Alfredo Mantovano, in fondo, ha atteso il momento più propizio. E la pazienza potrebbe premiare il sottosegretario con delega ai servizi segreti del governo Meloni. Che adesso, con l’appoggio della premier, ha una pazza idea: occupare un posto strategico dell’intelligence italiana con una persona di assoluta fiducia.

A costo, soprattutto, di sacrificare un nome eccellente e rispettato da tutte le parti politiche: Elisabetta Belloni, guida del Dis, il Dipartimento informazione per la sicurezza dei servizi segreti italiani, pure candidata per 24 ore alla presidenza della Repubblica. Ma il colpo di scena potrebbe essere doppio: perché per Belloni (il cui incarico scade nel 2025) si prospetterebbe infatti non un siluramento, ma un nuovo incarico, sussurrano fonti qualificate a Domani, direttamente a palazzo Chigi, al posto dell’ambasciatore Francesco Talò, consigliere diplomatico.

Talò è stato l’unico a pagare la gestione dilettantesca della telefonata dei due comici russi, i quali, fingendosi un leader africano, hanno interloquito al telefono direttamente con la presidente del consiglio. Dialogo finito poi sul web e sui giornali.

Meloni e Mantovano, dunque, starebbero immaginando un’operazione ardita che trasformerebbe l’episodio imbarazzante della telefonata in un’opportunità per l’esecutivo. Una mossa che - riuscisse - permetterebbe alla destra di mettere le mani pure sul Dis, nodo strategico degli apparati di sicurezza che coordina le due agenzie, Aise e Aisi.

Un terremoto

Ecco dunque l’idea di Mantovano: portare Belloni al posto di Talò, e di fatto toglierla dal Dis. La casella vuota permetterebbe al governo di sistemare una figura politicamente più affine. Mantovano (a differenza di Meloni che la stima molto) non ha mai apprezzato Belloni (promossa da Mario Draghi) ma ha semplicemente finora accettato il suo ruolo.

Dal canto suo Belloni che mai e poi mai vorrebbe lasciare il prestigioso incarico, potrebbe trovarsi in una posizione scomoda: difficile dire opporsi a una nomina di consigliera chiesta direttamente dal presidente del Consiglio.

Lei donna al servizio delle istituzioni, si è distinta come segretaria generale del ministero degli Esteri tra il 2016 e il 2021, sa bene come funzionano le dinamiche del potere. Tutto fa pensare, perciò, che (fosse finalizzato il blitz) accetterà obtorto collo. L’alternativa, cioè che dica no, è quotata bassa, ma resta un opzione possibile. Motivo per cui, le stesse fonti, confermano che l’operazione “mani sul Dis” alla fine potrebbe saltare.

C’è in questo senso pure uno scoglio tecnico non irrilevante da superare. Belloni è in pensione come ambasciatrice. Dunque non potrebbe, almeno sulla carta, assumere il ruolo ufficiale di il consigliere diplomatico a palazzo Chigi, non ha più quelle funzioni.

Non è quindi da escludere che Meloni e Mantovano offrano una nomina per Belloni più generica di consigliere personale della premier, così da bypassare il problema legato alla carica diplomatica e andare a dama con lo spostamento dal Dis a Chigi.

Controllo totale

Il sogno di Mantovano è così a un passo da diventare realtà. Sul successore di Belloni è ancora presto per ipotizzare un nome. Anche perché, va ribadito, la mossa del governo potrebbe comunque arenarsi.

Di certo se dovesse raggiungere l’obiettivo, il solido asse creatosi in questi nel mondo dell’intelligence uscirebbe indebolito. Una proficua collaborazione e reciproca stima tra i tre capi delle altrettante agenzie: Il Dis, appunto, che ha funzione di coordinamento, l’Aise (guidato da Giovanni Caravelli, nominato dal governo giallo rosso Conte 2 e confermato da Draghi) e l’Aisi (al vertice c’è l’esperto Mario Parente, ex Reparti speciali dei carabinieri).

Negli ambienti dei servizi c’è preoccupazione tra chi è a conoscenza dell’operazione architettata da Mantovano. Soprattutto perché il contesto internazionale è fatto di tensioni quotidiane, le guerre e il ritorno del pericolo terrorismo.

E un cambio così rilevante in questo momento porterebbe confusione in apparati che non possono permettersi distrazioni da questioni ben più urgenti. Con il rischio di dover ripartire da zero con ormai rodati meccanismi di cooperazione tra agenzie degli 007 italiani.

Al di là di come andrà a finire, se andrà in porto l’operazione o meno, una cosa è certa: anche solo aver pensato di cambiare uno dei vertici dei servizi in piena crisi internazionale la dice lunga sul metodo del governo Meloni.

Sempre molto attenta a trovare poltrone per i fedelissimi. E poco importa se i tentativi di interferenze russe si intensificheranno con l’avvicinarsi delle elezioni europee e lo stato islamico che torna a fare paura in Europa ispirandosi agli attacchi in Israele del 7 ottobre di Hamas. Se tutta questa attenzione alle nomine fosse stata applicata alla gestione della telefonata dei comici, Meloni avrebbe evitato una figuraccia internazionale e non avrebbe messo a rischio la sicurezza nazionale.

Ma nel governo, ormai è cosa nota, prevale prima di tutto la smania del controllo totale. A meno che il deep state convinca Chigi a non muovere la Belloni. O, in secondo ordine, a promuovere al suo posto un civil servant capace e superpartes.

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