Se c’è già un vincitore della guerra in Ucraina si chiama Recep Tayyip Erdogan. Martedì ad Ankara «il dittatore con cui è necessario trattare» ormai su tutti i fronti, dal grano alle politiche migratorie, ha accolto il premier Mario Draghi e cinque ministri del governo italiano per il primo vertice intergovernativo degli ultimi dieci anni, che ha portato la firma sotto i riflettori di molti accordi e fuori dai riflettori il confronto su vari fronti caldi: dalle forniture energetiche alla Libia.

Attualmente dalla Turchia passano i 1840 chilometri della Trans adriatic pipeline, che collegano l’Arzebaigian al Tap che dalla Grecia porta il gas in Puglia: al momento è tra le principali vie di approvvigionamento energetico dell’Italia. Come avvertiva la relazione annuale del nostro dipartimento per la sicurezza, la Turchia «ambisce a diventare il principale hub di passaggio di gas verso l’Europa».

Erdogan, del resto, è anche un attore fondamentale per la sicurezza del gasdotto libico Greenstream, a maggiore ragione quando l’altro attore non europeo presente in Libia è la Russia di Vladimir Putin. Draghi ha dichiarato che Turchia e Italia hanno gli stessi obiettivi a proposito della Libia – «pace e stabilizzazione» – e che quindi «il coordinamento tra i due paesi diventerà più stretto».

Collaborazione nel mar Nero

Ad aprile, poi, il presidente turco ha firmato un decreto per sfruttare il maxi giacimento di gas scoperto nel mar Nero nel 2019 che dovrebbe cominciare la produzione all’inizio del 2023. Ieri Erdogan ha confermato la partecipazione dell’Italia all’affare a cui da tempo è candidata a partecipare la partecipata (in crisi) di Eni e Cassa depositi e prestiti: «Abbiamo parlato di una collaborazione nel giacimento di gas Sakarya» per la costruzione di un gasdotto sottomarino, ha spiegato il leader turco.

Ambizioni mediterranee

Il progetto a lungo termine di Erdogan è quello di invertire la dipendenza energetica dall’estero, diventare un crocevia per le nuove strade del gas, e in futuro un produttore. Per questo negli ultimi mesi ha cercato la distensione con Israele proponendo una collaborazione per il trasporto del gas in Europa. Ma questo suo progetto va di pari passo con il suo nazionalismo aggressivo nel Mediterraneo orientale e dove le tensioni con la Grecia e con Cipro per lo sfruttamento dei giacimenti non sono mai state così forti.

Per Atene e Nicosia il contenimento del presidente turco passa anche dalla realizzazione dell’EastMed, una pipeline che collegherebbe i giacimenti di fronte a Libano, Israele ed Egitto a Cipro e Grecia e Italia. Il progetto è stato sostenuto a spada tratta dall’ex ministro Carlo Calenda e rientra ancora tra i progetti strategici comuni dell’Unione europea.

Al momento però l’esecutivo italiano ha prorogato la possibilità di realizzare la sua tratta fino all’ottobre 2023. Sul progetto pesano dubbi di fattibilità – la conclusione degli studi tecnici è prevista per la fine dell’anno – sui costi e sui tempi: se nel 2050 si deve uscire dall’industria fossile ha senso costruire un maxi progetto che potrebbe essere pronto se tutto va bene nel 2028?

Ma c’è ovviamente anche una questione politica e strategica e un accordo all’interno della maggioranza di governo non c’è – ieri il dibattito parlamentare sulle risoluzioni è stato rimandato. La Lega è a favore considera il progetto un modo per proseguire nella diversificazione, il Partito democratico chiede una valutazione dei costi e benefici alla luce di una strategia complessiva. Che, a giudicare dalla visita di ieri, passa anche dal presidente turco.
 

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