In Italia le persone lgbtqia+ sono costantemente esposte alla discriminazione e alla violenza e non sono libere di essere se stesse. In questo contesto lo spazio pubblico, la scuola o il luogo di lavoro sono percepiti come potenzialmente pericolosi.

In modo automatico vengono messe in atto delle strategie di difesa che portano le persone lgbtqia+ a nascondere la propria identità, a evitare di uscire e a non frequentare determinati luoghi o persone. Ad acuire questo clima, in cui i diritti delle persone lgbtqia+ sono a rischio, è arrivata l’approvazione alla commissione Cultura, Scienza e Istruzione della Camera dei deputati di una risoluzione che chiede di escludere l’insegnamento di qualsiasi contenuto legato alla cosiddetta “ideologia gender”, un concetto che non esiste e che è stato creato dalla destra per fomentare un clima d'odio che uccide sempre più persone lgbtqia+.

Un’indagine condotta nel 2019 dall’Agenzia europea per i diritti fondamentali (Fra) mostra che in Italia il 62 per cento delle persone lgbtqia+ dice di evitare di mostrare in pubblico la propria affettività e il 30 per cento di evitare spesso o sempre di frequentare alcuni luoghi per paura di subire aggressioni. Quasi una persona lgbtqia+ su due dichiara di essersi sentita discriminata in diverse situazioni (nei luoghi pubblici, il 22 per cento, e subito dopo a scuola e in università, il 19 per cento).

Invisibilizzazione ed episodi di odio condizionano la vita delle persone lgbtqia+ e spesso il fenomeno dell’omolesbobitransfobia finisce per innescare ulteriori meccanismi che mettono a rischio la salute psico-fisica.

I numeri dei crimini d’odio

Secondo i dati dell’Osce (Organization for Security and Co-operation in Europe), nel 2022 sono stati perpetrati 1.052 crimini d’odio in 36 stati nei confronti della comunità lgbtqia+. In 635 casi si è trattato di aggressioni fisiche, alcune delle quali sfociate in omicidi. Questo è un quadro che non restituisce, però, la complessità di un fenomeno che continua a essere sottorappresentato. In particolare, i dati raccolti in Italia sono lacunosi e insufficienti e ciò rende difficile avere una visione d’insieme attendibile.

Come spiega a Domani Gabriele Piazzoni, segretario generale di Arcigay, l’omolesbotranfobia non prevede interventi normativi ad hoc: «Se ci fosse il reato specifico sarebbe compito sia delle forze di polizia che dei tribunali segnalare i casi. Purtroppo, non essendo così, gli unici dati che abbiamo sono quelli delle persone che si rivolgono ai servizi di richiesta di aiuto o i fatti di cronaca».

Esiste però l’Oscad, osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori, che ha l’obiettivo di agevolare le denunce, in modo da contrastare il cosiddetto under-reporting (ossia la difficoltà delle vittime di denunciare) e, quindi, favorire l’emersione di crimini che vengono spesso nascosti per paura di ritorsioni, per vergogna o senso di colpa.

Nel monitoraggio condotto da Oscad dal 2010 al 2022, le segnalazioni relative a crimini o discorsi d’odio per orientamento sessuale hanno visto una crescita esponenziale: da 3 segnalazioni nel primo anno di attività dell’osservatorio a 73 nel 2022.

Piazzoni fa notare che negli ultimi anni «è aumentata la visibilità delle persone lgbtqia+, di conseguenza sono cresciute le aggressione nei confronti di queste persone, ma anche le possibilità che questi episodi siano denunciati e conosciuti». Bisogna tenere presente però che queste raccolte dati hanno dei limiti: fino a quando la violenza contro le persone lgbtqia+ è istituzionalizzata e tollerata e l’omolesbotranbifobia viene considerata socialmente accettabile, «una persona che si trova in un ambiente in cui non è libera di essere se stessa non va dalla polizia a denunciare che è stata picchiata perché gay, lo nasconde», aggiunge il segretario generale di Arcigay.

Giovani lgbtqia+ e suicidi

I fatti di cronaca sono uno spaccato di come questo tipo di violenza, agita per motivi legati all'orientamento sessuale o all’identità di genere di una persona, continui a permeare la quotidianità delle persone lgbtqia+. Dalla denuncia di qualche giorno fa a Cremona dove un uomo è stato insultato e picchiato perché omosessuale, al caso palermitano del suicidio di un uomo vittima di omofobia e di una società fortemente basata sull’eteronormatività.

Queste sono alcune delle storie che vengono riprese dai media, alcune delle quali sono diventate emblematiche, come il suicido della professoressa transgender Cloe Bianco.

«In questi ultimi anni sono aumentati i suicidi e le discriminazioni nei confronti della comunità lgbtqia+», afferma Mario Colamarino, presidente del circolo di cultura omosessuale Mario Mieli. «Chi magari già soffre di un disagio psicologico - continua Colamarino - si trova di fronte a ulteriori pregiudizi, limiti e problematiche che sembrano insormontabili. Essere parte di una minoranza comporta maggiori difficoltà e paure e si finisce inevitabilmente per essere vittime di pregiudizi».

Fattori ambientali e sistemici, quindi, contribuiscono ad aumentare il rischio di suicidio anche tra le giovani persone lgbtqia+. Un’indagine nazionale condotta dal Suicide prevention resource center, nell’ambito del Progetto Trevor 2023, ha raccolto le esperienze di quasi 34mila giovani di età compresa tra i 13 e i 24 anni negli Stati Uniti. I dati raccolti evidenziano che il 41 per cento del campione ha considerato il suicidio e il 14 per cento ha tentato di suicidarsi.

Nello specifico, alcune cause sono riconducibili alla discriminazioni a scuola, in ambito sanitario, lavorativo e nei più disparati aspetti della vita quotidiana. A questo si aggiunge, alcune volte, la non accettazione da parte della famiglia dopo il coming out e gli episodi di bullismo e cyberbullismo.

Nonostante si registri un elevato rischio di comportamenti suicidari tra le persone lgbtqia+, mancano gli strumenti necessari a delineare un quadro esaustivo della situazione, dall’altro però ci si sta dotando pian piano di programmi di prevenzione.

In Italia sono presenti 40 sportelli arcobaleno, ossia degli spazi sicuri di accoglienza per tutte le persone lgbtqia+, ma anche per i loro familiari e amici, per ricevere ascolto. «Quando vengono aperti questi sportelli intercettano un fenomeno che prima era totalmente sommerso», spiega Piazzoni di Arcigay.

Educare alle differenze

La violenza omolesbobitransfobica non si combatte solo con divieti e sanzioni, ma anche mediante l’affermazione dei diritti di tutti e serie politiche di inclusione. Solo attraverso degli interventi legislativi si possono avere degli impatti anche sul piano culturale in grado di mitigare il clima di intolleranza e promuovere i diritti di tutte le persone.

Se l’indirizzo culturale di un paese è influenzato dai dibattiti politici, quello degli ultimi giorni sull’ideologia gender rende chiara la direzione verso la quale si sta andando. «L’urgenza che ha trovato il governo è stata quella di approvare una delirante risoluzione che vieta la teoria gender, un'invenzione creata dalle stesse persone che non vogliono in nessun modo fare avanzamenti sul piano dei diritti e delle tutele verso le persone lgbt, uno strumento usato per impedire qualsiasi discussione finalizzata alla prevenzione del bullismo omofobico e della violenza di genere all'interno delle scuole», conclude con amarezza il segretario generale di Arcigay.

La strategia è contrastare il lavoro di prevenzione alla violenza che viene fatto nelle scuole, in questo modo vengono delegittimate le persone che credono che la scuola debba essere un luogo dove coltivare libertà e senso critico.

«Parlare di emozioni, relazioni, consenso a scuola è più che mai necessario e dovrebbe essere incoraggiato piuttosto che osteggiato. Non esiste dunque nessuna ideologia gender nelle nostre scuole, ma solo azioni educative volte alla parità, al rispetto, alla libertà e al benessere», afferma Monica Pasquino, presidente della rete Educare alle differenze.

Come conseguenza di questa risoluzione contro “l’ideologia gender” nelle scuole, le dirigenze scolastiche saranno probabilmente meno inclini a svolgere progetti che hanno come tema l'identità lgbtqia+, i diritti riproduttivi e sessuali o l'identità di genere. Sui docenti e sulle associazioni che tengono questi corsi nelle scuole, invece, aleggia un forte senso di punizione imposta dal governo.

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