Sette sono le note, i colori dell’arcobaleno, i giorni della settimana, le meraviglie del mondo. Sette sono per il Cristianesimo i giorni della creazione, le virtù e i vizi capitali, i sacramenti. Sette i bracci della Menorah (il candelabro ebraico), i cieli creati da Allah secondo il Corano e sette è anche il numero della completezza per il Buddismo. Dalla scienza alla spiritualità, dalla storia alla religione la simbologia del numero sette è ampia e ricca di mistero.

Ma per gli italiani è anche il numero della pallanuoto, lo sport di squadra che si gioca in sette che ha regalato tante emozioni e tanti successi ai colori azzurri.

Prima ci fu il Settebello, si proprio come la carta da gioco, il 7 di denari nella “scopa” che, nelle lunghe trasferte, era il passatempo preferito: parve senza dubbio il soprannome più azzeccato per una squadra che dal 1948 ha raggiunto la “bellezza” di tre ori olimpici, quattro titoli mondiali, tre europei e, anche ai prossimi Giochi di Parigi, scenderà in acqua da favorita.

La pallanuoto e le donne

Molto dopo arrivò anche il Setterosa. La pallanuoto è stata una delle ultime conquiste dello sport di squadra femminile: il primo campionato mondiale venne organizzato nel 1986 e il primo torneo olimpico fu quello dei Giochi di Sydney 2000.

Una storia recentissima segnata in gran parte proprio dai successi delle atlete azzurre con cinque titoli europei, due mondiali, un oro e un argento a cinque cerchi. Il titolo olimpico, vinto nel 2004 ad Atene, fu un capolavoro di agonismo e popolarità.

La finale giocata contro le greche, padrone di casa, si protrasse più del previsto e andò a sovrapporsi al Tg della sera; così, anche chi fino a quel momento della pallanuoto femminile non sapeva nulla, accendendo la tv per il telegiornale, si trovò a guardare le fasi finali di una partita al cardiopalma. Lo share arrivò al 47 per cento e quando le azzurre infilarono la palla della vittoria nella porta avversaria, il Setterosa aveva già fatto breccia nel cuore degli italiani.

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La capocannoniera 2004

In quel memorabile 26 agosto 2004, insieme alla medaglia d’oro arrivò in casa azzurra anche Il premio di miglior giocatrice del torneo: a vincerlo fu la capocannoniera Tania di Mario, la più giovane del gruppo ma con la classe, determinazione e intelligenza agonistica di una campionessa rara.

La sua calottina (la speciale cuffia che protegge le orecchie e si chiude con un laccio sotto il mento) neanche a dirlo, era la numero sette. Nata a Roma, terminato il liceo si trasferisce in Sicilia per far crescere il suo talento sportivo nell’Orizzonte Catania. Studia e si allena, vince e dà esami, intersecando e sovrapponendo l’attività di club nel campionato nazionale a quella internazionale con la squadra azzurra. Col Setterosa partecipa a quattro Olimpiadi e, otto anni dopo l’oro di Atene, conquista l’argento a Rio 2016: nel mezzo un titolo mondiale, tre europei e la laurea in economia. Con l’Orizzonte Catania vince dodici scudetti e sette Coppe Campioni.

Avrebbe potuto giocare in qualsiasi club, tutti la corteggiavano, e invece, dalla società siciliana Tania non ha mai voluto andarsene: nomen omen, il club catanese è stato il suo orizzonte verso cui ha guardato e nuotato per lanciarsi sfide sempre nuove.

Oggi a Catania

Quando Tania lascia l’agonismo il club non lascia Tania che viene eletta prima vicepresidente e poi presidente. Fare un bilancio preciso di quanto ha vinto da atleta e quanto da dirigente non è facile, perché, all’occorrenza, la presidente Tania Di Mario si butta ancora in acqua e gioca e vince.

La prima regola dell’agonismo è dare il massimo per ottenere il massimo e chi ne ha fatto disciplina e metodo per tanti anni da atleta, poi se la porta dentro per sempre. Così, a 45 anni, quando qualcosa non va e tutte le soluzioni che può offrire da presidente ancora non bastano, si ritrasforma in atleta e prova a fare la differenza. E la fa davvero. Poco più di un mese fa l’Orizzonte Catania ha vinto il suo quinto scudetto consecutivo (il 24esimo della storia).

Tania Di Mario detiene così un ulteriore doppio primato: è l’unica presidente donna di una squadra nel campionato nazionale di serie A1 ed è l’unica presidente-giocatrice. Certo, non è facile avere due ruoli e anche due lavori. Si, perché hai voglia a vincere scudetti e coppe, per le donne comunque i soldi non ci sono mai.

Così il direttivo ha scelto di destinarli solo alle giocatrici affinché possano dedicarsi a tempo pieno all’attività agonistica. I dirigenti e tutto lo staff lavorano nella pallanuoto per passione e lavorano al di fuori della pallanuoto, per vivere. Stessa sorte tocca perfino all’allenatrice, Martina Miceli, anche lei campionessa olimpica ad Atene 2004, anche lei gloria del Setterosa storico.

È il caso di specificare che “rosa” va interpretato come “roster” ovvero rosa della squadra e non come il colore rosa, moderno aggettivo qualificativo del genere femminile. Siano pure stereotipi apparentemente innocui, come quelli legati ai colori ritenuti da maschi e da femmine il Setterosa ha sempre voluto combatterli, non certo fomentarli.

Anzi, se ci fosse una speciale classifica delle campionesse la cui personalità ha trasformato i risultati sportivi in grimaldelli con cui fare leva per i diritti e l’emancipazione delle atlete, ecco ai primi posti ci sarebbero loro, le componenti di quella Nazionale pioniera e vincente che cercava il successo e allo stesso tempo inseguiva giustizia.

Le discriminazioni

Quando Tania Di Mario esordisce in Nazionale è poco più di un’adolescente ma è grande abbastanza per avvertire attorno a sé un clima strano.

Era appena avvenuta una cosa molto bella: ai campionati europei di Vienna del 1995 l’Italia aveva vinto l’oro sia con gli uomini sia con le donne; peccato però che il premio riservato dalla federazione nazionale alla squadra-figliastra, fosse la metà di quello dei colleghi maschi. Iniziò un lungo braccio di ferro dall’esito favorevole ma con strascichi di attriti.

Era la prima volta che la discriminazione veniva fatta emergere in forma inequivocabile e segnò l’inizio di un cambiamento a cui le istituzioni sportive non poterono più sottrarsi, almeno formalmente. La forza di quel caso obbligò a maggiore attenzione sebbene, ad oggi, un bilancio di genere nelle 48 federazioni sportive nazionali, sia ancora una rarità.

Tania, ultima campionessa del Setterosa storico a lasciare l’attività con la squadra nazionale, è stata l’anello di congiunzione tra due generazioni e tra esse vi ha percepito una distanza maggiore degli anni che le separano.

Dice che tra i vari effetti collaterali della specializzazione precoce c’è la tendenza a disallineare le tappe della maturità agonistica da quelle della consapevolezza. E l’atleta di alto livello di coscienza interiore ne ha davvero tanto bisogno per riuscire a distinguere che lo sport è solo sport, anche quando si fagocita tutta la giovinezza e, allo stesso tempo, non è solo sport quando può contribuire a fare del mondo un posto migliore.

A Parigi 2024 il Setterosa della generazione Z potrà fare bene, ha solo bisogno di consapevolezza nei propri mezzi, di crederci fino in fondo. È ciò che, con parole e fatti, dimostra alle atlete del “suo” Orizzonte Catania la presidente Di Mario, sempre pronta a saltare in acqua, all’occorrenza e facendo risuonare le parole di Thomas Bach, quello del gabbiano Jonathan Livingstone, per cui «alla fine, quelli che vincono sono coloro che pensano di poterlo fare». 

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