«Il trasferimento dei familiari delle vittime in Italia perché versano in difficili condizioni psicologiche e anche di sicurezza». Era questa era una delle richieste presentata dai parenti delle vittime della tragedia di Cutro al governo italiano durante l’incontro con la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e con il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, avvenuto lo scorso marzo.

Una richiesta che, al momento, non ha avuto seguito come denunciano a Domani parenti e associazioni che hanno seguito e assistito fin dall’inizio i familiari delle vittime del naufragio.

Aspettano una risposta in tanti, figli, padri, fratelli, madri che sono nei campi profughi in Pakistan, rimasti bloccati in Turchia, in Iran e che avevano preso sul serio quella promessa e che speravano di ricongiungersi ai parenti dei defunti.

Il mare ha restituito 94 corpi, di questi 35 erano bambini (se ne cercano ancora sei), in una tragedia quella di Cutro che ha incrociato la disorganizzazione e i ritardi negli interventi, c’è anche un’inchiesta della magistratura in corso, e l’incapacità del governo di rendere omaggio alle vittime e di esprimere parole di cordoglio nei confronti dei familiari.

L’incontro del marzo scorso era arrivato dopo il mancato incontro con i parenti a Crotone e la mancata visita da parte dei rappresentanti dell’esecutivo al palazzetto dello sport dove erano state posizionate le bare.

I dimenticati di Cutro

In quei giorni le associazioni, i cittadini si sono letteralmente sostituiti allo stato. In quelle ore di dramma collettivo i volontari si sono trovati a riconoscere anche trenta, quaranta corpi di persone annegate. Hanno dovuto interfacciarsi con i parenti delle vittime che abitavano lontano avendo cura di descrivere volti, dettagli, oggetti personali per procedere al riconoscimento.

In un caso, per alleviare il dolore di una madre e non mostrarle il volto del figlio divorato dai pesci, i volontari si sono sostituiti ai familiari per procedere alla conferma dell’identità. Le urla che provenivano del PalaMilone di Crotone arrivavano in strada, erano le madri che vedevano per l'ultima volta i figli, o i figli che vedevano per l'ultima volta le madri o i fratelli.

In quei giorni mancavano anche le bare bianche per accogliere i corpi dei bambini, alcuni familiari andavano con le agenzie funebri a prenderli direttamente a Steccato di Cutro, dove il mare continuava a sputare i corpi. Mentre la spiaggia raccoglieva i resti di quelle vite: biberon, vestiti, soldi, spazzole per i capelli ogni tanto si sentivano le urla, era il mare che aveva restituito un altro corpo. I sommozzatori lavoravano senza sosta, dopo pochi giorni una bambina è stata ritrovata tra gli scogli con gli occhi ormai divorati dai pesci. La bara bianca era già pronta. Una tragedia, uno strazio infinito.

L’incontro di marzo

Per questo l’incontro di metà marzo aveva assunto per i parenti un significato importante perché riconosceva quel dolore e rappresentava il primo momento di interlocuzione con il governo. A quell’incontro aveva partecipato anche Jamshidi Gulaqa, rifugiato politico nel nostro paese dopo il suo impegno in Afghanistan al fianco della Nato e poi scappato al ritorno dei talebani.

«Nel naufragio ho perso mio cugino, durante l’incontro con il governo ho parlato a nome dei parenti delle vittime. Abbiamo avuto la promessa del ricongiungimento, ci hanno chiesto di metterci in contatto con la prefettura per la consegna della lista dei parenti da far arrivare e lo abbiamo fatto. Ho anche le foto con Meloni e Tajani, dopo quell’incontro ho anche chiamato i familiari in Iran per prepararli alla partenza, ho annunciato loro che sarebbero venuti in Italia o in Europa, ma quella promessa non è stata mantenuta. Ora mi vergogno per averli illusi perché la parola data si mantiene. Io capisco le difficoltà, capisco tutto, ma ora mi sento tradito», dice Gulaqa.

L’uomo aveva perfino chiesto ai familiari di raccogliere i passaporti e i documenti per avviare le procedure, ma adesso non riesce neanche più ad avvisarli, non ha parole per spiegare questo ritardo, questo silenzio.

I parenti aspettano

«A sei mesi di distanza dalla strage non è arrivata nessuna notizia in merito alla promessa di favorire il ricongiungimento dei familiari delle vittime. Non dobbiamo dimenticare che quell’incontro, con la relativa promessa, arrivava dopo le mancanze del governo che seguirono la tragedia. Grazie a familiari e associazioni era stato scongiurata l’ipotesi di trasferire le bare a Bologna, nessun rappresentante dell’esecutivo aveva portato un saluto a quelle vittime prima di rimediare con quell’incontro a Roma dove tra le promesse c’era anche quella del ricongiungimento, promessa rimasta lettera morta», dice Manuelita Scigliano, presidente dell'associazione Sabir che fin dal primo istante ha seguito i familiari. Perché è importante quella richiesta?

«Nella strage di Cutro c’è chi ha perso l’intera famiglia, padri, madri, fratelli, sorelle. Favorire il ricongiungimento con un parente rappresenta il minimo che si possa fare. Il governo aveva promesso di avviare le procedure, aveva chiesto una lista di parenti ai familiari e di aprire un’interlocuzione con la prefettura, ma ad oggi non ci risulta avviata alcuna pratica. Capiamo le difficoltà, ma si aggiunge al danno immane una beffa inaccettabile», conclude Scigliano.

C’è un altro familiare, Mohammad Arun, che ha partecipato all’incontro con il governo italiano, ricorda quell’impegno, ma neanche lui ha ricevuto alcuna risposta. «Mia moglie in quella tragedia ha perso la madre e il fratello, il cui corpo non è stato ancora trovato. Ho chiesto il ricongiungimento con tre cognati e mio suocero, ho inviato anche i documenti a una funzionaria prefettizia, ma non abbiamo avuto più risposte. In questo momento io mi trovo in Francia. I miei parenti si trovano in Turchia e hanno paura che il governo turco li possa rispedire in Afghanistan».

Le risposte del governo

Ma il governo cosa risponde? «L’azione del ministero degli Affari Esteri in merito ai visti per ricongiungimento familiare è successiva al rilascio del “nulla osta” da parte dello sportello unico per l’Immigrazione.

Confermiamo la disponibilità e l’impegno dei nostri Uffici consolari in Iran, Pakistan e Turchia a procedere al rilascio in modo celere, una volta ricevuti i rispettivi nulla osta», dice l’ufficio stampa della Farnesina. La questione quindi riguarda il ministero dell’Interno, ma da palazzo Chigi e dalla prefettura di Crotone non abbiamo avuto risposta.

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