Impedire alle persone in movimento di raggiungere i confini del Vecchio Continente: uno sforzo, quello dell’Unione europea, che negli anni si è fatto sempre più intenso. E sempre più finanziato, con il sostegno, tra l’altro, a programmi per le guardie costiere e la polizia di frontiera di paesi come Libia e Tunisia. Miliardi di euro dei contribuenti per fermare i flussi migratori senza trasparenza e rispetto dei diritti umani, con buona pace del diritto europeo e internazionale. E senza tra l'altro diminuire partenze e arrivi.

Chi è stato rispedito all’inferno racconta storie come questa: «Hanno iniziato a colpirci e ferirci con un lungo bastone di ferro. Poi la Guardia Costiera tunisina ha legato una corda alla nostra barca e ci ha portati con la forza sulla loro». X. viene dalla Nigeria. Nei tre mesi passati a Sfax assiste a violazioni di ogni genere su donne e uomini migranti. Quando prova ad attraversare il mare su una barca di ferro insieme a una trentina di persone, viene intercettato dalla Guardia Costiera tunisina. «È stato tutto molto violento. Ho visto la Guardia Costiera tunisina colpire con un motoscafo una barca con a bordo dei tunisini. Le persone sono cadute in acqua. C’erano bambini, donne, ragazzi... c'era così tanta gente in mare. In totale sono morti cinque ragazzi tunisini. Uno di loro aveva solo 14 anni. Le madri urlavano».

Ad agosto del 2023 il numero di intercettazioni in mare da parte della Guardia costiera tunisina era già arrivato a quota 40mila. Mentre il memorandum Italia-Libia del 2017 «ha portato all’intercettazione in mare e al ritorno forzato di oltre 120mila persone in Libia, facendole precipitare in un ciclo inarrestabile di violenza e sfruttamento».

Intercettare e respingere ha un costo elevato per l’Italia e l’Europa. A mettere insieme i pezzi del puzzle è il rapporto “Oltre i confini, oltre i limiti”, a cura di Profundo insieme ad Arci, ActionAid ed EuroMed Rights, commissionato dai Verdi/Efa del Parlamento europeo e presentato a Bruxelles nei mesi scorsi. È stato rilanciato in un convegno a Roma in cui la società civile ha chiesto al parlamento italiano di agire.

Quanti soldi?

I programmi sono finanziati dall’Emergency Trust Fund for Africa e NDICI (Neighbourhood, Development and International Cooperation Instrument) - Global Europe: fondi per la formazione e l'equipaggiamento delle autorità, compresa la consegna e la manutenzione dei mezzi. Risorse «che provengono in buona parte dall’aiuto pubblico allo sviluppo, quindi che in teoria dovrebbero essere destinate allo sviluppo socio-economico e al benessere dei paesi, non per contenimento dei flussi migratori», spiega Roberto Sensi, policy advisor di ActionAid.

Nel 2015 l’Europa non era preparata a quella che sarebbe passata alle cronache come la “grande crisi migratoria”. Ecco perché, nello scorso ciclo settennale di budget, è stato istituito uno strumento ad hoc, il fondo fiduciario per le emergenze in Africa: oltre 5 miliardi di euro dal bilancio dell’Unione con un piccolo cofinanziamento dei paesi membri, per supportare di fatto le politiche di esternalizzazione in tutta l’Africa subsahariana.

Nel 2021, nel nuovo budget settennale, l’Ue ha istituito un nuovo fondo “di vicinato per la cooperazione internazionale” con una dotazione complessiva di 79,5 miliardi di euro, che «di fatto ha dato continuità ai progetti di rafforzamento delle frontiere, nonostante si fossero già dimostrati fallimentari e fossero evidenti le incredibili violazioni dei diritti fondamentali», spiega Giorgia Jana Pintus dell’ufficio immigrazione, asilo e antirazzismo di Arci.

E l’Italia? Con l’osservatorio The Big Wall, il grande muro, ActionAid monitora la spesa esterna del nostro paese. Dal 2015 ha speso 1,3 miliardi di euro in politica ed esternalizzazione, in parte minima cofinanziando il bilancio europeo e prevalentemente attraverso strumenti ad hoc: il Fondo Africa, poi diventato Fondo migrazioni, e il Fondo Premialità per le politiche di rimpatrio. E poi c'è la cosiddetta Cooperazione bilaterale di polizia, con risorse del Viminale, e il Decreto missioni internazionali. Il 44 per cento del totale - 567 milioni - è destinato al controllo dei Confini, l’1,2 per cento, 15 milioni, alle vie legali. «Una sproporzione gigantesca: perché per finanziare i progetti sulle vie legali serve il consenso politico per rendere questi canali agibili. E poca volontà di far entrare i migranti legalmente si traduce in scarsi finanziamenti», dicono Sensi e Pintus.

La trasparenza

«L’opacità del processo decisionale e la mancanza di trasparenza rendono difficoltosa la comprensione delle erogazioni e degli impegni dei fondi dell’Ue, ostacolando gli sforzi dei parlamentari europei e delle organizzazioni della società civile che si battono per la trasparenza», si legge sul report. E si fanno accordi poco trasparenti perché così «si è in grado in qualche modo di nascondere anche le più profonde criticità di questi finanziamenti». E se rispetto a qualche anno fa è migliorata la trasparenza formale (“con più efficaci risposte agli accessi agli atti”) manca quella sostanziale. Che «contribuisce alla difficoltà a definire chiaramente le responsabilità politiche e legali», spiega Sensi.

Al parlamento europeo sono state presentate differenti interrogazioni, e la Corte dei Conti europea dovrebbe condurre entro quest’anno «un'indagine su come è stato usato il fondo fiduciario per l'Africa, per esempio nell'ambito dei programmi di supporto alla cosiddetta Guardia Costiera Libica», aggiunge Pintus. In Italia, conclude Sensi, «il finanziamento di tutti questi fondi viene sì votato dal parlamento nelle sedi deputate - quando per esempio si vota la legge di bilancio o il Decreto missioni. Ma non c'è alcun ruolo di indirizzo e non c'è alcun ruolo di controllo. E l'azione esterna è stata “informalizzata” con intese bilaterali (da cui poi passano tutte le risorse) come gli accordi di polizia che non richiedono ratifica parlamentare».

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