La piazza universitaria del 15 maggio è stata intitolata a Shireen Abu Akleh, la giornalista di Al Jazeera uccisa in Cisgiordania l’11 maggio 2022. Studenti e ricercatori chiedono che le università «prendano posizione rispetto al genocidio a Gaza», che venga eliminata «ogni tipo di associazione tra antisionismo e antisemitismo» e tagliato ogni tipo di accordo con le istituzioni israeliane e l’industria delle armi
Piazza San Marco a Firenze, il 15 maggio, si è trasformata in piazza Shireen Abu Akleh, in ricordo della giornalista statunitense palestinese di Al Jazeera uccisa l’11 maggio 2022 mentre stava lavorando e raccontando un attacco dell’esercito israeliano a un campo profughi in Cisgiordania, nella periferia della città di Jenin.
La protesta degli studenti in solidarietà con Gaza, partita dai campus statunitensi, si è estesa a molte università italiane, a partire da Padova, Siena, Pisa, Milano. Studenti, ricercatori e ricercatrici delle diverse università fiorentine hanno colorato con le tende la piazza, a pochi metri dal rettorato, nel giorno della Nakba, “la catastrofe”, cioè l’esodo palestinese. Un giorno che commemora lo sfollamento di oltre 800mila palestinesi a seguito della creazione dello stato di Israele nel 1948.
«Ci uniamo alla mobilitazione internazionale», racconta a Domani Aida Kapetanovic, dottoranda alla sede distaccata della Scuola Normale di Pisa. Studenti e ricercatori di Firenze sono uniti in un’unica piattaforma comune «per chiedere una presa di posizione alle nostre istituzioni rispetto al genocidio a Gaza, che sta continuando in questi giorni con l’invasione israeliana di Rafah», spiega invece Francesca Barba dell’Università di Firenze. Oltre alla maggiore istituzione accademica della città, sono scesi in piazza l’Istituto universitario europeo e la sede fiorentina della Normale di Pisa.
Barba sottolinea l’importanza che venga eliminata ogni tipo di associazione tra antisionismo e antisemitismo, «che viene fatta in modo strumentale per indebolire le proteste pro Palestina». Nel comunicato congiunto preparato dalla comunità universitaria si evidenzia infatti che «esprimere critiche contro lo stato di Israele non costituisce un atteggiamento antisemita». Si chiede quindi alle università di proteggere la libertà accademica dei ricercatori e delle ricercatrici e il diritto a esprimere la propria opinione, a riunirsi, manifestare e protestare dei propri studenti.
«Io sono ebreo e antisionista», racconta poi Daniel Rozenberg, un dottorando del dipartimento di diritto dell’Istituto universitario europeo (Eui), «e sono stato accusato di antisemitismo per il progetto che sto portando avanti nella mia comunità accademica». È tra i fondatori del gruppo di lavoro sulla Palestina, creato due anni fa, «ma l’amministrazione ci ha messo molti ostacoli», precisa.
L’Eui si è espresso a favore del diritto degli studenti, dei ricercatori e dello staff a esprimere il loro dissenso: «Abbiamo bisogno del contributo dei giovani per garantire che la ricerca resti in contatto con un mondo che cambia drammaticamente», ha dichiarato Patrizia Nanz, presidente dell’Eui da marzo 2024, «intendo garantire uno spazio in cui docenti e ricercatori possano formulare domande, anche scomode, quando sembrano mettere in discussione ciò che diamo per scontato, purché ciò avvenga nel rispetto del rigore intellettuale e della dignità delle persone».
Tagliare gli accordi
Un punto centrale della contestazione è la richiesta di «boicottare, disinvestire, sanzionare Israele e le sue istituzioni», di tagliare quindi gli accordi con le università del paese e con l’industria militare. E, in aggiunta, per gli studenti e i ricercatori è necessario che le istituzioni si assicurino che le proprie attività di ricerca non vengano sfruttate a fini bellici, o contrari al rispetto dei diritti umani e del diritto di autodeterminazione.
Nello specifico, «per noi ciò che ci preme di più sono gli accordi, perché l’università di Firenze, essendo l’istituzione più grande, con tutte le facoltà, ha moltissimi accordi con le università israeliane e con la Leonardo (la società partecipata italiana produttrice di armi, ndr), che ha una delle sedi sul nostro territorio fiorentino», prosegue Barba.
Questo «l’obiettivo strategico» degli studenti e delle studenti dell’Unifi, perché le richieste inviate alla rettrice dall’inizio dell’offensiva israeliana non sono state accolte: «La nostra rettrice continua da mesi a rifiutare un dialogo con noi, ha rifiutato tutte le mozioni che abbiamo provato a proporre al Senato accademico, con cui portavamo le nostre richieste», dice Barba, «in qualche modo difende gli accordi, sostenendo che sono università dove è possibile esprimere dissenso, ma sono posizioni totalmente soggettive, non reali».
Da soli, conclude Barba, «non riusciamo ad agire, perché la nostra controparte è un muro di gomma». Anche per questo la comunità dell’università di Firenze si è unita alle altre realtà accademiche cittadine.
La Normale di Pisa si è mostrata invece più aperta: la contestazione iniziata in autunno «per fortuna ha portato a buoni risultati», spiega Kapetanovic, «un’apertura da parte delle nostre istituzioni al dialogo e una presa in considerazione seria delle nostre richieste». Ma occorre «fare ulteriori pressioni, perché questo dialogo venga portato avanti con urgenza», prosegue la dottoranda.
La Scuola Normale ha adottato una mozione a marzo e aperto un’assemblea generale in cui si sta vagliando a livello tecnico in che modo si possono attuare queste richieste. Ma, dice Kapetanovic, siamo in piazza per sostenere gli studenti di Unifi e per fare «ulteriori pressioni sulle nostre istituzioni, perché questo dialogo venga portato avanti con urgenza».
A tutela della comunità accademica palestinese
In piazza San Marco si chiede poi di sostenere la comunità accademica palestinese, per garantire il loro diritto allo studio e alla ricerca accademica, dopo il bombardamento di scuole e università a Gaza. «Fino ad ora, non ci sono stati studenti palestinesi nei programmi Eui e la Palestina è stato un argomento tabù», spiega Rozenberg, che con il gruppo di lavoro ha avviato un appello per il cessate il fuoco a novembre e organizzato il mese scorso una petizione per un Eui inclusivo e contro l’apartheid.
«L’amministrazione non ha risposto alle nostre richieste finora, non hanno preso una posizione esplicita su Gaza ma solo in modo vago sulla “crisi in Medio Oriente”», continua. Il Consiglio accademico dell’Istituto ha pubblicato in queste ore una condanna «alle violenze in corso contro i civili nel conflitto in Medio Oriente, e chiede un cessate il fuoco immediato e il rilascio degli ostaggi».
Rozenberg aggiunge che l’università ha creato un comitato per finanziare gli studenti palestinesi a rischio, senza però aggiornare la comunità accademica sui progressi fatti. «Per questo stiamo protestando», conclude il dottorando, «siamo esausti e abbiamo bisogno che le nostre università ci prendano sul serio».
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