La Corte costituzionale nelle prossime settimane si pronuncerà su un nuovo “caso Cappato”. I giudici della Consulta, dopo l’udienza pubblica del 19 giugno, sono chiamati a esprimersi sul dubbio di legittimità costituzionale sull’aiuto al suicidio assistito fornito a Massimiliano, 44enne affetto da sclerosi multipla, accompagnato in Svizzera da Marco Cappato, Chiara Lalli e Felicetta Maltese dell’associazione Luca Coscioni. In particolare, la questione riguarda un’interpretazione più ampia – relativa alla dipendenza da un «trattamento di sostegno vitale» – rispetto a quelle già individuate dalla stessa Corte.

Il governo Meloni ha deciso di costituirsi parte civile nel processo penale da cui è scaturita la questione di legittimità – sollevata dal gip del tribunale di Firenze, che indaga i tre dopo che si sono autodenunciati al loro ritorno in Italia –, chiedendo che essa sia dichiarata inammissibile o infondata. Secondo l’esecutivo, l’accoglimento si risolverebbe in uno stravolgimento della sentenza 242 del 2019 della Corte costituzionale – che individuava i criteri di legittimità per l’eutanasia – «in senso irragionevolmente ed ingiustificatamente ampliativo», sostituendosi in questo modo al parlamento, incaricato dalla stessa Consulta di legiferare sul tema. Ma le Camere, dopo anni di richiami, non sono mai intervenute con una legge organica per regolare la materia.

«Abbiamo aiutato Massimiliano perché lo ritenevamo fosse nostro dovere, per interrompere una situazione di tortura a cui era sottoposto», ha dichiarato Cappato a margine dell’udienza pubblica. «Se tornassimo indietro lo rifaremmo per lui e per tutte le persone che sono nelle sue condizioni». All’udienza del 19 giugno hanno partecipato, oltre agli avvocati dello Stato, anche i difensori di Cappato, Maltese e Lalli.

Il caso “Massimiliano” e i criteri della Consulta

Nel 2022 Cappato, Lalli e Maltese hanno aiutato Massimiliano, 44enne di San Vincenzo (Livorno) e malato di sclerosi multipla, ad andare in Svizzera per usufruire del suicidio assistito. Prima di morire, Massimiliano ha diffuso un appello in cui spiegava che avrebbe desiderato «essere aiutato a morire senza soffrire in Italia, ma non posso, perché non dipendo da trattamenti vitali».

L’essere dipendente da trattamenti vitali è una delle quattro condizioni individuate dalla Corte costituzionale nel 2019 in riferimento al “caso dj Fabo”, il precedente che – nell’inerzia del parlamento – ha costituito la base giuridica per l’eutanasia in Italia. 

Massimiliano non era sottoposto a un trattamento di sostegno vitale in senso stretto (come è ad esempio la ventilazione meccanica), ma era comunque dipendente dall’assistenza di terze persone per sopravvivere. Per questo avrebbe potuto incontrare ostacoli nell’accedere all’aiuto medico alla morte volontaria in Italia.

Secondo la Consulta, affinché il suicidio assistito sia legale – oltre al requisito più ambiguo della dipendenza da trattamenti vitali – occorre anche che la persona abbia una patologia irreversibile, che sia fonte di sofferenze intollerabili (fisiche o psicologiche) e che sia pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli.

Dopo l’autodenuncia di Cappato per il caso dj Fabo e il successivo procedimento penale, in base all’articolo 580 del Codice penale (che punisce chiunque determini «altri al suicidio o rafforzi l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevoli in qualsiasi modo l’esecuzione»), la Corte costituzionale aveva sospeso la sua decisione per dare modo al parlamento di legiferare in materia e approvare una «appropriata disciplina» sul suicidio assistito.

Ma nell’inerzia delle Camere era stata la Consulta stessa, nel settembre 2019, a delineare le condizioni di legittimità del suicidio assistito in Italia: alla luce di questo Cappato è stato assolto dalle accuse.

Dopo la morte di Massimiliano

Cappato, Maltese e Lalli sono accusati dello stesso capo d’imputazione del caso dj Fabo e rischiano fino a 12 anni di carcere. Il giorno dopo il viaggio in Svizzera, i tre si sono autodenunciati ai carabinieri di Firenze. Lo scorso ottobre la procura fiorentina ha chiesto l’archiviazione perché l’aiuto fornito non sarebbe stato «penalmente rilevante».

È stata poi sollevata la questione di costituzionalità del requisito del sostegno vitale per violazione degli articoli 3, 13 e 32 della Costituzione: «Discrimina irragionevolmente tra situazioni per il resto identiche», e «discende da circostanze del tutto accidentali», «senza che tale differenza rifletta un bisogno di protezione più accentuato».

Le parole di Cappato

«Con questa costituzione (di parte civile, ndr), e nel merito della memoria depositata, il governo Meloni chiede una decisione della Corte che implicherebbe il rischio di una condanna da 5 a 12 anni carcere di Chiara Lalli, Felicetta Maltese e me per avere aiutato Massimiliano ad accedere all’aiuto alla morte volontaria in Svizzera», ha dichiarato Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni e rappresentante legale dell’Associazione Soccorso Civile, l’organizzazione che fornisce informazioni e, in alcuni casi, assistenza logistica e finanziaria per ottenere aiuto medico alla morte volontaria all’estero.

«Oggi non è in discussione il diritto a morire, ma la discriminazione esistente tra diversi malati sul suicidio assistito. Il diritto a morire cambia in base al trattamento di sostegno vitale», ha dichiarato l’avvocata Filomena Gallo dell’associazione Luca Coscioni. «Anche l’assistenza continua è un sostegno vitale. La Corte – prosegue Gallo – è chiamata a pronunciarsi di nuovo sul diritto a congedarsi dalla vita, in assenza di una disciplina legislativa. Si tratta di casi di malattie degenerative e incurabili. Non chiediamo che la cintura di protezione della vita diventi evanescente, ma di definire l’area di non punibilità».

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