«I gruppi WhatsApp e Telegram erano bollenti. La notizia del naufragio tra Grecia e Italia ha bloccato tutta l’organizzazione per ore». A raccontarcelo è Kerem, un uomo sulla sessantina che vive a Smirne ed è “infiltrato” in una dei gruppi che aiutano prevalentemente i migranti afgani e iraniani. Non ha mai fatto il contrabbandiere lui, dice di non avere il cuore forte per gestire lo stress, ma aiuta volentieri chi si trova in difficoltà. «Io non prendo soldi, ma conosco i broker della città…».

Alla base del sistema dei pagamenti dei viaggi illegali dei migranti c’è la «hawala», un sistema di trasferimento di denaro basato sulla fiducia interpersonale per cui i mediatori (loro si definiscono broker) sbloccano la somma pattuita per il viaggio solo all’arrivo. La hawala è un sistema antico che è stato rilanciato proprio dai trafficanti negli ultimi anni, perché permette di nascondere i fondi al controllo dello Stato e consente di controllare l’iter.

«Rispetto a un qualsiasi money transfer, che prende una commissione del 15 per cento, i broker prendono solo il 2 per cento, massimo il 5 per cento», spiega Kerem. «E poi offre una garanzia, perché non si paga finché non si raggiunge la meta, in caso di respingimento o in caso di morte». E infatti, da lunedì, dopo le voci sull’annegamento di almeno 66 persone a bordo di una barca a vela, molti dei broker coinvolti non ha pagato il contrabbandiere. «Aspetteranno di capire chi è vivo e chi no prima di saldare il conto, è una specie di risarcimento», dice ancora Kerem.

Ma intanto sulle coste della Turchia sono già pronti a partire altre centinaia e centinaia di migranti, nonostante la paura, nonostante il rischio. Le reti dei trafficanti continuano ad operare su larga scala e con organizzazioni sempre più ramificate, ma nello stesso tempo agili. «L’ideazione del viaggio è sempre settoriale e comincia nei singoli paesi di partenza, quindi in Afghanistan, Iraq o Siria», spiega Tareke, un giornalista siriano che vive da anni a Smirne.

Il gancio iniziale è sempre un amico di un amico che ha contatti con il trafficante che opera al confine. Lui, a sua volta è già in contatto con il broker che gestirà il passaggio di soldi alla tappa successiva, e così via. Alla base c’è un sistema fiduciario che, generalmente, termina un po’ prima dell’ultima tappa. Quando, cioè, si arriva nelle mani di colui che decide chi parte e chi no e quante persone salgono sul caicco o sulla barca a vela. A seconda di quanto è stato sborsato.

«Sui gruppi WhatsApp e Telegram ci sono tutte le informazioni», racconta Kerem. «Se parliamo di rotte via mare, per andare dalla costa turca fino a una delle isole greche più vicine, Samos o Lesvos, servono circa 30 euro. Se si vuol raggiungere la terraferma greca il costo sale a 2mila dollari per un posto sul gommone. Ma nell’ultimo anno il più richiesto è stato il viaggio diretto verso l’Italia che costa fino a 10mila dollari per una barca in vetroresina». Il prezzo è così alto, dicono, perché copre il lavoro di chi ha rubato la barca a vela, spesso nei porti di Malta, e perché assicura una navigazione più “confortevole”. Inoltre, sempre secondo i trafficanti, la barca a vela da meno nell’occhio e quindi il rischio di venire bloccati dalle Guardie Costiere è minore.

Fermento sulla costa

«Noi cerchiamo di informare i migranti sui pericoli delle traversate in mare», spiega Cavidan, un’avvocata che si occupa di diritti umani in Turchia, «ma ci rispondono che sono disposti a rischiare pur di scappare dalla violenza e da morte certa». In questi giorni sulla costa turca, tra Dikili e Cesme c’è un gran fermento. I migranti pronti a partire sono nascosti in case sicure non lontano dai punti di imbarco, ma le partenze sono rallentate. Il naufragio ha creato subbuglio nella rete dei trafficanti ma ha anche acceso l’attenzione politica sulla questione delle partenze illegali dalla Turchia. Queste ore sono state cruciali anche per la Guardia Costiera che dovrebbe impedire le partenze, come previsto negli accordi con l’Ue, ma spesso non lo fa. «Sappiamo che la rete di trafficanti che opera lungo la costa ha accordi sottobanco con la polizia e con i militari», afferma Cavidan, «che, dunque, decide di chiudere un occhio. Quando si aprono delle finestre di buon tempo, le motovedette si spostano verso nord o verso sud, ovviamente dopo aver intascato una percentuale del pagamento al trafficante».

Una percentuale di quei soldi che il migrante paga per salvarsi la vita in Europa. A scegliere il viaggio via mare verso l’Italia sono essenzialmente famiglie con bambini che non riescono ad affrontare la rotta balcanica, lunga e rischiosa. Sia per il clima, specialmente in inverno, sia per la presenza di guardie di frontiera o milizie estremamente violente. «Alcuni dei ragazzi che ho visto passare in questi mesi dalla costa – racconta il giornalista Tareke – erano stati respinti tre o quattro volte dalla polizia bulgara. Molti sono stati picchiati a sangue, altri hanno raccontato di essere scampati a ronde armate e di aver visto cadaveri in putrefazione nei boschi. E quindi, ora provano la rotta via mare».

La città che è diventata base di partenza per la rotta balcanica è Edirne, dove c’è tutt’altra rete di trafficanti che, in parte, opera diversamente. I ragazzi che arrivano a Edirne hanno già contattato il loro contrabbandiere tramite Tik Tok. «Sono qui nella jungle tra Bulgaria e Kosovo e sto portando un gruppo di amici. Sono affidabile, conosco la strada e so gestire gli imprevisti». Il messaggio è uno dei tanti che si trovano sul social network. I nuovi contrabbandieri si fanno pubblicità così, con video girati lungo il cammino, con le testimonianze dei “clienti” di quel momento, i quali possono confermare che è tutto vero, ci si può fidare. E così il business cresce e si evolve.

Secondo i dati di Frontex, la rotta balcanica ha registrato un calo del 71 per cento nei primi cinque mesi del 2024 ma il numero fa riferimento ai soli migranti intercettati lungo il cammino. In realtà, la rotta del Mediterraneo orientale, tra Turchia e Grecia, cioè all’imbocco della via tra i Balcani, mostra un raddoppio di presenze rispetto all’anno scorso. Questo vuol dire che la rotta balcanica è attiva ma i tempi di percorrenza sono diventati molto veloci. In parte grazie ai trafficanti e in parte grazie a tutti coloro che, lungo i vari Paesi di attraversamento, hanno deciso di entrare nel business.

E così, il game, l’attraversamento a piedi delle frontiere, oggi è divento un taxi-game. In Bosnia, in Croazia, ma anche in Serbia i migranti pagano un tot a persona per raggiungere un confine o anche per risparmiare molti km di strada. A Bihac, al confine tra Bosnia e Croazia, a sera compaiono tanti taxi che sembra di stare a New York. «Alla stazione ferroviaria anche gli autobus hanno cominciato a fare questo “lavoretto” – racconta un’attivista locale – Dieci euro a persone e 400 euro per 5 km di strada sono un guadagno facile e veloce. Poi, se i migranti vengono respinti al confine tanto meglio, il gioco non si esaurisce mai».

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