- La presidente della Commissione europea von der Leyen ha detto recentemente che, nell’azione di contrasto alla pandemia, va valutata la possibilità di «incoraggiare e potenzialmente pensare alla vaccinazione obbligatoria all'interno dell'Unione europea».
- La salute è competenza degli Stati membri, dunque l’obbligo di un vaccino non può derivare da norme europee. Ma l’Ue può sostenere l’azione degli stati: il programma EU4Health, prevede finanziamenti anche per «iniziative volte a migliorare i tassi di copertura vaccinale».
- È possibile che gli Stati dell’Ue si muovano all’unisono sull’obbligo di vaccino anti Covid, come auspicato da von der Leyen? I fatti, più che le dichiarazioni astratte, dimostrano che essi tendono a uniformare le proprie condotte nella gestione della pandemia.
La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nella conferenza stampa in cui ha presentato la strategia dell’Unione per affrontare la recrudescenza della pandemia da Covid-19, ha detto che è «comprensibile e appropriato» valutare la possibilità di «incoraggiare e potenzialmente pensare alla vaccinazione obbligatoria all’interno dell’Unione europea. Per questo occorre discutere», al fine di individuare un «approccio comune» tra i paesi membri. Le parole di von der Leyen, per quanto espresse come «opinione personale», hanno comunque un peso nella comunicazione istituzionale dell’Unione europea.
Competenze dell’Unione europea
Innanzitutto, serve capire se l’Unione europea disponga di poteri in materia di salute, quindi anche di obbligo vaccinale. Il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue) ripartisce le competenze fra Unione e paesi dell’Ue in tre categorie: esclusive; concorrenti; di sostegno, coordinamento o completamento dell’azione degli stati membri.
I settori di competenza esclusiva dell’Unione (concorrenza, politica monetaria politica commerciale e così via) hanno carattere tassativo, quindi possono essere variati solo con una modifica dei trattati. Nelle ipotesi di competenza concorrente (mercato interno, coesione economica, sociale e territoriale e altre) il potere d’intervento appartiene sia agli stati membri sia all’Unione, e i primi possono legiferare solo se l’Ue non ha ancora provveduto o se ha deciso di non farlo. L’Ue, a propria volta, può agire solo se, e nella misura in cui, un certo obiettivo possa essere realizzato a livello comunitario più efficacemente che a livello di singoli stati (principio di sussidiarietà), e non può andare oltre quanto necessario per conseguire gli obiettivi dei trattati (principio di proporzionalità). Infine, nei settori di competenza complementare (industria, cultura, turismo, ecc.) l’Ue può solo sostenere, coordinare o integrare l’azione degli stati, ma non sostituirsi a questi ultimi.
La salute rientra tra le competenze dei paesi membri, ai quali spetta «definire la loro politica sanitaria e organizzare e fornire i servizi e l’assistenza medica» (art. 168 Tfue). Dunque, un obbligo di trattamento sanitario non potrebbe scaturire da norme dell’Ue, a meno che gli stati non cedessero sovranità all’Unione, con una modifica dei trattati. L’Ue ha una mera competenza complementare «per garantire la tutela della salute pubblica e il raccordo della “dimensione sanitaria” con le altre politiche e priorità europee» (art. 168 Tfue). È in forza di tale competenza che l’Unione, per il tramite della presidente della Commissione, ha indicato l’obiettivo comune dell’obbligatorietà di vaccino anti Covid-19, al fine di contenere in maniera più efficace la pandemia.
Minacce transfrontaliere
L’attività di coordinamento per il contrasto a un problema di salute di carattere transfrontaliero, se pure non legittima un intervento normativo dell’Unione in tema di obbligo vaccinale, può comunque determinare azioni diverse. Si tratta di azioni poste in essere sin dall’inizio dell’emergenza pandemica. Tra queste rientra il Sistema di allarme rapido e reazione (Sarr), che consente «alla Commissione europea e ai paesi dell’Ue di essere costantemente in comunicazione al fine di emettere eventuali allarmi, valutare i rischi per la salute pubblica e stabilire le misure necessarie per proteggerla». Il Sarr è gestito dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc), agenzia di sanità pubblica indipendente che supporta la Commissione e fornisce consulenza ai governi degli stati membri. L’Ue coordina la risposta rapida a pericoli per la salute di portata transfrontaliera con il Comitato per la sicurezza sanitaria (Hsc), composto da rappresentanti dei paesi membri, attraverso lo scambio di informazioni e l’implementazione di azioni a fronte di rischi di sanità pubblica.
Nel settembre scorso, è stata istituita l’autorità europea per la preparazione e la risposta alle emergenze sanitarie (Hera) al fine di prevenire, individuare e rispondere rapidamente alle emergenze sanitarie. Inoltre, in caso di gravi minacce transfrontaliere alla salute, qualora le capacità di reazione nazionali si dimostrino insufficienti, ogni paese dell’Ue può richiedere l’assistenza di altri attraverso il Meccanismo di protezione civile (Cpm), facente capo al Centro di coordinamento della risposta alle emergenze (Ercc).
L’Ue e la pandemia
Le azioni europee in tema di contrasto alla pandemia si collocano nell’ambito del più ampio programma Ue per la salute (Eu4Health, 2021-2027), finalizzato a produrre impatti che non potrebbero essere ottenuti tramite azioni intraprese unicamente a livello nazionale, come spiegato, trattandosi di una competenza complementare dell’Unione. Il programma prevede quattro obiettivi generali, da attuare attraverso dieci obiettivi specifici, ed elenca una serie di attività finanziabili dall’Ue.
L’affermazione della presidente von der Leyen circa la necessità di considerare l’ipotesi di un obbligo vaccinale deve essere inquadrata nell’ambito del suddetto programma. Infatti, il regolamento Ue che lo istituisce (n. 2021/522), all’allegato I contiene un’elencazione delle azioni oggetto di finanziamento europeo, previa rendicontazione. Tra le altre voci, è previsto il «sostegno alle iniziative volte a migliorare i tassi di copertura vaccinale negli stati membri» e tra gli “indicatori per la valutazione del programma” c’è anche la «copertura vaccinale» riguardo a «malattie a prevenzione vaccinale come la Covid-19».
Nel quadro così tracciato, il richiamo all’obbligo vaccinale da parte della presidente della Commissione Ue, pur non avendo carattere giuridicamente vincolante, come detto, assume comunque un rilievo significativo. Von der Leyen, da un lato, sembra aver fornito la “copertura” dell’Unione europea a singole decisionali nazionali circa tale obbligo; dall’altro lato, forse ha anche inteso indirettamente rammentare ai paesi membri che l’implementazione dell’obbligo stesso potrebbe renderli destinatari di risorse europee, derivanti dal programma citato. Detto questo, è possibile che gli stati dell’Ue adottino all’unisono decisioni di obbligatorietà del vaccino anti Covid-19, come auspicato da von der Leyen? La gestione del green pass, il cui fine è far sì che gli stati si muovano in modo unitario per agevolare la libera circolazione nell’Unione, ha evidenziato talune discrasie tra gli stati stessi: dalla differente durata del certificato a misure aggiuntive imposte per maggiore cautela ai cittadini in entrata. Del resto, fino a quando perdurerà l’emergenza, c’è da aspettarsi che siano i timori concreti, più che gli inviti della presidente della Commissione, a muovere gli stati. Ma la realtà sta pure dimostrando che le condotte di questi ultimi nella gestione sanitaria tendono progressivamente a uniformarsi, mettendo a fattore comune l’esperienza maturata da ciascuno. Forse “Unione” è più nei fatti che nelle dichiarazioni astratte.
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