Mentre alla Cop28 a Dubai si discute la possibilità di concludere un accordo per l’eliminazione dei combustibili fossili, Germanwatch, insieme a Climate Action Network e NewClimate Institute, ha diffuso il suo rapporto annuale relativo al Climate Change Performance Index. L’Italia si colloca tra i paesi con i risultati più bassi del Ccpi. Nel 2024 si trova al 44esimo posto, 15 posizioni sotto al risultato dell’anno scorso. 

Il Ccpi è uno strumento che confronta le prestazioni climatiche di 63 paesi e l’Unione europea, che in totale generano oltre il 90 per cento delle emissioni globali di gas serra. Le categorie analizzate sono: le emissioni di gas serra, le energie rinnovabili, l’utilizzo di energia e la politica climatica. 

Niklas Höhne, fondatore del NewClimate Institute, ha detto: «Vediamo due sviluppi contrastanti: da un lato il boom delle energie rinnovabili e il continuo aggiornamento da parte dei governi dei propri obiettivi in ​​materia di energie rinnovabili. D’altro canto, l’elaborazione delle politiche climatiche in generale ha subìto un rallentamento». 

Germanwatch, invece, ha sottolineato le sue speranze per l’accordo della Cop28. «Una decisione vincolante di triplicare la capacità di energia rinnovabile, raddoppiare l’efficienza energetica e ridurre drasticamente l’uso di carbone, petrolio e gas fino al 2030 potrebbe aprire la strada a un percorso in linea con gli obiettivi climatici di Parigi», ha detto Jan Burck di Germanwatch. 

Il caso italiano 

L’Italia ha ottenuto un punteggio basso per le categorie relative alle emissioni di gas serra e per la politica climatica, mentre all’uso delle rinnovabili è stato assegnata una votazione media. 

Secondo il report, il piano Nazionale per l’Energia e il Clima (Pnec) revisionato nel giugno 2023 non è ancora sufficiente. L’eliminazione graduale del carbone prevista per il 2025 potrebbe slittare per il 2028. Gli esperti hanno sottolineato anche alcuni passi indietro relativi ai combustibili fossili. Il governo italiano ha deciso di investire in nuove infrastrutture come gasdotti o terminali di rigassificazione invece di puntare ad azioni per l’energia pulita e l’efficienza energetica. 

Per le energie rinnovabili, invece, gli esperti sottolineano una mancanza di piani concreti per raggiungere gli obiettivi fissati al 40 per cento nel consumo finale di energia e il 65 per cento per il consumo energetico entro il 2030. Mauro Albrizio, responsabile ufficio europeo di Legambiente, ha detto: «Nonostante il boom delle rinnovabili, la corsa contro il tempo continua. Entro il 2030 le emissioni globali vanno quasi dimezzate, grazie soprattutto alla riduzione dell’uso dei combustibili fossili». 

I risultati del report hanno destato delle preoccupazioni. Il presidente di Legambiente, Stefano Ciafani, ha detto: «Serve una drastica inversione di rotta». 

Altri risultati 

Le prime tre posizioni della classifica non sono state attribuite a nessuno dei paesi analizzati perché «nessuno dei paesi ha raggiunto la performance necessaria per contribuire a fronteggiare l’emergenza climatica e contenere il surriscaldamento del pianeta entro la soglia critica di 1,5° C». Al quarto posto si colloca la Danimarca per la riduzione delle emissioni e lo sviluppo relativo alle energie rinnovabili, seguita da Estonia e Filippine. 

Un caso particolare è quello del Brasile che si colloca al 23esimo posto, guadagnando 15 posizioni rispetto all’anno scorso. I risultati sono stati raggiunti dopo la vittoria di Luiz Inácio Lula da Silva alle elezioni di gennaio 2023. Già nel discorso del suo insediamento, aveva promesso di Lula ha promesso di rilanciare l’economia, combattere fame e deforestazione, ma soprattutto proteggere la democrazia dopo gli anni di Bolsonaro. In meno di un anno, l’Amazzonia ha registrato un calo della deforestazione del 50 per cento rispetto ai dati del 2022. Questo potrebbe portare ad una significativa riduzione delle emissioni. Gli esperti hanno premiato i passi concreti nella giusta direzione del governo brasiliano. 

Tra i peggiori, invece, si collocano Emirati Arabi Uniti, Iran e Arabia Saudita. Tutti e tre sono paesi esportatori e utilizzatori di combustibili fossili. Gli Emirati stanno ospitando questi giorni la conferenza sul clima e lo stesso sultano Al Jaber, nonché amministratore delegato di aziende petrolifere, ha presentato una bozza di accordo che esclude l’eliminazione graduale dei combustibili fossili. La sua decisione ha provocato le critiche dei paesi che invece credono che la Cop28 dovesse rappresentare il punto di svolta per l’emergenza climatica. 

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