Era una scommessa e gli è riuscita, «sia sul piano del sentimento che ha generato che su quello dei dati di ascolto». Michele Santoro, giornalista ed ex volto televisivo della Rai e di La7, ha organizzato al teatro Ghione di Roma un evento dal titolo “Pace proibita”, che è stato trasmesso via satellite da ByoBlu, a livello locale da Telenorba, da Radio popolare e sul sito di Tpi.

L’obiettivo era dare voce a personaggi del mondo della cultura e dell’arte (da Vauro a Sabina Guzzanti, da Cecilia Strada a Luciana Castellina), “contro un’informazione che silenzia la maggioranza contraria all’invio di armi all’Ucraina”.

Il risultato, secondo Santoro, è stato l’apertura di uno spazio sia televisivo che politico, di cui questo evento è l’embrione. Come ha concluso lui la serata: «Questo è solo l’inizio».

Evento organizzato in quattro giorni senza grandi piattaforme di broadcast televisivo. Prova superata?

Stiamo ancora faticosamente facendo il bilancio, su due livelli. Il primo è sul sentimento che l’evento ha generato: enorme e positivo. In rete è stato accolto in una maniera importante, soprattutto per qualcosa che è stato pubblicizzato solo con i social e costruito in appena quattro giorni. Il secondo livello, che è connesso al primo, è quello dei dati.

In quanti vi hanno seguito?

Stiamo cominciando ad analizzare quelli sulla permanenza dei visitatori su Youtube e i numeri sono impressionanti. Stimiamo che le persone coinvolte dal segnale siano state circa 100mila. A queste vanno sommati i dati di Telenorba: nelle regioni in cui si prende il segnale ha fatto 60mila contatti e l’1,7 di ascolto. Un risultato superiore alla Nove, per intenderci. Ad essere realisti, direi che tra radio, tv locali e internet, parliamo di circa 250 mila persone.

Da veterano della tv, faccia la critica al prodotto.

Abbiamo prodotto qualcosa di dignitoso sul piano televisivo, anche più di certe trasmissioni che vanno sui canali nazionali. La serata avrebbe tranquillamente potuto essere trasmessa lì.

E perché non ci è andata?

Non voglio fare polemiche. Constato che abbiamo offerto gratuitamente la trasmissione della serata e nessuno di loro l’ha voluta prendere.

Chi c’era dall’altra parte dello schermo?

Tenendo conto che noi abbiamo prodotto questo evento in pochi giorni, tutti noi siamo partiti dalle nostre comunità di riferimento. Era chiaramente un pubblico di nostri followers.

Considerate le voci, dalla sua a quella di Marco Tarquinio, Cecilia Strada e Vauro, verrebbe da dire che lo spettacolo era per il pubblico della sinistra e il mondo cattolico progressista.

Noi non siamo una televisione, per cui non potevamo porci un obiettivo diverso. Per capirci, non potevamo invitare Matteo Salvini a parlare alle nostre comunità, perché sarebbe stato sbagliato e in segno contrario a quello che volevamo dire.

E se Salvini volesse venire a un prossimo evento?

Siamo disponibili e io per primo sono disponibile a dare spazio anche a posizioni diverse dalle mie. Se ci fosse l’opportunità di lanciare messaggi a un campo più largo, la coglieremmo.

In platea, però, c’erano Nichi Vendola e Nicola Fratoianni, Luigi de Magistris e membri di Articolo 1. Questo progetto ha interlocutori politici?

Alcuni politici hanno pensato che fosse giusto venire ad ascoltare e noi siamo stati felici di ospitarli, tutto qui. Non abbiamo generato alcuna unità d’azione politica, ma ci compiacciamo che la loro sensibilità li abbia portati da noi. Mi sarebbe piaciuto che ci fossero anche altri, però, come la componente della Cisl con la sua precisa posizione sulla guerra. Ma in quattro giorni si fa quel che si può.

Ma in futuro potrebbe trasformarsi in qualcosa di politico?

Rispondo così: noi abbiamo sperimentato il crowdfounding e in pochi giorni 1500 persone hanno raccolto i soldi necessari per realizzare la trasmissione: una cifra non straordinaria in assoluto, ma straordinaria per i tempi. Sfido il Pd, con la sua organizzazione, a fare altrettanto. Questo significa che c’è stata una forte spinta dal basso e che esiste un’area dell’opinione pubblica che non si sente rappresentata: né in televisione né in politica. Ecco, noi vogliamo muoverci in entrambe le direzioni.

Traduco: fondare un partito?

No, il primo passaggio è quello di porre domande ai partiti che già esistono, in particolare al Pd e al Movimento 5 Stelle che governano da anni. La prima: perché con loro al governo abbiamo assistito a un tale peggioramento della televisione pubblica? La seconda: come avete potuto farvi coinvolgere in una attività belligerante come quella di inviare armi in Ucraina senza aprire un confronto con la vostra base?

E che risposta vorrebbe ricevere?

Se la risposta sarà un maggior pluralismo televisivo e un migliore dibattito politico, non ci sarà ragione di fare altro.

Se la risposta sarà diversa?

Se invece si chiuderanno, quello che succederà non glielo so dire. Io so già che non li voterò e anche che, se potrò fare di più, lo farò. La guerra ha creato una situazione di fortissimo disagio e ho l’esigenza di reagire, come cittadino e come persona, non solo stando a casa e non andando a votare.

Sembra quasi la minaccia di un nuovo partito, questa.

Io le dico quel che sento: con la trasmissione di ieri ho reagito alla mia solitudine. Sono riuscito a realizzarla pur non avendo più nulla del mio vecchio mondo e mi ha dato una sensazione di utilità che non provavo da tempo. Ora spetta agli altri vedere che esiste questo spazio televisivo e politico, anche se i giornali e i partiti non vogliono vederlo.

Chi sono gli elettori o gli spettatori?

Sono quelli che, nei sondaggi, finiscono nella fetta di chi non si esprime. Ci stiamo rassegnando a un paese in cui vota meno della metà degli aventi diritto, offriamo una televisione a senso unico e per conto di questa minoranza combattiamo guerre in nome della democrazia. A me invece questa non sembra una democrazia accettabile, di cui vantarsi come modello da difendere.

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