Giorni fa ho impostato un sondaggio su Twitter: «Il mercato immobiliare è un mercato come un altro?» Non mi interessava, ovviamente, fare un’indagine seria (un sondaggio su Twitter non può essere un’indagine seria), ma solo raccogliere delle impressioni, avviare una riflessione, anche in seguito alle recenti proteste sul caro affitti. E non mi interessavano per forza le risposte delle persone “che se ne intendono”, mi interessavano di più quelle delle persone “qualsiasi” (ammesso che esistano).

Sia come sia, più dell’80 percento dei partecipanti ha detto di no: il mercato immobiliare non è un mercato come un altro. Non sappiamo se quelli che hanno risposto in questo modo saprebbero motivare la propria scelta. Di sicuro, istintivamente o no, hanno pensato di dire così. Qualcosa ha portato la stragrande maggioranza a dire così.

Componente emotiva

Il mercato immobiliare è fra i mercati più frequentati dagli esseri umani. Fa parte del paesaggio della vita, in senso fisico e mentale. Le case le abbiamo di fronte agli occhi e le abbiamo nel cuore. Tutti vivono o vorrebbero vivere sotto un tetto, e dunque tutti si trovano prima o poi ad avere a che fare con questo mercato, se non altro per affittare o comprare una casa.

La presenza ineludibile del mercato immobiliare nella vicenda umana, la sua potenza evocativa, gli innumerevoli risvolti legati agli aspetti psicologici di un concetto invadente – a livello esistenziale – come quello di casa, rendono questo mercato particolare rispetto ad altri. Particolare e quasi naturalmente portato ad attrarre la discussione politica. Ma le peculiarità non finiscono qui.

Gli immobili sono beni fisici che non possono essere trasferiti da un luogo all’altro come le merci. Questo fa sì che il mercato immobiliare sia influenzato dalle caratteristiche specifiche di una determinata area geografica, come la posizione, il clima, la vicinanza ai servizi. Inoltre, ogni proprietà immobiliare è unica per dimensioni, planimetria, progettazione e condizioni.

Gli investimenti immobiliari, poi, tendono ad avere un orizzonte temporale lungo. Acquistare, sviluppare o vendere un immobile richiede tempo e impegno, occupa porzioni significative dell’esistenza. Le transazioni immobiliari di solito comportano costi elevati. Oltre a questo, c’è il fatto ovvio che per moltissime persone comprare casa, se mai ci riescono, resta la decisione economica più grossa della vita.

Tornando agli aspetti psicologici, le decisioni di compravendita o di affitto di un immobile coinvolgono forti componenti emotive. Le persone, di norma, tendono a considerare gli immobili come beni di valore personale, spesso legati a sentimenti di stabilità, sicurezza e identità. Vanità dell’abitare all’indirizzo giusto, vergogna dell’abitare all’indirizzo sbagliato.

Scambi di relazioni 

I mercati immobiliari non sono mercati come gli altri, dunque, ma forse potremmo espandere il discorso: nessun mercato è un mercato come gli altri. Perché un mercato non è realmente una struttura predefinita. I mercati non sono oggetti che osserviamo come osserveremmo qualcosa di reale, non so, un mattone, un albero o una galassia. Sono dinamici e coinvolgono la complessa attività umana dello scambio. E lo scambio è relazione, e le relazioni sono incertezza, non solo: sono ricerca di un equilibrio spesso effimero e ambiguo.

I mercati contemporanei tendono a essere formalizzati, cioè sono il prodotto istituzionale dell’azione umana, ma il fatto che l’azione umana si sia sforzata di ottenere una certa forma, e che questo abbia creato l’illusione del mercato come oggetto, non significa che da quel momento in poi il mercato sarà un monumento intoccabile.

Quando si sente dire «il mercato è il mercato» oppure «le leggi di mercato sono queste, non si cambiano» si capisce subito di essere di fronte a persone che ripetono uno slogan, forse a vuoto. I mercati riguardano lo scambio e non solo il calcolo amorale delle scelte. Anche perché le scelte non sono sistemi asettici. Dietro a ogni scelta  c’è una convinzione, uno spunto psicologico o valoriale, una credenza nascosta, un feticcio.

Molti economisti e politici parlano dei mercati come se fossero oggetti reali. Come se le persone si trovassero semplicemente in ambienti di mercato che esistono naturalmente e che vanno preservati, tipo le scogliere, e trovandosi lì rispondessero agli stimoli, intraprendendo azioni egoistiche per massimizzare la propria ricchezza. L’idea del mercato come luogo reale è però una metafora, anzi un tentativo un po’ maldestro di metafora che ha l’obiettivo di ingabbiare qualcosa di sfuggente: lo scambio umano, e dunque la relazione.

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