma ancora meno del fatto che Eni, in partnership con ExxonMobil, voglia aggiungere al suo portafoglio Rovuma Lng, mega-progetto di gas nell’area di Cabo Delgado.

Le società puntano a ottenere entro il 2023 i prestiti dalle banche necessari alla costruzione dell’opera. In un contesto così instabile come quello mozambicano, è difficile che le banche possano prestare soldi senza il coinvolgimento di agenzie come Sace.

L’interrogazione

Una questione, quella del potenziale conflitto di interessi in capo a Giansante, ripresa con un’interpellanza urgente (2-00114) anche dal gruppo Alleanza Verdi e Sinistra presso la Camera dei Deputati. Il testo dell’interpellanza, presentato durante la seduta del 28 marzo 2023, chiedeva tra le altre cose «se non si ravvisi un potenziale conflitto di interessi laddove il presidente del Cda di Sace è anche membro del Cda dell’Eni».

Ma il 31 marzo, la sottosegretaria del ministero dell’Economia, Lucia Albano, è intervenuta per conto del governo rispondendo solo su altro, optando invece per il silenzio sulla questione relativa a Giansante. A rendere la vicenda del potenziale conflitto di interessi ancora più grottesca, c’è il muro di gomma rappresentato da Sace.

Il 23 febbraio ReCommon ha presentato un’istanza di accesso agli atti, con cui si chiedeva di prendere visione o di ottenere copia di documenti, atti, dati e informazioni detenuti da Sace in merito a procedure, controlli, metriche e processi che l’assicuratore pubblico adotta per dare sostegno della corretta prevenzione e gestione dei rischi legati a potenziali conflitti di interesse, soprattutto nel caso di richiesta di assicurazione o garanzia sul credito per una operazione in cui è coinvolta una società nei cui organi statutari è presente un componente che risulta altresì membro degli organi statutari di Sace.

La risposta dell’assicuratore pubblico, arrivata a ReCommon in data 27 marzo 2023, recita: «Con riferimento all’istanza richiamata in oggetto e facendo seguito agli approfondimenti svolti dalla scrivente società, comunichiamo che il diritto di accesso alla documentazione da parte di ReCommon è escluso in quanto integra un’ipotesi di accesso agli atti preordinata al controllo generalizzato e diffuso dell’operato di Sace, e come tale, risulta incompatibile con la normativa vigente in materia».

Risulta difficile pensare che un’istituzione come Sace non abbia procedure che informino la governance di queste situazioni, ma ha scelto di rimanere in silenzio.

Serve una legge

L’Italia, a differenza di molti paesi europei, degli Stati Uniti, del Canada e della stessa Unione europea, non ha una legge sul conflitto di interessi capace di regolare in modo organico ed esaustivo il fenomeno delle porte girevoli. Il passaggio dal settore pubblico a quello privato di un politico o di un funzionario pubblico non è privo di rischi.

Questi potrebbero infatti portare con sé informazioni preziose e avvalersi di una rete di relazioni capaci di avvantaggiare l’azienda, l’ente privato o la società partecipata in cui sono chiamati a svolgere il nuovo ruolo, compromettendo l’interesse pubblico.

Nell’ordinamento italiano sono presenti una pluralità di norme sul conflitto di interessi e sulle porte girevoli che creano un quadro giuridico frastagliato e schizofrenico, privo di sanzioni e controlli efficaci. La legge Frattini, per esempio, pone un freno relativo alle porte girevoli solo per gli ex titolari di cariche di governo, e non per i parlamentari.

A regolare parzialmente le porte girevoli in uscita per gli ex dipendenti pubblici c’è invece la legge Severino, che impone un periodo di raffreddamento per tutti quelli che hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni negli ultimi tre anni di servizio. Queste lacune sono valse all’Italia più richiami da parte del Greco, il Gruppo di stati contro la corruzione, e dalla Commissione europea, che ha esortato il nostro paese a regolamentare i conflitti di interessi per prevenire la corruzione e proteggere i fondi del Pnrr. Per le multinazionali di stato o partecipate come Eni, rimane da risolvere una questione di fondo, sollevata anche dal professor Pier Luigi Petrillo su Domani.

Eni, Enel, Snam, Cdp tutelano interessi pubblici o perseguono fini incompatibili con quelli generali? Il fatto che lo stato ne sia azionista di riferimento non garantisce che perseguano l’interesse pubblico.

È evidente che servano norme sulle porte girevoli e i conflitti di interesse, capaci di regolare anche i casi che coinvolgono le multinazionali partecipate dallo stato. Nel mentre, la nomina di Ciciani per il cda di Eni e il silenzio di Sace sulle procedure per prevenire potenziali conflitti di interesse rischiano di gettare ombre sulla già faticosa transizione ecologica italiana.

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