Sono informazioni d’interesse pubblico, ma per acquisirle bisogna richiedere un accesso agli atti. Questa è la risposta del Ministero delle Imprese, se si chiedono informazioni sul programma Investor Visa for Italy, cioè la legge che consente a cittadini stranieri extra Ue di ottenere un permesso di soggiorno in Italia a condizione che investano somme rilevanti in aziende o titoli di stato del nostro paese.

Come tutti i programmi di cittadinanza e residenza per investimento (CRBI nell’acronimo inglese), anche quello italiano presenta profili controversi e proprio per questo motivo sarebbe necessaria la massima pubblicità.

Bisognerebbe sapere quanti visti vengono richiesti e quante persone vengono rilasciati, quale volume di investimento viene generato per l’economia nazionale. Soprattutto, sarebbe indispensabile conoscere le nazionalità degli investitori che richiedono il visto, e che ottenendolo si aprono la strada verso l’acquisizione del passaporto italiano, ma che intanto possono tranquillamente circolare per l’area Schengen.

Durante l’ultimo anno del governo presieduto da Mario Draghi è stato pubblicato un primo rapporto annuale di monitoraggio, ma con l’arrivo a Palazzo Chigi di Giorgia Meloni quegli stessi dati sono stati coperti da riservatezza. E se si prova a chiederli via mail al ministero, dalla segreteria del Comitato Investor Visa for Italy giunge risposta (con annesso doppio refuso) che “al fine poter ottenere i dati richiesti, rappresentiamo che deve inoltrare istanza di accesso gli atti secondo quanto previsto dalla L. 241/1990 ovvero accesso civico secondo quanto previsto dalla L. 33/2013”.

Che cosa dice la legge

Come spiegato da Domani già a novembre 2020, nell’intento di attrarre investimenti i singoli stati mettono a disposizione di possibili investitori un visto che presenta condizioni agevolate, se non addirittura il passaporto (come succede a Malta e, fino a non molto tempo fa, a Cipro e in Bulgaria). In cambio l’investitore deve iniettare denaro nell’economia nazionale, scegliendo in un menu che prevede un tariffario e delle opzioni d’investimento.

Il programma di Investor Visa è stato varato dal governo Renzi con la legge di bilancio del 2017. In una prima fase il menu degli investimenti era il seguente: 2 milioni di euro in titoli di stato, 1 milione di euro in finanziamento di società per azioni già esistenti, 1 milione di euro in “attività filantropiche” (come, per esempio, contribuire al restauro di un bene culturalmente rilevante), e 500mila euro a titolo di investimento in start up innovative. Le norme stabiliscono che il visto duri 2 anni e sia rinnovabile per i successivi tre. A quel punto, come prevede la legge, il visto diventa permanente e al decimo anno si può ottenere la cittadinanza italiana.

Il fiasco assoluto dei primi anni di applicazione convince nell’estate 2020 il governo giallorosso guidato da Giuseppe Conte a abbassare nettamente le pretese e offrire agli investitori stranieri ulteriori vantaggi. Parte di ciò è contenuta nel Decreto Rilancio di luglio, che prova a tamponare gli effetti della pandemia.

Due delle opzioni di investimento vengono dimezzate nel tariffario: la richiesta di finanziare società per azioni passa da 1 milione a 500mila euro, quella di finanziare start up passa da 500mila a 250mila euro. Ma la misura decisiva contenuta nel successivo Decreto Semplificazione (settembre 2020), che intervenendo sul Testo Unico Immigrazione elimina per gli investitori l’obbligo di risiedere sul territorio nazionale per ottenere il visto.

La rimonta

L’effetto di questa revisione è che le cifre del programma Investor Visa Italia segnano un rialzo. E di ciò dà conto il primo e unico rapporto di monitoraggio pubblicato dal ministero a gennaio 2022, sotto il governo Draghi.

Il rapporto presenta i dati relativi al 2021 e parla di “un forte incremento” nelle richieste e di un investimento estero complessivo che nell’anno tocca i 40 milioni di euro. Cifre che rimangono modeste se paragonate alle performance di altri paesi. Giusto per avere un’idea, il programma portoghese di GoldenVisa ha attratto nello stesso anno 460,8 milioni di euro e ha toccato il record nel 2015 con 915,6 milioni di euro (dati IMI Daily).

Dopo l’insediamento del governo Meloni è calato però il buio su questi dati. Il rapporto sul 2022 non è mai stato pubblicato. I relativi dati sono stati resi noti a luglio 2023 dalla rivista Altraeconomia, che ha dovuto parecchio insistere per ottenerli. Risulta un ulteriore e leggero rialzo delle richieste, senza grandi incidenze sull’investimento complessivo.

Ciò che viene rimarcato dalla testata è che l’Italia si è adeguata con grande ritardo alla richiesta della Commissione Ue, avanzata dopo l’invasione russa in Ucraina, di sospendere i Golden Visa ai cittadini russi e bielorussi: la sollecitazione è di marzo 2022, l’Italia l’ha accolta soltanto a agosto 2023.

E adesso sarebbe anche tempo di leggere un rapporto di monitoraggio sul 2023. Ma per averlo bisogna fare una richiesta di accesso agli atti. E chissà cosa mai ci sarà di così delicato da richiedere un atto formale.

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