Il grande poeta e scrittore di origine ceca, più volte candidato premio Nobel per la letteratura, Milan Kundera, è morto ieri nella sua casa a Parigi all’età di 94 anni. Reso noto in tutto il mondo dal suo romanzo “L’insostenibile leggerezza dell’essere” pubblicato nel 1984, Kundera era nato a Brno nel 1929 quando la Repubblica Ceca era ancora Cecoslovacchia.

Laureato all’accademia del Cinema di Praga inizia in realtà la sua carriera pubblicando negli anni Cinquanta tre raccolte di poesie nel suo paese natale. Nel 1948 si era iscritto al Partito comunista ma le sue idee «non conformi» e le sue «tendenze individualiste» ne valsero l’espulsione. Una volta riammesso fu poi cacciato definitivamente negli anni Settanta per essersi schierato a favore della Primavera di Praga.

Si trasferisce nel 1975 in Francia dove acquisisce la cittadinanza nel 1981, due anni dopo aver perso quella ceca – restituitagli nel 2019 –  e dove vivrà fino alla morte. La sua terra natia vieterà la pubblicazione dei suoi libri per tutta la dittatura, tanto che “L’insostenibile leggerezza dell’essere” vedrà la luce in Repubblica Ceca solo nel 2006.

Arte, filosofia e politica nelle sue opere

Il padre dello scrittore era il noto pianista, Ludvík Kundera, direttore dell’ Accademia musicale di Brno dal 1948 al 1962. Milan ha vissuto quindi circondato dalla musica, alle cui lezioni si è dedicato da bambino. Proprio quest’arte ha finito per influenzare tutti i suoi romanzi, tanto da poter considerare il suo capolavoro come una sinfonia con quattro temi: i quattro personaggi principali, che si inseguono e si sovrappongono. 

Ma non solo, vicende personali – soprattutto i contrasti con il regime cecoslovacco che lo aveva allontanato dalla sua terra – riflessioni sulla letteratura e filosofia mitteleuropea novecentesche e ironia sono l’humus creativo da cui nascono i suoi romanzi. 

Il suo esordio nel mondo della prosa avviene nel 1964 con la pubblicazione de “Lo scherzo”. Un romanzo sulla condizione di illibertà e condizionamento dell’uomo moderno che critica duramente la dittatura comunista. Topos quest’ultimo ricorrente in tutta la sua produzione e nel celeberrimo capolavoro in cui il quartetto di personaggi vive e soffre contornato dalla Primavera di Praga, cioè dal periodo in cui, nel 1968, Alexander Dubček provò a realizzare in Cecoslovacchia «un socialismo dal volto umano». Esperimento brutalmente troncato dall’intervento sovietico in agosto.

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