Il processo di integrazione europea, viene normalmente fatto iniziare con la famosa dichiarazione Schuman, il discorso tenuto a Parigi il 9 maggio 1950 dall’allora ministro degli esteri francese Robert Schuman. Non a caso il 9 maggio è proprio il giorno dell’Europa.

Il fulcro di quel famoso documento stava nell’aprire una concreta possibilità di superamento delle rivalità storiche tra Francia e Germania, rivalità legate soprattutto alla produzione di carbone e acciaio. L’ambizioso progetto trovò realizzazione poco meno di un anno dopo, il 16 aprile del 1951, con la creazione della Comunità europea del Carbone e dell’acciaio (Ceca). Mettendo in comune la produzione di acciaio e carbone tra le nazioni più potenti del continente, si sperava di poter evitare future guerre.

L’allargamento

Alla Ceca aderirono subito Francia, Germania, Belgio, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi. Da questo momento il processo di integrazione conobbe tutta una serie di tappe che vanno dalla nascita della Comunità economica europea nel 1957, sostituita dalla Comunità europea nel 1992 ed infine dall'Unione europea nel 2007.

Ma c’è un’altra comunità, che è nata più o meno nello stesso periodo della Ceca e che ha avuto a sua volta un impatto fortissimo sullo sviluppo futuro delle istituzioni europee. Il primo giugno del 1951, a Stresa venne presa una decisione storica: Austria, Danimarca, Francia, Italia, Norvegia, Svezia e Svizzera decisero di darsi regole comuni per la tutela delle denominazioni dei formaggi. Nasceva così quella che potremmo definire la Comunità europea dei formaggi.

A Stresa, tecnici e operatori caseari europei siglarono una “Convenzione”, nella quale fissarono norme precise in tema di denominazione dei formaggi con indicazioni sulle loro caratteristiche. Ma soprattutto stabilirono il divieto di concorrenza sui nomi e sulle indicazioni geografiche.

Regole condivise

Il mercato comune europeo era ancora lontano dall’essere pensato e implementato, per quello bisognerà aspettare proprio i trattati di Roma del 1957 e addirittura il 1969 per la chiusura del periodo di transizione.

Ma nonostante questo, il settore lattiero-caseario europeo comprese in largo anticipo la necessità di darsi regole condivise in grado di sviluppare i meccanismi della libera concorrenza senza sfociare nel far west.

Proprio questo è il punto centrale della Convenzione di Stresa: in un continente ancora quasi completamente dipendente dalle importazioni per gran parte delle principali derrate alimentari, l’idea di creare un sistema a salvaguardia principalmente della qualità di certi prodotti poteva sembrare antistorica o addirittura assurda.

Segmentare il mercato

Ma alla base ci stava la consapevolezza di un mondo che stava cambiando e nel quale il problema della scarsità sarebbe stato ben presto del tutto superato, almeno in occidente, dove quindi si stava concretizzando il bisogno di segmentare il mercato, difendendo alcuni prodotti ritenuti di qualità superiore da una concorrenza che ne avrebbe fatalmente abbassato gli standard, ma al tempo stesso senza mettere in discussione l’obiettivo della massimizzazione della produzione di base.

Proprio per questo, ad esempio, l’Italia decise di distinguere il formaggio “di Grana Lodigiano”, che poi divenne il “Grana Padano”, dal “Parmigiano-Reggiano”. Lo stesso Consorzio di tutela del Grana Padano nacque il 18 giugno del 1954, su iniziativa di Federlatte, che riuniva le latterie cooperative e di Assolatte che invece rappresentava le industrie lattiero-casearie, con lo scopo di tenere uniti tutti i produttori, gli stagionatori e i commercianti del formaggio.

Il valore dei consorzi

La nascita del Consorzio del Grana Padano seguiva di pochi mesi l’entrata in vigore in Italia delle prime norme sulla “Tutela delle Denominazioni di origine e tipiche dei formaggi”, che davano seguito proprio alla Convenzione di Stresa.

E se oggi oltre 2 milioni di forme di Grana Padano vanno all’estero, bisogna ricordare che in quel fatidico 1951 era ancora difficilissimo, se non impossibile, definire questo formaggio e quindi era ancora più difficile tutelarlo non solo sui mercati internazionali ma addirittura all’interno dello stesso mercato italiano.

Fino a quel momento, infatti, molto spesso le stesse statistiche sull’export non distinguevano tra grana e parmigiano, perché i confini e le specificità merceologiche erano ancora da definire. Insomma, anche alcune delle nostre più celebrate eccellenze sono il frutto di scelte politiche abbastanza recenti più che di millenarie tradizioni. Non solo l’Europa non ci vuole far mangiare gli insetti, ma ha contribuito in maniera determinate ad alzare il livello qualitativo della nostra produzione enogastronomica e alimentare.

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