Erano andati a vivere a Sant’Anna, nel comune di Stazzema, perché pensavano fosse un luogo sicuro rispetto alla città. Era difficilmente raggiungibile: non era stata costruita ancora nessuna strada carrabile, l’unica via prevedeva di attraversare i sentieri nei boschi. Eppure, i soldati riuscirono a raggiungere quella frazione comunque.

«Al paese sono arrivati i tedeschi, con l’aiuto della Repubblica Sociale Italiana. È successo questa estate, Angelo, il 12 agosto [1944 n.d.r.]. Le case del paese sono state tutte bruciate e le persone tutte uccise. Anche tua moglie Laura, tua figlia Marisa, tuo figlio Roberto, tua mamma e tua sorella Evangelina, sono tutti morti». Queste righe si leggono nel diario di Angelo Pieri, scampato all’eccidio di Sant’Anna di Stazzema perché lavorava a Serravalle, in provincia di Siena, nel podere di una ricca famiglia.

Sono arrivate fino ad oggi grazie alla figlia avuta dal secondo matrimonio, chiamata sempre Marisa in ricordo della primogenita, che a sua volta le ha affidate alla scrittrice Margherita Lollini. Marisa ha appreso i dettagli della storia di suo padre proprio da quelle pagine conservate in un cassetto e mai aperte prima della sua morte. Dal diario e dalla forza di Marisa nasce La montagna di fuoco (Minerva, 2024), una corrispondenza immaginaria tra Marisa Pieri e suo papà, come se i due potessero raccontarsi quel momento buio della storia italiana e della vita di Angelo.

La storia

Mentre a Sant’Anna di Stazzema erano le prime ore del mattino, a Pietrasanta i soldati si stavano radunando. Come riporta Lollini, appartenevano «alla sedicesima divisione granatieri corazzati Reichsführer-SS, specializzata nella guerriglia anti-partigiana». Da lì, il piano era quello di dividersi in quattro basi fino ad arrivare a Sant’Anna, accerchiandola, accompagnati da fascisti che conoscevano la zona. Quello sarebbe dovuto essere un borgo tranquillo. Era stato indicato dai tedeschi come «zona bianca», cioè un luogo sicuro in cui far confluire la popolazione in fuga dalle città bombardate o dai paesi vicini al fronte.

A differenza di quello che si vede nel film Miracolo a Sant’Anna di Spike Lee, non fu il tradimento di un partigiano a causare la strage. Bensì, come è emerso dalle indagini della procura militare di La Spezia, si trattò di un atto premeditato. Alcuni degli abitanti pensarono erroneamente si trattasse di un rastrellamento, quindi gli uomini fuggirono nei boschi. Quando le truppe arrivarono causarono la morte di centinaia di civili, molti dei quali donne, anziani e bambini. Sette dei borghi di Sant’Anna furono raggiunti e in ogni luogo la violenza fu la stessa: fucilazioni, fuochi appiccati alle abitazioni, distruzione e corpi carbonizzati. In quella strage in poche ore furono uccise 560 persone.

Dopo aver ricevuto la notizia dell’uccisione della sua famiglia, per mesi Angelo non andò a Sant’Anna perché la situazione era ancora pericolosa. Poi, il 28 aprile 1945, insieme alla sorella che viveva a Roma e ancora non sapeva nulla di ciò che era successo, partì diretto verso casa sua. «Arrivato sulla soglia mi fermai, guardando lucidamente dietro a quel rudere, riconoscendo a malapena di esservi vissuto e che vi fosse stata la mia casa», scrive nel diario.

Il tempo e la memoria

Con il passare degli anni quegli avvenimenti rimasero impressi nella vita di Angelo e di tutte le persone che, come lui, si erano salvate per puro caso e avevano dovuto fare i conti con l’assenza della propria famiglia per il resto della vita. Era il 2 giugno 1946 e l’Italia abrogava la monarchia per diventare una repubblica. «Mi recai a votare – racconta nel suo diario – accomodandomi in attesa per tre ore. Non avevo mai visto nulla di simile e capii che in qualche modo quella votazione avrebbe cambiato il voto di un paese intero. Anche se poi mi chiedevo se mai fosse possibile cancellare avvenimenti tali a quelli di Sant’Anna, e la risposta che da solo mi fornivo era che evidentemente non lo fosse».

Nelle situazioni drammatiche a unire le persone sono la disperazione e la capacità di condividere il dolore. Un giorno Angelo incontrò Natalina, una compaesana che durante la stessa strage perse la famiglia, compreso il marito. Alla fine quella vicinanza diventò così stretta che decisero di sposarsi. «La vita non sarebbe più tornata come un tempo, questo era vero e lo sapevo, senza bisogno di ingannare me stesso. Ma, invece che continuare a morire, avrei anche potuto seguitare a vivere nel rispetto del mio dolore. Ed era quello che avevo iniziato a fare». Dopo nove mesi, nacque una bambina: Marisa.

Il dialogo

Angelo non raccontò mai nei dettagli a Marisa ciò che successe a Sant’Anna. In quelle pagine però riuscì a mettersi a nudo e ora, grazie a La montagna di fuoco, anche Marisa può rivelare le emozioni più intime. La tristezza, come dice lei stessa, «da sempre aveva permeato ogni singolo angolo della casa e della vita», fino a quando non aveva sposato Piero. Con lui, che non aveva vissuto direttamente il dramma di Sant’Anna, «sarebbe stato possibile sorridere, senza gravità e senza pesantezze».

«Questo diario – scrive Marisa – mi ha fatto comprendere molte cose che non sapevo e che non potevo capire. Sapevo che tu avevi perso tutti i tuoi cari durante la strage di Sant’Anna di Stazzema, ma non potevo immaginare il grande dolore che tenevi nascosto e fitto dentro di te».

L’armadio della vergogna

I fatti di Sant’Anna sono stati tenuti segreti fino alla metà degli anni Novanta. Fu il giornalista Franco Giustolisi su L’Espresso a denunciare per la prima volta l’esistenza di quello che è stato denominato “l’armadio della vergogna”.

Era un armadio trovato in uno scantinato della procura militare di Roma e conteneva 695 fascicoli che riguardavano eccidi commessi da fascisti e nazisti tra il 1943 e il 1945. Tra quelle carte c’erano i nomi delle vittime, dei colpevoli, gli elementi raccolti dalle forze dell’ordine. Ma poi, nel 1960, i fascicoli furono archiviati e dimenticati. Il ritrovamento successivo ha permesso di istruire il processo per l’eccidio di Sant’Anna, che ha portato a dieci condanne all’ergastolo per dieci ufficiali delle SS.

Oggi di quelle stragi rimane viva solo la memoria, grazie ai lavori come quello di Giustolisi e di Lollini. Ed è così che con La montagna di fuoco il desiderio che Angelo Pieri ha espresso poco prima di morire su quelle pagine non è andato perso: «Credo che quel diario possa diventare immortale: e spetta a Marisa dargli la libertà, affrancarlo, lasciarlo andare nel mondo».

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