Una coppia omosessuale che denuncia percosse, umiliazioni e profilazione razziale e sessuale per mano della polizia nel commissariato di polizia di Sassuolo, in provincia di Modena. La storia, avvenuta nel 2020 e svelata su Domani, vede una prognosi di venti giorni complessivi per uno dei due, Samuel Sasiharan, cittadino tedesco di origine cingalese. Ma anche l’obbligo per entrambi di spogliarsi nel corridoio del commissariato e assumere posizioni umilianti, come documentato dai video girati dalle telecamere interne e pubblicati sul sito del nostro giornale.

Nonostante la forza di testimonianze, certificati medici e video, la procura di Modena ha chiesto l’archiviazione per il caso, accolta a fine 2023 dal gip. Gli stessi magistrati, peraltro, nell’archiviare segnalano il «comportamento non consono e poco professionale» di uno degli agenti indagati.

Non è la prima volta che a Sassuolo accade qualcosa di simile. In quel caso, però, gli autori sono finiti a processo: quattro agenti della polizia locale di Sassuolo, sono accusati di tortura.

Il processo per tortura

Proprio mentre Samuel Sasiharan e il suo compagno si rivolgevano alla Corte europea dei diritti dell’Uomo (Cedu) per fare ricorso contro l’archiviazione dei presunti abusi in divisa subiti nel commissariato di Sassuolo, un’altra storia segnava la cittadina modenese.

Il 15 febbraio quattro agenti della polizia locale di Sassuolo - due agenti e due assistenti - sono stati rinviati a giudizio per tortura. I fatti sono avvenuti nell’ospedale della città emiliana a ottobre 2021 e a sporgere denuncia è stato lo stesso dirigente dell’istituto.

I quattro agenti avrebbero picchiato un uomo di origine marocchina, trovato in stato confusionale e portato nel centro sanitario. Secondo quanto si legge nell’esposto, «i quattro indagati, giunti presso la struttura ospedaliera senza che alcuno avesse richiesto il loro intervento, avevano iniziato ad inveire contro il paziente, immobilizzandolo con forza alla barella sulla quale era stato collocato incastrandogli le braccia tra le sponde, percuotendolo ripetutamente sul petto ed al capo, uno di loro salendo con i piedi sul suo bacino mettendosi in posizione accovacciata, chiedendogli con insistenza se avesse assunto sostanze stupefacenti».

Il processo si terrà a maggio e due dei quattro agenti sono anche accusati di falso ideologico. A condurre le indagini sono stati i carabinieri, disinnescando quel cortocircuito che ha invece caratterizzato il caso di Samuel Sasiharan e del suo compagno. Lì le indagini sono state affidate alla polizia di Modena, chiamata quindi a investigare sui suoi stessi colleghi.

La procura di Modena

Negli ultimi anni l’approccio della procura è stato differente in tema di denunce di abusi in divisa.

Quello di Samuel Sasiharan e del suo compagno nella questura di Sassuolo è stato uno degli ultimi casi. Prima a fare più rumore di tutti sono state le richieste di archiviazione portate avanti dalla procura riguardo alla strage di marzo 2020 nel carcere Sant’Anna. Morirono nove persone in circostanze mai del tutto chiarite - tra denunce di omissione di soccorso, violenze e mancato rispetto delle procedure di legge - e la procura si è occupata di otto di quei decessi.

Nel 2021 sono bastate due pagine e mezzo per archiviare tutta quella storia senza individuare alcun colpevole, mentre a giugno scorso è stata chiesta l’archiviazione anche nell’indagine parallela per tortura a carico di 120 agenti coinvolti nei fatti del 2020.

Sempre nel 2023 poi la procura ha chiesto l’archiviazione su una terza indagine relativa a quei fatti, la denuncia per molestie e abuso d’ufficio presentata da due agenti contro il comandante di polizia che aveva guidato le operazioni durante la rivolta.

La procura sta gestendo anche altri due casi di abusi che sarebbero stati commessi da uomini in divisa: quello di Giampaolo Cati, l’ufficiale dell’esercito italiano e direttore del centro Ippico dell’Accademia militare di Modena accusato di violenza privata, molestie e abuso di potere per aver sottoposto soldati (uomini e donne) a un clima di pressione con frasi sessiste, minacce e vessazioni varie; poi c’è la morte nell’ottobre scorso del 30enne Taissir Sakka, per cui sono finiti sotto indagine sei carabinieri.

L’ondata repressiva

Modena detiene un altro record. Nel periodo 2017-2023 sono finiti a processo in circa 600 per fatti legati alle vertenze sindacali, in un territorio segnato da pratiche più o meno trasparenti di subappalto di manodopera da parte di molte aziende.

Si tratta di 593 imputazioni per lavoratori e sindacalisti, 150 imputazioni per reati politici, manifestazioni, volantinaggi, occupazioni e 13 procedimenti a carico di giornalisti e cittadini per quello che hanno scritto su giornali e social. Nessuna città in Italia ha numeri simili.

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