Soldi non se ne fanno: soltanto quarant’anni fa a Los Angeles i Giochi Olimpici riuscirono a incassare più di quanto si era speso per allestirli. Anche perché lo sforamento medio dei preventivi a cinque cerchi è del 179 per cento. E praticamente mai l’indotto turistico corrisponde alle attese. Barcellona è stata l’ultima città ospitante ad aver avuto un boom turistico duraturo come conseguenza dei Giochi.

Nel 2004 gli ateniesi furono incentivati dal governo greco a lasciare la capitale durante le due settimane di gare per renderla più facile per atleti, spettatori e giornalisti: funzionò, ma soltanto il trucco del traffico sparito. I Giochi furono l’inizio del processo che portò il paese al fallimento. Gli stadi, i palazzetti, le palestre si tramutarono in moderne rovine, assai meno attraenti di quelle dell’età di Pericle.

A Londra, nel 2012, il periodo olimpico segnò un calo vistoso di presenze rispetto agli standard estivi della capitale inglese: i timori per la sicurezza e i costi esagerati che sempre accompagnano i Giochi tennero accuratamente lontani i turisti che non erano interessati al grande evento.

Da Pechino 2008 in poi al disastro nei bilanci si è associata la piaga degli sfollati, addirittura deflagrata a Rio de Janeiro, quando la favela di Vila Autódromo fu demolita per fare spazio al villaggio degli atleti. Tokyo è stata prima rimandata poi affossata dalla pandemia.

E oggi la paura del terrorismo è un incubo nel mondo in fiamme. Per organizzare i Giochi ci vuole una capacità di sognare che ormai i politici sembrano avere perso, ad ogni latitudine: serve la forza di immaginare che lo sport possa ancora conciliare, mettere insieme, riuscire a ricreare quella magia che ci fa seguire con apprensione il viaggio di una fiaccola da Olimpia fino allo stadio dove quel fuoco rimarrà acceso per due settimane. Un anacronismo commovente.

Duecento giorni e quel fuoco si accenderà a Parigi. Dove adesso è tutto un cantiere, tra poco più di sei mesi ci sarà la parte migliore di noi. Gli atleti dal 26 luglio saranno lì a inseguire l’immortalità sulle pedane sulle piste e sulle pedane, nei velodromi, in piscina.

Il cuore nella banlieue

Per farsi assegnare i Giochi, Parigi ha puntato sull’eredità che questa Olimpiade dovrà lasciare. Non rovine, ma opere di bene: ponti, la Senna restituita alle periferie, piste ciclabili, trasporti, villaggi trasformati in moderni appartamenti.

E la scelta di far battere il cuore dei Giochi in una delle banlieue più difficili di tutto il paese, Seine-Saint-Denis, a nord-est della capitale. Un milione e mezzo di abitanti, il 70 per cento con meno di 45 anni, un tasso di disoccupazione che è il doppio di quello del resto della Francia, un’alta concentrazione di immigrati di prima o di seconda generazione, una forte dimensione multireligiosa. Una polveriera, dove si nascondevano gli attentatori del Bataclan. A Nanterre, dove lo scorso giugno il diciassettenne Nahel è stato ucciso da un poliziotto facendo esplodere le periferie di tutta Francia, c’è il centro acquatico dei Giochi. A Elancourt, dove a settembre un sedicenne è stato investito da un’auto della polizia, una discarica è stata trasformata nella collina che assegnerà l’oro della mountain bike.

Fabbrica di bellezza

È questa Francia non integrata, segregata, violenta e potenzialmente esplosiva che i sognatori dei Giochi pretendono di trasformare in una fabbrica di bellezza. Duratura. L’Olimpiade e la Paralimpiade dovranno rappresentare un acceleratore per il progetto Grand Paris, che vuole avvicinare la Ville Lumière alla periferia più difficile, attualmente separata dal centro dalla barriera (fisica e psicologica) della tangenziale.

Una volta spento il sacro fuoco di Olimpia, a Saint-Denis e a Bobigny rimarranno gli ultimi, ma le banlieue – nelle intenzioni degli organizzatori e della sindaca di Parigi Anne Hidalgo – dovrebbero essere sempre meno ghetti, e sempre più quartieri moderni e vivibili, in cui i ragazzi possano facilmente spostarsi, studiare, fare e ascoltare musica, fare e vedere sport.

Niente cattedrali nel deserto

Il dossier presentato da Parigi per farsi assegnare i Giochi partiva da un dato rivoluzionario: il 95 per cento degli impianti sportivi c’era già, non era necessario immaginare cattedrali nel deserto. Che in qualche caso sono state immediatamente distrutte, come lo stadio olimpico di Atlanta, e altrove sono diventate covi del degrado, come il palazzetto del beach-volley a Pechino. Senza la necessità o quasi di nuovi impianti, il budget presentato da Parigi 2024 era relativamente modesto: sette milioni di euro.

Seine-Saint-Denis ha potuto beneficiare dell’80 per cento degli investimenti pubblici, sul suolo della banlieue sono stati costruiti il villaggio olimpico e il centro acquatico, che lascerà in eredità al territorio due piscine da 50 metri. Lo Stade de France c’era già: ospiterà le gare di atletica e la cerimonia di chiusura. Per tutto il resto c’è la Parigi delle cartoline: beach volley e calcio per non vedenti si giocheranno davanti alla Tour Eiffel, BMX e skateboard sfrecceranno in Place de la Concorde.

I quasi 52 ettari del villaggio olimpico ospiteranno 15mila atleti e rappresentano la Parigi del futuro: appartamenti vista fiume, parchi, scuole, ciclabili. E, proprio pensando al futuro, niente condizionatori: si è scelto di sfruttare i principi dell’architettura bioclimatica, con palazzine distanziate e spazi verdi in cui circola il vento. I costruttori assicurano che ci saranno 6 gradi in meno rispetto all’esterno, ma le nazionali sono già in ansia.

Spento il braciere, il villaggio sarà tramutato in 2.200 case unifamiliari, molte delle quali con tetti coltivabili e un originale sistema per il riutilizzo dei rifiuti. E due alberghi, 100mila metri quadrati di attività economiche e 17mila di servizi. Sulla carta gli appartamenti vista Senna non vanno a ruba: delle 88 unità immobiliari proposte da uno dei costruttori, appena sette sono state vendute, ed è stato necessario abbassare i prezzi a 6.900 euro al metro quadro, al di sotto della quotazione di mercato.

La distanza da colmare

Secondo uno studio critico di Chaboche e Faure, dell’Università di Rouen, l’accumulo di cantieri che affligge ora Saint-Denis sta sconvolgendo le tradizionali attività di scarso valore economico come l’artigianato e il riciclaggio di rifiuti metallici a vantaggio di un’economia mainstream molto lontana dallo spirito olimpico che animava il dossier di Parigi 2024.

La sindaca Hidalgo non cede di un millimetro. A febbraio sottoporrà a referendum l’idea di triplicare il costo della sosta per i suv, progetta di piantare 200mila alberi, ha aumentato le zone pedonali, mette fioriere al posto dei parcheggi, vuole fare degli Champs-Elysées un giardino e arriverà a mille chilometri di ciclabili.

Il ciclismo è aumentato del 1.000 per cento, sul lungosenna si va a piedi, e nel fiume si rivede gente che nuota. Tra i pochi impianti che saranno costruiti grazie ai Giochi c’è Le Prisme, il primo complesso sportivo di Francia completamente adattato a persone con disabilità: 13mila metri quadrati a Bobigny, su tre piani dotati di rampa a spirale per le sedie a rotelle.

Consentirà di praticare rugby, calcio, basket, ping pong, scherma, tiro con l’arco e danza. Aprirà al pubblico a settembre, dopo le Paralimpiadi. Potrà ospitare 10mila persone.

Il problema sarà arrivarci: la fermata della metro più vicina è a trenta minuti a piedi, quella nuova non aprirà prima del 2030.

Dal ghetto alle luci di Parigi la distanza è ancora lunga.

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