Dopo l’annullamento parziale del rinvio a giudizio dell’ex cardinale Angelo Becciu e di parte degli indagati, il processo sulla gestione delle finanze Vaticane che dovrebbe riprendere il prossimo 17 novembre rischia nuove complicazioni, almeno stando a alcuni documenti inediti consultati da Domani.

La complessa vicenda dell’acquisto del palazzo di Sloane Avenue a Londra da parte della segreteria di Stato vaticana con i fondi dell’obolo di San Pietro, destinati in teoria a opere di beneficenza, e che si è tradotta in un cattivo investimento che potrebbe fare perdere alle casse del papa fino a 100 milioni di euro, inizia con una lettera in cui si afferma, sostanzialmente, che la segreteria di Stato poteva fare quell’investimento.

È la missiva con cui il 22 maggio del 2013 Credit Suisse London Nominees Limited, tramite Credit Suisse Zurich Ag, sottoscrive il fondo di investimento Athena Capital commodities fund. Una holding controllata dal finanziere Raffaele Mincione, oggi nel mirino dei promotori di giustizia vaticani che lo accusano di aver truffato la Santa sede.

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Investitore Vaticano

In quella missiva Credit Suisse, che da decenni gestisce i denari dell’ufficio oggi guidato dal segretario di Stato Pietro Parolin, fa da intermediario per un beneficiario per cui conferma lo status di «Eligible investor», cioè investitore idoneo all’investimento, e quindi professionale.

In quella prima operazione il beneficiario non viene reso noto. Le operazioni proseguiranno poi notificando il beneficiario, cioè la segreteria di Stato. Eppure, sulla professionalità dell’investitore, il promotore giudiziario che ha avviato il processo contro Becciu e Mincione ha un’altra idea: l’atto di rinvio a giudizio spiegava come l’ente vaticano fosse sguarnito delle competenze per poter affrontare simili investimenti immobiliari e finanziari.

Non si tratta di un dettaglio. Lo “status” dell’investitore è infatti quello che può decidere se un azionista o un obbligazionista è stato truffato o meno, proprio perché ne indica la capacità di comprendere l’operazione su cui sta rischiando i suoi soldi.

Maggio 2021, il segretario di stato, cardinale Pietro Parolin, celebra la messa per la Guardia Svizzera, responsabile della sicurezza del Papa e del palazzo apostolico. Foto: Siciliani/Pool/Spaziani/picture-alliance/dpa/AP Images

Quello che si sa dalle carte dei magistrati del papa è che il rapporto tra Becciu e Credit Suisse era nato grazie al finanziere Enrico Crasso, oggi a processo: è l’uomo che ha gestito i fondi della Santa sede a partire dagli anni Novanta, prima attraverso Prime consulting e poi attraverso Credit Suisse e infine attraverso una sua finanziaria personale.

Secondo i magistrati la colpa è solo sua, anche se in molti si domandano come sia possibile che nessuno dei dirigenti apicali della banca che ha gestito l’operazione con Mincione non sia stato nemmeno ascoltato in Vaticano.

Di certo, secondo i documenti agli atti, un assistente del promotore di giustizia ha incontrato i vertici della banca a Zurigo nel 2019 accompagnando Parolin in una missione che aveva l’obiettivo di verificare lo stato patrimoniale dei fondi della Santa sede.

Proprio attraverso i canali di Credit Suisse, Becciu entra in collegamento con il finanziere Raffaele Mincione. Quando nel 2013 il cardinale Becciu si trovò a rivolgersi ancora una volta a Crasso per chiedergli di valutare una operazione di investimento in Angola, «Crasso – si legge nell’atto di rinvio a giudizio di quest’estate – fu indirizzato dai suoi colleghi di lavoro alla branch londinese di Credit Suisse, ove grazie ad Andrea Negri e Alessandro Noceti, entrò in collegamento con Raffaele Mincione».

Nell’operazione Sloane Avenue è coinvolta un’altra banca: la Citco Bank Nederland Nv, usata come intermediario dalla Banca Svizzera Italiana e anche questa certifica, in almeno una lettera di sottoscrizione del fondo, la capacità del beneficiario di investire e lo classifica come persona non esposta politicamente.

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«Nessuna limitazione»

Il punto rischia di essere rilevante all’interno del dibattimento che dovrebbe riprendere il 17 novembre, dopo che il tribunale ha restituito in parte gli atti al promotore di giustizia.

Così come rischia di essere rilevante il margine di manovra e di autonomia di scelta che lo stesso Vaticano ha conferito per anni ad Angelo Becciu, cardinale che oggi, su spinta di papa Francesco, ha rinunciato a diritti e prerogative della porpora.

Tra i documenti depositati agli atti c’è, infatti, anche una dichiarazione del 21 dicembre 2016, firmata dal segretario di Stato Parolin, e indirizzata alla solita Credit Suisse in cui si legge: «Si conferma che non sussiste limitazione alcuna per quanto attiene all’utilizzo del credito summenzionato e pertanto qualunque utilizzo del credito risulta conforme alla Costituzione Apostolica e al Regolamento Generale della Curia romana nonché a ogni altra norma e/o regolamento eventualmente applicabili alla segreteria di Stato».

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La Santa Messa per le Guardie Svizzere celebrata dal cardinale Pietro Parolin, segretario di stato dal 2013. Foto: Siciliani/Pool/Spaziani/picture-alliance/dpa/AP Images

In quella dichiarazione Parolin conferma anche che «S.E. Monsignor Angelo Becciu, sostituto della segreteria di Stato, può validamente stipulare, in nome e per conto della Segreteria di stato tutti i documenti riguardanti il contratto di credito, con Credit Suisse, compreso l’atto di pegno a garanzie del credito in questione, finalizzato alla conclusione delle operazioni di investimento».

Pochi anni prima Becciu, secondo la ricostruzione della procura, aveva negoziato con Credit Suisse le operazioni chiedendo anche di non datare alcuni documenti. Contattato da Domani per chiarire le vicende che l’hanno coinvolto, l’istituto bancario risponde di «non essere né oggetto dell’indagine condotta dal Vaticano né parte del processo in atto». Ora toccherà al tribunale valutare il peso di quel nulla osta di Parolin e il lascia passare iniziale di diverse istituzioni finanziarie.

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