All’esito di un’indagine durata otto mesi la Commissione europea ha concluso che l’industria cinese delle auto elettriche sta beneficiando di sovvenzioni governative, le quali avvantaggiano illegittimamente sui mercati internazionali le imprese nazionali rispetto ai concorrenti degli altri paesi, in particolare quelli europei e, quindi, ha deciso di adottare, a partire dal 4 luglio in via provvisoria, dazi compensativi: la notizia è stata immediatamente resa nota al fine di cercare una soluzione concordata con la Cina.

Qualora la consultazione non dovesse condurre a una soluzione efficace, le misure compensative provvisorie potrebbero diventare definitive quattro mesi più tardi e il loro valore potrebbe spingersi fino al 38 per cento di quello delle auto, pari a quanto la Commissione ritiene sia il vantaggio derivante dalle sovvenzioni. Solo un produttore, Tesla, in considerazione di una richiesta motivata in tal senso, sarà destinatario di una compensazione calcolata ad hoc.

Guerra commerciale

Si tratta di misure che, evidentemente, impatteranno negativamente non solo sui produttori cinesi (e sul quello europei ivi stabiliti, come BMW), ma anche sui consumatori europei, dal momento che comporteranno un sensibile aumento dei prezzi di vendita al dettaglio delle auto elettriche cinesi, e finanche su alcuni settori dell’automotive europeo, che forniscono componenti ai colleghi cinesi, e che infatti non si sono detti particolarmente felici dell’iniziativa. E non è un caso, infatti, che la Commissione abbia avviato l’indagine d’ufficio e non, a differenza di quanto invece accade più di frequente, su segnalazione degli operatori commerciali europei del settore.

È solo l’ultima battaglia di una guerra commerciale che si sta combattendo su più fronti, tra più attori, e a più livelli e che, lungi dall’esser “senza quartiere”, è regolata da norme di diritto internazionale e dell’Unione europea.

Quest’ultima e la Cina, infatti, sono membri dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc), l’organizzazione internazionale, nata nel 1995, che amministra quasi ventimila pagine di accordi commerciali che impongono la liberalizzazione degli scambi internazionali di merci, servizi e sfruttamento commerciale dei prodotti coperti da proprietà intellettuale.

Sistema “a semaforo”

Tra questi accordi ce n’è uno, quello sulle sovvenzioni e le misure compensative che, sulla base di un sistema “a semaforo”, inquadra proprio le sovvenzioni pubbliche in tre categorie.

Quelle “rosse” sono sempre vietate e suscettibili di reazione da parte dello stato “danneggiato”: si tratta delle sovvenzioni all’esportazione e di quelle condizionate all’uso preferenziale di merci nazionali; quelle “gialle” sono vietate solo se specifiche – volte ad avvantaggiare, cioè, un determinato settore produttivo – e qualora producano un pregiudizio per gli interessi di uno stato membro, e sono, invece, legittime in assenza di questi due requisiti; quelle “verdi”, infine, sono sempre legittime: si tratta delle sovvenzioni non specifiche concesse per sostenere la ricerca, aiutare regioni meno sviluppate o, ancora, che si dimostrano necessarie per adeguare le infrastrutture esistenti a obblighi di tutela ambientale.

Ebbene, in relazione alle prime due categorie ogni membro interessato può adottare unilateralmente dazi compensativi e contestarne la legittimità dinanzi agli organi contenziosi dell’Omc. Ricordiamo che il sistema di soluzione delle controversie ivi previsto, almeno in teoria, contempla ben due gradi di giudizio: l’organo di appello, però, in questo momento non è in grado di operare perché i suoi giudici, decaduti tempo fa per scadenza naturale del loro mandato, non sono ancora stati sostituiti, essenzialmente a causa dell’opposizione statunitense. Alcuni paesi hanno approntato uno strumento arbitrale alternativo al fine di cercare di supplire al blocco.

Peraltro, nel merito, ogni misura compensativa, per essere legittima, può ammontare solo al valore strettamente necessario a compensare il vantaggio derivante dalla sovvenzione, essendo invece illegittima per la parte eccedente, sostanziandosi, in quel caso, a sua volta una misura protezionistica.

Tutela dell’ambiente

Ora, sebbene la Commissione non abbia ancora pubblicato gli esiti definitivi dell’indagine, da alcuni leaks è emerso che aiuti economici governativi sarebbero stati rintracciati lungo tutta la catena produttiva delle auto elettriche cinesi, dall’estrazione delle materie prime alla produzione di celle per batterie, dalla fabbricazione delle automobili ai servizi di spedizione necessari per portarle in Europa; tali aiuti, peraltro, sarebbero stati adottati a tutti i livelli – nazionale, regionale e locale – e avrebbero assunto le forme più svariate: alcune più generiche, come prestiti agevolati, sgravi fiscali e sovvenzioni dirette, altre più specifiche, come la fornitura di litio e batterie al di sotto del prezzo di mercato, l’emissione di “obbligazioni verdi” e la concessione di incentivi all’acquisto delle auto da parte dei consumatori.

È possibile, quindi, che le sovvenzioni cinesi alle auto elettriche possano esser fatte rientrare quanto meno nell’area “gialla” dell’Accordo sulle sovvenzioni dell’Omc, ed esser quindi, almeno astrattamente, legittimamente passibili di reazione anche unilaterale da parte dell’Ue.

D’altro canto è altamente probabile che la Cina, che già ha contestato le conclusioni della Commissione, possa impugnare a sua volta le misure compensative europee dinanzi agli organi di soluzione delle controversie dell’Omc. Va detto che le misure di promozione delle auto elettriche potrebbero anche esser interpretate, alla luce di altre norme di diritto internazionale sia appartenenti al sistema Omc sia esterne ad esso, come strumenti di tutela dell’ambiente, con la conseguente necessità di provvedere quindi a un complesso bilanciamento tra norme commerciali e interessi di altro genere e che le misure Ue potrebbero apparire, in questo caso, come surrettiziamente protezionistiche o addirittura di “lotta politica”, ciò che ne minerebbe la legittimità alla luce degli obblighi internazionali derivanti dagli accordi commerciali multilaterali.

Il ruolo dell’Omc

Inoltre, come ulteriore reazione, la Cina ha anche aperto un’indagine nei confronti della carne di maiale europea, al fine di verificare che i produttori europei non stiano vendendo in Cina a prezzi inferiori a quelli considerati “normali”.

Anche questo comportamento è regolato da uno specifico accordo dell’Omc: esso, che prevede il divieto di dumping sui prezzi, cioè la vendita di un bene su un mercato straniero a un prezzo inferiore a quello che è considerato il “valore normale” del bene stesso, analogamente a quanto accade con le misure di compensazione delle sovvenzioni, consente allo stato che subisce il dumping di adottare un dazio, detto antidumping, appunto, volto a compensare il vantaggio derivante dalla vendita “sottocosto”.

È in questo quadro normativo che i comportamenti dell’Unione europea e della Cina vanno inseriti e letti: sebbene, come dicevamo, in questo momento l’Organo d’appello dell’Omc sia bloccato, i panel giudicanti di primo grado continuano a operare regolarmente e l’Omc a funzionare come il principale gestore giuridico e politico, a livello multilaterale, degli scambi commerciali internazionali tra i suoi 164 stati membri, la stragrande maggioranza degli attori del commercio internazionale.

Quindi, qualora la Cina, anche in considerazione di analoghe misure adottate dagli Stati Uniti nei suoi confronti, dovesse contestare i dazi europei dinanzi agli organi di soluzione delle controversie dell’Organizzazione ciò potrebbe non solo consentire a quest’ultima di continuare a giocare un ruolo rilevante nella ricerca di un equilibrio commerciale multilaterale, ma forse permettere un rilancio delle sue attività, vista le dimensioni delle parti coinvolte e gli argomenti interessati dalla disputa.

Va ricordato, infatti, che il sistema commerciale multilaterale, pur con tutti i suoi limiti, consente comunque a tutti gli stati, indipendentemente dalle loro dimensioni, di contestare i comportamenti altrui: si pensi, ad esempio, al ricorso proposto una decina di anni fa da un micro-stato come Antigua e Barbuda nei confronti di una serie di misure statunitensi che limitavano il commercio elettronico e che vide la vittoria del primo, ciò che a livello politico e diplomatico sarebbe stato, con buone probabilità, molto difficile. 

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