Il 22 luglio 2021 Ayman Nour, dissidente egiziano basato in Turchia, riceve un messaggio su WhatsApp. A scrivergli è la dottoressa Rania Shhab, che gli invia un link. Dall’anteprima sembra un articolo di stampa. S’intitola: “La Turchia invita i canali dell’opposizione egiziana a smettere di criticare l’Egitto”. Nour non conosce Rania Shhab, ma vuole leggere quell’articolo: è il classico pezzo che può interessargli.

Nato nel 1964, fondatore del partito liberale El Ghad, Nour ha infatti una lunga storia politica. Ha fatto parte del Parlamento egiziano, è finito in carcere durante il regime di Hosni Mubarak, è stato liberato due anni prima dello scoppio della Primavera Araba, poi ha appoggiato il governo eletto dei Fratelli Musulmani. Quando un colpo di Stato ha portato al potere il generale Abdel Fattah al-Sisi, lui ha deciso di auto - esiliarsi, ma dalla Turchia non ha smesso di fare opposizione con la sua El Sharq TV.

Sono le 14:33 del 22 luglio 2021 quando Nour apre il link. In circa 120 secondi, senza che se ne accorga, lo spyware ottiene accesso ai contenuti segreti nel suo iPhone: contatti, foto, messaggi, documenti. Da remoto possono essere attivati ​​il ​​microfono e la telecamera del telefono. Nei giorni seguenti Nour nota che lo smartphone si surriscalda spesso, a volte si blocca, ma è solo quattro mesi dopo che s’insospettisce, quando un canale tv filogovernativo pubblica sue conversazioni private. Chiede allora a Citizen Lab, un istituto di ricerca dell’Università di Toronto, di esaminare una copia del suo telefono. E scopre di essere stato infettato da Predator.

I file Predator

Negli ultimi mesi abbiamo seguito le tracce di questo software-spia, dei suoi inventori e finanziatori, sostenitori politici e acquirenti. È nata così " Predator Files", un’inchiesta a puntate – nei prossimi giorni pubblicheremo altri articoli - basata su centinaia di documenti riservati ottenuti da Mediapart e Der Spiegel, realizzata da Domani insieme al network EIC (European Investigative Collaborations), con l’assistenza tecnica del Security Lab di Amnesty International.

È la storia di uno dei progetti di spionaggio digitale più ambiziosi d’Europa. Un’alleanza tra società informatiche che, grazie anche alla complicità dello Stato francese, per oltre dieci anni ha fornito a diverse dittature prodotti usati per distruggere avversari politici , spiare giornalisti, attivisti e accademici.

Come possiamo rivelare oggi, Predator è stato venduto infatti ad almeno tre Paesi: Egitto, Vietnam e Madagascar. Il caso del dissidente egiziano Ayman Nour - spiato attraverso Predator, così come il candidato alle prossime elezioni presidenziali, Ahmed Tantawi - indica che l’acquisto del software non era finalizzato a prevenire possibili minacce terroristiche, ma ad infangare avversari politici.

Amesys: da Gheddafi al crack

Gli appassionati del settore ricorderanno lo scandalo Pegasus , scoppiato due anni fa dopo che l’ong Forbidden Stories rivelò come l’omonimo software venduto dal gruppo israeliano Nso era stato acquistato da decine di governi del mondo per hackerare gli smartphone di oppositori politici, giornalisti e attivisti. Con i Predator Files, questa volta è l’Europa a finire nell’occhio del ciclone.

A vendere il software spia nel mondo è infatti un’alleanza formata da due gruppi societari basati in Unione europea: Intellexa, controllato da cittadini israeliani israeliani, e Nexa, al 100 per cento francese. Per comprendere la genesi dell’alleanza bisogna partire dal 2007, quando la società francese Amesys, antenata di Nexa, sviluppa per il dittatore libico Muammar Gheddafi un software chiamato Eagle: secondo una brochure interna, è il «primo al mondo» in grado di monitorare Internet «massicciamente, su scala di un intero Paese».

Anche la Francia lo compra, dimostrano i documenti analizzati per questa inchiesta. E così fanno anche anche alcune ex colonie francesi in Africa: Gabon, Guinea Conakry, Marocco. Sono gli anni della Francia di Sarkozy, ed Eagle viene venduto ad alcuni dei regimi con cui l’ex presidente intrattiene rapporti amichevoli: il Kazakistan di Nursultan Nazarbaev, l’emirato del Qatar e, appunto, il leader libico Gheddafi, finanziatore della campagna elettorale di Sarko.

Nel 2011, dopo la morte di Gheddafi, il Wall Street Journal rivela che Amesys ha venduto Eagle al Colonnello. Subito dopo due ong - la Ldh e la Fidh - presentano un esposto in Procura a Parigi per chiedere chiarezza sulla vicenda. Due anni dopo Amesys finisce sotto indagine con l’accusa di complicità in tortura. La reputazione dell’azienda è distrutta, ma alcuni suoi manager non si perdono d’animo.

Nexa, servizi francesi e dittatori

Il primo di questi è Stephane Salies, fisico francese, che nel 2012 fonda a Parigi la Nexa Technologies . A lui si uniscono subito Olivier Bohbot e Renaud Roques: diventano rispettivamente presidente e amministratore delegato della nuova impresa. Da Amesys, Nexa compra il software Eagle e lo rinomina Cerebro. Documenti interni mostrano che la neonata società nel giro di due anni ottiene parecchi contratti da ministeri francesi e dal Dgse, i servizi segreti esterni di Parigi.

I contatti di Nexa, però, possono arrivare anche più in alto. Nell’aprile del 2018 a Parigi avviene un incontro importante: ci sono alcuni top manager di Nexa, il presidente francese Emmanuel Macron e il suo collaboratore Alexandre Benalla.

EPA

Tra giugno 2020 e giugno 2021, Benalla scambia 499 messaggi WhatsApp con Bohbot, per cinque anni a capo di Nexa. Nel suo nuovo ruolo di consulente privato, l’ex capo della sicurezza di Macron aiuta Nexa a tessere relazioni con l’Arabia Saudita, presentando ai suoi dirigenti un dignitario saudita definito «molto vicino» al principe regnante, Mohammed Bin Salman, l’uomo accusato di essere dietro l’omicidio del giornalista Jamal Kashoggi.

Dopo l’incontro con il contatto di Benalla, i francesi offrono ai sauditi strumenti di sorveglianza. Non è chiaro se alla fine la vendita sia avvenuta, ma di certo tutto questo dimostra il legame strettissimo tra Nexa e lo Stato francese. Sempre secondo carte interne, tra il 2012 e il 2020 la società ha ottenuto almeno 30 commesse in più di 20 Paesi del mondo.

Tra questi ci sono democrazie europee come Svizzera, Austria e Germania, ma anche governi illiberali come quelli di Congo Brazzaville, Oman, Qatar, Kenya, Emirati Arabi Uniti, Singapore, Pakistan, Giordania, Vietnam. Alle domande su questo punto, Salies e Bohbot hanno risposto che non «non ci sono mai stati contratti e/o consegne» con alcuni di questi paesi, senza però specificare quali.

Scappatoia Dubai

Ma com’è possibile che una società francese abbia esportato prodotti del genere e le autorità transalpine non abbiano detto nulla? La nostra inchiesta dimostra che in molti casi Nexa è riuscita ad evitare i controlli di Parigi affidandosi agli Emirati Arabi Uniti. Nel 2012, quando fonda Nexa a Parigi, Sales crea anche una seconda società a Dubai.

Si chiama Advanced Middle East Systems , nella sigla Ames. Formalmente non ha relazioni con l’impresa francese ma, secondo un appunto interno, non è altro che è un «ufficio vendite» di Nexa. I vantaggi di Dubai? Li spiega la stessa Nexa: «Niente imposte sulle società, niente oneri sociali,...niente più problemi con la stampa, più flessibilità nelle procedure di esportazione».

Quest’ultimo è il punto centrale, come chiarisce una lettera scritta da Saliès nel 2014 a un generale dei servizi segreti pakistani: «Recentemente, le autorità dell’Unione Europea hanno rafforzato le restrizioni all’esportazione di tecnologie informatiche e di intercettazione. Fortunatamente, per Advanced Systems questi problemi […] sono completamente eliminati. Tutta la nostra proprietà intellettuale è posseduta al 100 per cento dalla nostra entità negli Emirati Arabi Uniti, pertanto non vi è alcun […] rischio che un’autorizzazione all’esportazione venga rifiutata».

Ottenendo la licenza per esportare i prodotti da Dubai, insomma, la società francese è in una botte di ferro. Anche perché Parigi, pur essendo stata informata dello schema, non si è mai opposto. Secondo un audit interno sulle procedure di esportazione, il contratto di licenza tra Nexa e Ames è stato infatti trasmesso allo Sbdu, l’autorità francese che dà il via libera alla vendita all’estero di materiale dual use (cioè ad uso civile e militare), ma quest’ultimo «non ha mai sollevato obiezioni sul contenuto».

Lo Sbdu non ha risposto alle nostre domande. Salies e Bohbot ci hanno fatto sapere che «la creazione delle aziende non è mai stata finalizzata ad aggirare le norme, le regole sull’export degli Emirati sono le stesse dell’Ue e noi abbiamo già ricevuto dei divieti ad esportare da parte di questa amministrazione». Gli Emirati Arabi Uniti ci hanno scritto ci voler «respingere fermamente qualsiasi accusa riguardante la facilitazione della vendita di sistemi di sorveglianza a qualsiasi Paese».

L’ex spia israeliana Tal Dilian

I documenti aziendali di Ames mostrano che c’erano addirittura premi, provvigioni equivalenti al «4 per cento del margine generato», per i venditori che piazzavano prodotti a Paesi «ad alto rischio» come Iraq, Afghanistan e Libia. I sistemi di sorveglianza di Nexa sono infatti stati venduti anche a Khalifa Haftar, nonostante le Nazioni Unite abbiano già vietato di trasferire armi in Libia.

Lo racconteremo nel dettaglio nei prossimi giorni. Per ora restiamo sulla storia degli uomini che si nascondono dietro Predator. Nel 2018 Nexa non se la passa più bene come un tempo. Con lo sviluppo della crittografia, Cerebro - il prodotto di punta del gruppo - sta diventando obsoleto, fatica a leggere le comunicazioni criptate. Il fatturato di Nexa, che nel 2017 aveva raggiunto 23 milioni di euro, l’anno dopo si ferma a quota 8 milioni.

È in questo momento che in soccorso dei francesi arriva Tal Dilian. Membro dell’esercito israeliano per circa 25 anni, comandante dell’Unità 81 (l’unità tecnologica dell’intelligence militare), dopo essere stato accusato di appropriazione indebita Dilian ha indossato gli abiti civili e si è trasformato in un imprenditore informatico. Si è stabilito a Cipro, ha acquisito la cittadinanza maltese e investito in diverse società specializzate nell’hackeraggio di cellulari. Tra queste c’è Cytrox , basata nella Macedonia del Nord e produttrice del software Predator.

Intellexa, le vendite ad Egitto e Vietnam

Nel febbraio del 2019 Dilian e Nexa annunciano la nascita dell’alleanza Intellexa . L’ambizione è quella di diventare leader globale nel settore dell’hackeraggio di cellulari, grazie a due tipi di tecnologia: la “one-click”, che richiede alla vittima di schiacciare su un link, e la “zero-click”, che necessita solo di essere sufficientemente vicini al bersaglio per entrare nel suo smartphone. È particolarmente quest’ultima quella che interessa al mercato, e infatti Dilian ne dà una dimostrazione davanti alle telecamere di Forbes nell’agosto del 2019.

la dimostrazione fatta da Tal Dilian, davanti alle telecamere di Forbes, del van usato per hackerare telefoni con la tecnologia zero-click di Predator (Simon Toupet / Mediapart)

Dal suo van nero piazzato in una via di Larnaca, a Cipro, l’ex militare in pochi minuti riesce a prendere il controllo di un telefono situato lì vicino. La trovata costa a Dilian una multa da parte delle autorità cipriote, ma i benefici commerciali per l’alleanza franco-israeliana sono infinitamente maggiori. Lo dimostra quanto succede il 31 dicembre 2020 sul gruppo Whatsapp cui partecipano i vertici di Intellexa. Salies ha buone notizie.

Tre mesi prima, nel settembre 2020, Predator era stato presentato alle autorità egiziane. Hanno appena confermato la loro intenzione di acquistare il prodotto, scrive il fondatore di Nexa. «Grande!!!! Buon anno», gli risponde Dilian aggiungendo tappi di champagne. Poco più tardi arriva un altro ordine. Gli uomini di Nexa lo chiamano progetto «Khmer Rossi»: «Il contratto con il Vietnam è firmato, 3, 6 milioni di dollari», annuncia Bohbot, numero due di Nexa.

«Wowhhhh!!!!!», è la risposta di Dilian. Anche in questo caso, il rischio che il regime comunista vietnamita utilizzi la tecnologia per reprimere gli oppositori non sembra attraversare la mente dei venditori diPredatore . Anzi, alcuni documenti interni compilati tra il 2020 e il 2021 indicano che l’alleanza ha provato a vendere il suo prodotto di punta a diversi altri Paesi retti da governi autocratici: Camerun, Malesia, Mauritius, Qatar, Arabia Saudita, Libia.

Per la Sierra Leone, l’offerta consisteva addirittura nel famoso furgone mostrato da Dilian a Forbes, quello capace di infettare un telefono con la modalità zero-click. Prezzo proposto: 24 milioni di euro. Non è chiaro se queste offerte si siano infine trasformate in contratti, ma di certo gli affari allora andavano alla grande. L’alleanza sapeva di poter contare su un prodotto tecnologicamente appetibile, ma anche su appoggi politici importanti.

Quello dello Stato francese, nel caso di Nexa, ma non solo. Anche Dilian e la sua Intellexa avevano qualche santo in paradiso. Come possiamo rivelare, infatti, per la società ha lavorato anche l’ex premier israeliano Ehud Olmert. È stato lui stesso a confermarcelo al telefono, senza però voler aggiungere altro.

La Libia  e gli arresti

Tutto dunque sembrava andare a gonfie vele. Fino al 15 giugno del 2021, quando le cose iniziano a precipitare. Quel giorno la gendarmeria francese perquisisce gli uffici parigini di Nexa e le abitazioni dei suoi manager apicali. Pochi giorni dopo alcuni di loro, tra cui Salies, vengono indagati per complicità in tortura in relazione alla vendita del software Cerebro alla Libia, nel 2007, e all’Egitto nel 2014.

L’anno scorso il Tribunale di Parigi ha respinto la richiesta di rinvio a giudizio per complicità in tortura relativa al caso egiziano, spiegando che l’indagine non è stata in grado di dimostrare il ruolo di Cerebro nelle violenze perpetrate nei confronti degli oppositori di al Sisi.

L’inchiesta sulle vendite al Cairo resta però aperta, così come quella che riguarda la Libia. Nel frattempo, che fine ha fatto l’alleanza Intellexa? Diverse delle società che la compongono sono ancora attive. A marzo di quest’anno Nexa ha cambiato nome in RB 42 , ha annunciato di voler lasciare il settore della sorveglianza e di volersi dedicare unicamente alla cybersecurity.

Sisi e Nour: a sinistra al-Sisi, a destra Ayman Nour.  (Simon Toupet / Mediapart)

Ames è invece ancora presente a Dubai, ha recentemente rinnovato la sua licenza operativa con le autorità locali e lo scorso settembre ha sponsorizzato l’ Iss World Surveillance Trade Show di Singapore. A una richiesta di commento sull’operatività di Ames, Salies e Bohbot hanno risposto che «le attività sono in fase di cessazione», aggiungendo di aver interrotto la collaborazione con Intellexa e abbandonato il campo dell’hacking telefonico.

Anche Dilian intanto è finito sotto i riflettori. Nell’aprile del 2022, i media iStories and Reportes United hanno rivelato il cosiddetto “PredatorGate ” in Grecia, il Paese in cui l’ex spia israeliana aveva spostato la sede di alcune sue società dopo essere stato multato a Cipro. Durante il governo dell’attuale premier di centro destra, Kyriakos Mitsotakis, i servizi segreti di Atene (Eyp) hanno usato Predator per spiare 96 persone, tra cui il giornalista investigativo Thanasis Koukakis e l’esponente del Pasok (centro sinistra) Christos Spirtzis.

La magistratura greca ha aperto un’inchiesta, gli uffici di Intellexa sono stati perquisiti, il capo dei servizi segreti si è dimesso. Quest’estate gli Stati Uniti hanno inserito nella blacklist la greca Intellexa SAe l’irlandese Intellexa Limited con l’accusa di «aver intrapreso attività contrarie alla sicurezza nazionale e agli interessi in politica estera degli Usa».

L’Ue, invece, finora non ha adottato misure del genere. Intanto Predator continua ad essere utilizzato in mezzo mondo. Secondo un rapporto di Amnesty International, a cui l’EIC ha avuto accesso in anteprima, lo spyware è attualmente utilizzato in Sudan, Madagascar, Kazakistan, Mongolia, Egitto, Indonesia, Vietnam, Angola. (1- continua

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