Pina ha quasi 70 anni e vive da sola in una casa popolare che ha ereditato dai genitori nel 1996. È una persona con una disabilità al 100 per cento e si muove con una sedia a rotelle. Qualche giorno fa la donna ha chiesto aiuto, senza successo, prima ai vigili urbani, e poi ai funzionari di Aequa Roma, società in house del comune che dovrebbe anche assicurare la manutenzione degli appartamenti di proprietà del comune, le cosiddette case popolari di Erp, acronimo di edilizia residenziale pubblica. Aveva chiesto soccorso perché fuoriuscivano liquami dal pavimento del bagno del suo appartamento.

«Non è la prima volta che accade, ma stavolta la puzza era davvero insopportabile, oltre che molto pericoloso», racconta la donna, mentre apre la porta della sua abitazione al piano terra. «Ho dovuto ricorrere all’auto spurgo privato che mi è costato 106 euro soltanto di chiamata. Sono soldi che pesano, alla fine del mese. Vivo con una pensione di 260 euro, altre 800 le prendo tra accompagnamento e la reversibilità di mia madre. Pago 600 euro la badante che mi dà una mano e il resto che mi rimane lo uso per mangiare e per le spese della casa popolare dove vivo da 25 anni».

Ora, delle pulizie e, più in generale, di qualche piccolo lavoro di manutenzione all’interno di questi palazzi, se ne occupa Emiliano, che ha 36 anni, risiede nelle “popolari” di Ponte di Nona da vent’anni e vive in un piccolo appartamento insieme al fratello, la cognata e il nipotino. «Ho preso il reddito di cittadinanza per quattro anni, ma ora me l’hanno tolto, nel frattempo non mi hanno mai chiamato per un colloquio di lavoro, così vivo di piccoli lavoretti, ma onestamente».

Dice: «Questi non sono posti per vivere, né adatti agli anziani, né ai bambini, luoghi da cui quelli della mia età possono solo fuggire». Qui, di notte, si sfidano decine di persone ad uno sport: alle corse d’auto clandestine, raccontano altri residenti. In una di queste case colorate abitava il ragazzo di 22 anni che si è schiantato l’anno scorso a 295 all’ora sul raccordo anulare. Gli amici avevano fatto dipingere un murales per ricordarlo, rimosso subito dal comune.

Senza niente

«Ponte di Nona fa parte di un municipio, il sesto, che ha un alto tasso di dispersione scolastica», dice Rosi Randazzo, responsabile del “punto luce” Ponte di Nona di Save the Children. «Il nostro è un programma di contrasto alla povertà educativa e attraverso cui le famiglie e i bambini possono fruire di una serie di servizi, laboratori artistici e musicali, di sostegno al diritto allo studio, e allo sport, in un luogo in cui mancano completamente le strutture pubbliche», conclude.

«C’è solo un centro commerciale, non esiste una piazza, un cinema, una pizzeria, l’unica scuola materna pubblica è stata aperta proprio stamattina, a vent’anni esatti dalla sua costruzione. L’hanno costruita e poi l’hanno lasciata vandalizzare. Così è accaduto anche per i campi sportivi comunali, per la palestra, per tutta l’area che comprendeva i punti verdi di qualità, ora sequestrata ed abbandonata», racconta Pasquale Nappo dell’Associazione inquilini e abitanti (Asia) del sindacato Usb, l’unica istituzione presente nella borgata di Ponte di Nona, dove abitano quindicimila persone e, tra queste, circa un migliaio sono le famiglie che risiedono negli appartamenti gestiti da Erp (Roma Capitale) e da Ater (Regione Lazio).

Sono 170mila le persone che a Roma vivono negli alloggi pubblici utilizzati per arginare il disagio abitativo, ma le case sono 77mila, cioè il 6 per cento del milione e 263mila abitazioni presenti nella Capitale. Come ha calcolato l’osservatorio casa Roma, «il quadrante nord-est è quello su cui grava la maggior parte di alloggi, fortemente concentrati nei quartieri interamente composti da sole case popolari: Tufello, San Basilio, Serpentara e Tor Bella Monaca».

«Per queste case e per questi luoghi la parola chiave è l’assenza di manutenzione», dice ancora il sindacalista, mentre visitiamo le abitazioni delle persone che lui conosce una ad una. Gina è una di queste, ha 63 anni, è una persona disabile al 100 per cento ed anche i due figli lo sono; e per avere una casa popolare qualcuno ha dovuto sfondare un muro per lei, perché nonostante avesse tutte le credenziali per ottenere la casa, la graduatoria non scorreva. Così, ora la donna ha fatto richiesta di sanatoria, ma le sono state addebitate dall’ente le cifre che le basterebbero per acquistare un intero appartamento in una zona di Roma semi-esclusiva.

Tra scelta e necessità

Lasciandoci alle spalle Ponte di Nona e la campagna romana, percorrendo la via Prenestina verso il centro, incontriamo Metropoliz, un’ex fabbrica di salumi abbandonata nel 1978, e che è stata poi occupata a scopo abitativo da 200 persone nel 2009.

Oggi Metropoliz rappresenta un’esperienza unica nel suo genere, perché oltre a dare alloggio a persone provenienti da dodici nazioni di tre continenti diversi, Africa, Europa e America Latina, ospita al suo interno più di 500 opere d’arte frutto del lavoro di circa 400 autori internazionali.

È il “Museo dell’altro e dell’altrove”, il Maam, il cui direttore artistico è il regista Giorgio de Finis, che oggi considera questa struttura di 2mila chilometri quadrati «un’istituzione auto-nominata la cui funzione è rifondare Roma, partendo dalla sua periferia».

Un obiettivo ambizioso a cui sembra dare voler dare corso la volontà del comune, che ne ha approvato la candidatura a patrimonio immateriale dell’umanità Unesco, e ora vorrebbe acquistarlo. Perché, «è l’unico strumento che abbiamo, visto che non possiamo opporci alla richiesta di sgombero», ha detto l’assessore alla casa, Tobia Zevi.

La struttura è tra quelle inserite nella lista degli sgomberi stillata dall’attuale ministro dell’interno, Matteo Piantedosi, quando era prefetto di Roma. Nella stessa lista compare l’ex Eurostar Roma Congress, a pochi metri di distanza, uno stabile costruito con i finanziamenti pubblici per il Giubileo del 2000, che ha funzionato per alcuni anni come hotel gestito da una multinazionale spagnola, fino al suo fallimento avvenuto nel 2011 con il licenziamento in tronco dei suoi 60 dipendenti.

Oggi l’ex hotel è occupato da centinaia di persone in emergenza abitativa. «Le persone che incontro in questo spazio occupato viaggiano sulla soglia di arrivare a fine mese, ovvero di fare fronte alle spese necessarie per restare in città e continuare a lavorare dove si è impiegati, oppure al di sotto di essa», spiega Osvaldo Costantini, professore associato di antropologia all’università La Sapienza.

Costantini, di recente, ha raccontato quest’esperienza nel saggio Riprendersi la Vita, edito da Ombre Corte. E continua: «La grande contraddizione che è stata sollevata dagli abitanti è di produrre ricchezza per la società in cui vivono ma allo stesso tempo di non poterne godere perché la maggior parte del proprio salario viene usato per la riproduzione della forza lavoro».

È lo stesso confine tra scelta e necessità che incontro in altri quartieri. Percorrendo via Palmiro Togliatti, arteria che congiunge alcune tra le più importanti strade consolari di Roma, arrivo nel quartiere di San Basilio; qui, come a Torre Angela, a Torre Maura, a Tor Cervara, il 5 per cento delle persone che vi abitano non ha completato la scuola secondaria di primo grado.

La stessa percentuale, se non di più, la ritroviamo per ciò che riguarda l’indice di disagio sociale, calcolato sulla base di disoccupazione e scolarizzazione. «Qui non c’è la volontà di gestire la cosa pubblica, lo Stato non esiste», dice Michelangelo Giglio, un altro sindacalista di Usb che opera a San Basilio. «Da noi vengono persone che non riescono a pagare il mutuo, ad accedere alle case popolari. Qui il 98 per cento del quartiere è fatto di abitazioni ad edilizia pubblica».

Da queste parti, forse, lo Stato arriva troppo tardi e si manifesta, spesso e solo, o con le pattuglie che controllano da lontano le vedette minorenni delle piazze di spaccio, o con la completa militarizzazione in risposta a gravi fatti di sangue, come vediamo, nei giorni scorso, percorrendo viale dell’archeologia a Tor Bella Monaca.

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