Amiche, ma anche no. Questa non è una scampagnata, è l’Olimpiade. Si va per vincere, mica a fare comunella. Julio Velasco è stato chiaro: «La verità è che bisogna essere squadra, non andare a cena insieme». E allora va bene anche litigare, può essere utile. Perché tutte le famiglie sono infelici a modo loro tra quattro mura, figuriamoci in uno spogliatoio. Fuori, però, bisogna tendersi la mano, collaborare, aiutarsi. With a little help from my friends.

Non è facile, le squadre sono umane. E i sentimenti ti fanno anche discutere e arrabbiare. Se ne capirà di più oggi, quando l’Italvolley inizierà il suo viaggio dentro i Giochi della grandeur. A caccia dell’oro, naturalmente. Le azzurre sfideranno la Repubblica Dominicana, un approccio soft che servirà a tracciare una direzione in vista delle gare più difficili.

Velasco non vuole sentir parlare di squadra favorita, né di ragazze invincibili. Al ct dell’Italvolley le etichette non sono mai piaciute. «A me dà fastidio. Alle ragazze non lo so. Ho già vissuto tutto questo e dico che conviene perdere prima delle Olimpiadi. Invece siccome abbiamo vinto la Nations League allora adesso dobbiamo vincere l'oro. Ma non è così».

EPA

Le rivalità

Saggio, Velasco. Soprattutto realista e pragmatico. E basta con la retorica del gruppo, si può arrivare al traguardo pure mandandosi a quel paese. È già successo nella storia dello sport. Che è più brutto, sporco e cattivo di quanto abbiamo il coraggio di pensare.

La Lazio di Maestrelli sui dissidi ci vinse uno scudetto, nel ’74. Lo fece anche se dentro al gruppo c’erano due anime. Due clan. Ma solo dal lunedì alla domenica mattina, il pomeriggio tutti insieme appassionatamente. Addirittura avevano spogliatoi divisi a Tor di Quinto. Chinaglia e Wilson da una parte, Martini e Re Cecconi dall’altra.

Durante la settimana i giocatori si picchiavano, alzavano la voce, i toni, le mani. Una squadra, a modo loro. Così come lo fu quella del capitano Nicola Pietrangeli che vinse la Coppa Davis del 1976 a Santiago del Cile. Panatta e Bertolucci di qua, Barazzutti e Zugarelli di là. A giorni alterni, magari.

Ma per restare uniti nei momenti che contano qualche volta bisogna sapere cosa significa essere divisi. Saranno stati gli anni Settanta, anni in cui i contrasti li trovavi dappertutto. O forse un banale senso della realtà.
Un anno fa agli Europei di volley si creò il dualismo (più ideale che reale) tra Paola Egonu e Kate Antropova. Il ct dell’epoca, Davide Mazzanti, provò a tenere insieme tutto. Niente contrasti. Solo armonia, armonia, armonia. Però le cose non stavano proprio così. «Dopo la semifinale al Mondiale 2022, Paola mi ha detto che non avrebbe più voluto lavorare con me. Prima dell’estate ho avuto un confronto con lei: si è scusata, siamo ripartiti», ha raccontato. Una ripartenza con qualche acciacco. Tant’è che dopo l’Europeo Mazzanti dovette lasciare la panchina tra le polemiche e le delusioni. E i quesiti: perché Egonu, perché Antropova, perché perché perché. Velasco, che è più netto, ha fatto prima e messo le mani avanti chiarendo subito la sua posizione: «Egonu-Antropova? Non fatemi queste domande». Si narra che tra le due non scorra allegria (diciamo). Questioni di leadership. Sul campo e nel mondo del business. Cose loro, insomma. Quel che importa è collaborare, come dice Velasco. «Quando sento il ritornello “abbiamo vinto perché siamo un bel gruppo” mi viene da ridere: e se avessi giocato male, il gruppo non sarebbe bastato?».

ANSA

Il cittì che non ha vinto con gli uomini

Velasco partiva favorito a Barcellona ‘92 e Atlanta ‘96 da c.t. degli uomini. Però non ha mai vinto. «L’obbligo di vincere è il nemico numero uno di uno sportivo che va a competere: Bubka dopo sedici record del mondo ha fatto tre nulli a Barcellona, Djokovic a Tokyo non è andato nemmeno a medaglia. Alle ragazze ho detto che nello sport vale solo il qui e ora».

Progettare i successi non serve. E pure pretendere che dentro la squadra tutto fili liscio. L’Olimpiade mette in pausa anche le antipatie, quando ci sono. Velasco lo sa. «Le donne sono molto più disciplinate, precise, professioniste. Mi dicono che è più difficile il rapporto tra loro. È parte del mondo che devo conoscere».

Bisogna godersi il viaggio, e aggiustare la direzione quando le cose non vanno, non per forza celebrare l’amicizia. «Voglio giocatrici autonome e autorevoli, che non si accontentano di fare quello che io dico. Voglio che loro sappiano di pallavolo e mettano in campo quel sapere». Se poi non si vogliono bene, amen.

© Riproduzione riservata