Dopo una stagione al vertice in regular season e un percorso trionfale e autoritario nei playoff, i Boston Celtics hanno concluso l’opera, laureandosi campioni NBA 2024. Chiudendo così la loro rincorsa all’anello: quella che si era già fermata all’ultimo atto due anni fa, con i giocatori principali del nucleo attuale a riscattare quella sconfitta.

Stavolta è arrivato il trionfo per il “coltellino svizzero” Derrick White, per “nonno” Al Horford, per le riserve Hauser e Pritchard, per la stella della squadra Jayson Tatum. E soprattutto per quello che si è laureato miglior giocatore delle Finals, dopo essere già stato il miglior giocatore delle finali di Conference, dimostrando di valere di più del solo ruolo di fedele Robin di fianco al Batman Tatum: ovvero Jaylen Brown, uno dei personaggi più particolari dell’intero universo della NBA.

«È troppo intelligente per giocare nella Lega» disse di lui un general manager nel corso delle valutazioni prima del draft NBA del 2016, in cui venne selezionato dai Celtics con la pick assoluta numero 3, fra le critiche dei tanti che reputavano Jaylen troppo grezzo tecnicamente per essere scelto così in alto.

Ma a Boston andarono in profondità e si interessarono a ciò che ci fosse dietro quella strana affermazione: un ragazzo dalla natura curiosa, desideroso di approfondire le questioni che riguardassero le sue attività, senza lesinare l’applicazione negli studi. Tanto che, dopo essersi diplomato con il massimo dei voti, tra le varie offerte di borse di studio ricevute da atenei dall’importante tradizione cestistica, scelse quella dell’University of California per l’importanza del programma accademico.

I suoi interessi

In un istituto dove rappresentò il miglior giocatore mai reclutato dopo Jason Kidd (attuale coach dei Mavericks, proprio la squadra avversaria in finale, che nel corso della serie ha riservato parole al miele per Brown), vennero subito a galla i suoi interessi extra-cestistici: creò la squadra di scacchi, spesso si ritrovò fra gli organizzatori di proteste studentesche, completò la pre-iscrizione a master post laurea e si dedicò allo studio delle lingue, imparando spagnolo e arabo.

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Una volta arrivato tra i professionisti, non smise di applicare il credo trasmessogli da mamma Mechalle, che nel corso della crescita gli ha ricordato costantemente l’importanza di un impegno a tutto tondo: «Il basket è ciò che fai, non ciò che sei. Ciò che sei si misura con il segno che lasci nel mondo, e per farlo davvero devi abbracciare le giuste cause e far sentire la tua voce contro quelle ingiuste».

E se sul parquet nei primi periodi Brown fece fatica, al di fuori continuò a brillare, diventando il più giovane vicepresidente di sempre dell’Associazione giocatori della NBA, il più giovane di sempre a tenere una conferenza ad Harvard proprio riguardo all’importanza di far sentire la propria voce sulle questioni sociali da parte degli atleti e venendo nominato membro del MIT Media Lab, laboratorio di ricerca interdisciplinare del prestigiosissimo Massachusetts Institute of Technology di Boston. Boston che, pian piano, lo ha visto acquisire un ruolo sempre più importante sui parquet della Lega, dove è diventato un All-Star e l’affiatato complemento di Tatum, all’assalto di un titolo inizialmente sfuggito nel 2022 (dopo aver rinunciato, a inizio stagione, al posto di lavoro offertogli dalla NASA).

Con il faraonico rinnovo di contratto a inizio stagione firmato: un quinquennale da 304 milioni, l’accordo più ricco della storia della Lega, raggiunto dai suoi agenti mentre Brown era in aula al MIT a tenere una lezione di robotica.

In queste Finals, in una squadra dalle tante punte di diamante si è preso il ruolo di protagonista assoluto: in media 20.4 punti, 5.4 rimbalzi e 5 assist nel successo in 5 gare contro i Mavericks che ha riportato i Celtics in cima al mondo della pallacanestro statunitense. Assurgendo a leader come quando, nel 2021, nel corso delle proteste per l’assassinio di George Floyd, guidò per 15 ore da Boston alla sua città natale di Atlanta per essere in prima linea nel corteo contro la brutalità delle forze dell’ordine, ancora una volta schierato contro le ingiustizie a sfondo razziale tanto ripudiate, in qualsiasi ambito.

Restando ancorato al suo pensiero di fondo: «Non sono d’accordo sul fatto che un atleta non possa essere intelligente. Alcune persone pensano che, nel basket, ci siano solo adulti muscolosi che non sanno come controllarsi, deboli mentalmente, non in grado di articolare grandi pensieri e idee. Questa è una narrazione che continuano a cercare di dipingere: stiamo cercando di cambiare una convinzione come questa».

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