Le accuse ai tre giornalisti di Domani (che rischiano fino a cinque anni di carcere), il ruolo del finanziere Pasquale Striano e del magistrato Antonio Laudati, gli altri indagati e le persone ricercate nei sistemi operativi della Direzione nazionale antimafia. Ecco tutto quello che c’è da sapere sull’indagine della Procura di Perugia guidata da Raffaele Cantone partita da una denuncia del ministro della Difesa Guido Crosetto, dopo che il nostro giornale aveva pubblicato una notizia vera, documentata e verificata sui suoi conflitti di interessi per via dei suoi compensi milionari ricevuti da Leonardo e altre aziende del settore delle armi fino a pochi giorni prima del suo insediamento del governo Meloni.

Un’inchiesta giudiziaria che, nonostante la grancassa dei partiti di destra e di molti giornali, non ha niente a che vedere con “spionaggio” e “dossieraggio”. Un lancio Ansa e un articolo del quotidiano La Stampa, infatti, riportano la versione della procura che esclude questi due termini dal campo dell’inchiesta.

Per capire meglio quello che sta succedendo bisogna però partire dall’inizio: dalle notizie che abbiamo pubblicato a ottobre del 2022. Prima però è necessario chiarire le affermazioni che una parte della politica e dei media stanno facendo in questi giorni.

C’è una «centrale dei dossier»?

No, non c’è nessuna «centrale di dossier». Il termine «dossieraggio» non appare in nessun atto della procura. L’accusa più grave è quella di accesso abusivo a sistema informatico che avrebbe compiuto il finanziere Striano, in concorso con gli altri indagati (tra cui i tre giornalisti di Domani), che gli avrebbero richiesto informazioni. Come fanno tutti i giornalisti con le proprie fonti. È stata la stessa procura di Perugia a pronunciarsi sulle ipotesi di dossieraggio, attraverso l’Ansa: «Nessun dossier su personaggi istituzionali e politici ma una presunta attività di ricerca di informazioni a strascico che in tanti casi ha dato esito negativo quella contestata dalla procura di Perugia nell'indagine che coinvolge Pasquale Striano finanziere che era distaccato alla procura nazionale antimafia nel gruppo di lavoro che si occupava dello sviluppo delle Sos, le Segnalazioni di operazioni bancarie sospette, e da tempo trasferito». L'agenzia di stampa sottolinea che «non risulterebbe che le informazioni acquisite siano state utilizzate in un'attività di dossieraggio».

C’è un’associazione a delinquere?

No, non c’è nessuna associazione a delinquere. I reati sono contestati singolarmente agli indagati, al massimo è presente il «concorso» tra due persone. Dall’indagine non spunta nessuna associazione tra gli indagati, nonostante un giornale governativo abbia paventato l’esistenza di una nuova «P2».

C’è spionaggio?

No, non c’è nessuno spionaggio. Questo è un reato esplicitamente previsto dal codice penale, all’articolo 257, che si contesta a «chiunque si procura, a scopo di spionaggio politico o militare, notizie che, nell'interesse della sicurezza dello Stato o, comunque, nell'interesse politico, interno o internazionale, dello Stato, debbono rimanere segrete è punito con la reclusione non inferiore a quindici anni». Questo reato non viene contestato a nessuno degli indagati.

Ci sono ricatti?

No, non c’è alcun ricatto. Anche questo è un reato del codice penale, all’articolo 629: si chiama estorsione. E anche in questo caso non è presente nelle carte di Perugia. Il reato viene contestato a «chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno».

Non c’è stata nessuna violenza o minaccia: le informazioni ottenute dai giornalisti di Domani sono state pubblicate perché, oltre che vere e verificate, erano di interesse pubblico. Per fare un esempio: è di estremo interesse pubblico per i cittadini sapere che il ministro della Difesa ricevesse denaro, per lavoro e consulenze, dalle industrie che occupano nel settore di cui si occuperà nell’esecutivo.

C’è corruzione o ricettazione?

No, non c’è nessuna corruzione o ricettazione. I giornalisti di Domani hanno ricevuto in maniera totalmente lecita le informazioni dalla loro fonte. Anche per quanto riguarda gli altri indagati, a nessuno viene contestato di aver corrotto pubblici ufficiali per avere notizie o di aver pagato per avere documenti ottenuti illecitamente.

C’è una caccia alle fonti dei giornalisti?

Sì, c’è una caccia alle fonti dei giornalisti. Fonti che i giornalisti devono proteggere sempre e comunque. Pur non essendo previsto dalla legge italiana, esiste un diritto alla riservatezza delle persone che forniscono informazioni ai cronisti.

È previsto dalla deontologia del giornalista, ma lo prevede la Corte europea dei diritti dell’uomo, come estensione dell’articolo 10 della convenzione europea. Questo è l’articolo che assicura la libertà di espressione, compresa quella di stampa. Con una sentenza del 2020, la Cedu ha rafforzato questa libertà, includendo la protezione del giornalista in ogni fase della sua attività e con ogni strumento che tuteli l’esercizio della sua funzione di guardiano del potere.

Tra questi strumenti c’è anche la tutela della segretezza delle fonti, che svelano fatti al giornalista con la garanzia dell’anonimato. Per questo, afferma la Corte, nessuno può obbligare un giornalista a rivelare la fonte della sua notizia, anche nel caso possa essere utile all’autorità giudiziaria per individuare l’autore di un reato. Senza la protezione della segretezza delle fonti, sarebbero loro per prime a non comunicare più notizie di interesse generale: la conseguenza è che l’opinione pubblica sarebbe privata del diritto a ricevere informazioni utili all’esercizio delle proprie scelte politiche.

Il caso da cui nasce l’inchiesta di Perugia mette a dura prova la libertà di stampa. C’è un ministro che non denuncia per diffamazione dei cronisti, ma che chiede a dei magistrati di indagare sulle loro fonti perché le informazioni che hanno rivelato - vere, verificate e non smentibili - potrebbero essere state fornite accedendo a dei dati riservati. Per capire bene quello che è successo, bisogna ripercorrere tutto dall’inizio.

Il conflitto d’interessi di Crosetto

Tutto comincia da tre inchieste pubblicate da Domani il 27, 28 e 29 ottobre del 2022. Guido Crosetto ha da poco giurato al Quirinale, diventando così ministro della Difesa del governo di Giorgia Meloni. Nei tre articoli Emiliano Fittipaldi e Giovanni Tizian ricostruiscono un conflitto di interessi del neo ministro, che dal 2018 al 2021 ha percepito circa 2,3 milioni di euro tra stipendi e compensi da società da società del settore degli armamenti.

Società che dopo la sua nomina diventano tutte dirette interlocutrici del ministero di cui è a capo. Società che tra l’altro erano tutte affiliate all’Aiad, l’associazione confindustriale del comparto difesa e aerospazio presieduta da Crosetto (con un compenso di 850mila euro all’anno) fino alla nomina nel governo Meloni, e che hanno interessi milionari con Palazzo Barachini.

Come si può evincere facilmente dalle date dei tre articoli, l’accusa dei giornali governativi che dicono ci sia stata la volontà da parte di qualcuno di condizionare la formazione del governo Meloni è falsa: l’esecutivo era già formato, Crosetto già ministro. Dopo l’uscita delle nostre tre inchieste, Crosetto non smentisce nemmeno una virgola di quello che Fittipaldi e Tizian hanno scritto. E invece di rispondere del conflitto di interessi presenta una denuncia alla Procura di Roma. Non perché si sente diffamato dai nostri articoli, ma perché ritiene che le informazioni riportate siano uscite da informazioni riservate, come ad esempio la sua dichiarazione dei redditi.

L’inchiesta tra Roma e Perugia

Quello che Crosetto chiede ai magistrati è di andare alla caccia delle fonti di Domani. Il problema per il ministro non sono le informazioni vere pubblicate ma il modo in cui sono state ottenute. I magistrati della Procura di Roma guidata da Francesco Lo Voi aprono un fascicolo e chiedono a Sogei, la società che gestisce i sistemi informatici delle banche dati dell’Agenzia delle Entrate, di capire chi ha avuto accesso alle informazioni patrimoniali di Crosetto.

Sogei individua una rosa di nomi, ma la procura capitolina si concentra su uno: il finanziere Striano, quasi 60 anni, una vita da investigatore antimafia tra Sicilia, Calabria, Campania, e infine collocato a capo dell’unità analisi segnalazioni operazioni sospette della procura nazionale antimafia. A Via Giulia lavora insieme al magistrato Antonio Laudati, responsabile dell’unità Sos. Anche lui viene indagato e per questo motivo le indagini passano a Perugia: la procura guidata da Cantone è quella competente per le inchieste che coinvolgono i magistrati capitolini. Cantone si coordina anche con Francesco Melillo, da maggio 2022 nuovo capo della procura nazionale antimafia al posto di Federico Cafiero De Raho, andato in pensione.

Dopo il suo arrivo, Melillo ha modificato le procedure operative dell’unità Sos. Ad agosto del 2023, con una fuga di notizie - su cui Cantone ha aperto un’indagine per chiarire da dove sia partita - si viene a conoscenza dell’indagine sul finanziere Striano e sul magistrato Laudati. La procura di Perugia ipotizza che siano loro le fonti di Domani e per chiarirlo svolgono delle perquisizioni e dei sequestri dei loro dispositivi elettronici.

Crosetto e la «opposizione giudiziaria»

A fine novembre del 2023 il ministro Crosetto in un’intervista al Corriere della Sera parla di «opposizione giudiziaria» all’esecutivo. «L’unico grande pericolo è quello di chi si sente fazione antagonista da sempre e che ha sempre affossato i governi di centrodestra», dichiara al quotidiano di via Solferino. Alla domanda della cronista che chiede di spiegare meglio, risponde: «A me raccontano di riunioni di una corrente della magistratura in cui si parla di come fare a “fermare la deriva antidemocratica a cui ci porta la Meloni”. Siccome ne abbiamo visto fare di tutti i colori in passato, se conosco bene questo Paese, mi aspetto che si apra presto questa stagione, prima delle Europee...».

Scoppia il putiferio: il ministro Crosetto viene chiamato prima in procura di Roma per chiarire il senso delle sue affermazioni, poi viene sollecitato un intervento in Parlamento. In un’interrogazione alla Camera, torna sull’indagine in corso a Perugia: «Se vi ricordate quest'estate abbiamo discusso del caso dei dossier, (un’indagine, ndr) che è ancora in corso, che mi auguro arriverà alla fine, che parte da una mia denuncia, scusatemi il termine, coraggiosa, ai pm». Nel corso dell’interrogazione parlamentare ha aggiunto: «Sono sicuro che quello che ho fatto mesi fa uscirà e in qualche modo toccherà anche l'argomento di cui parliamo oggi, ma non compete a me portarlo avanti». Anche davanti ai parlamentari, il ministro adombra l’esistenza di chissà che trame segrete. Quelle che, a sentire la narrazione di alcuni politici e dei media, starebbero emergendo in questi giorni. Ma continua a tacere sul suo conflitto di interesse rispetto agli interessi che aveva fino a prima di diventare ministro con l’industria delle armi.

Le accuse ai giornalisti di Domani

A fine febbraio il magistrato Laudati e il finanziere Striano vengono convocati dalla procura di Perugia. Il primo verrà sentito nei prossimi giorni, mentre il secondo si è avvalso della facoltà di non rispondere. Dalla convocazione dei due emergono anche gli altri indagati: sono 14 persone, tutte accusate di concorso in accesso abusivo e di rivelazione di segreto.

Tra queste ci sono i tre giornalisti del team investigativo di Domani, il coordinatore del gruppo Giovanni Tizian, l’inviato Nello Trocchia e il collaboratore Stefano Vergine. A Tizian è contestata la ricezione di decine di documenti tra il 2019 e il 2022: tutti i file - si legge negli atti della procura - sono indicati come Sidda, ovvero come file provenienti dal sistema informativo in uso dalle procure antimafia locali e nazionale.

I file inviati a Trocchia sono invece undici, tra il febbraio e l’ottobre 2022: sono relativi a procedimenti giudiziari su imprenditoria e camorra, e su Elvis Demce. In quest’ultimo caso si tratta di atti di inchieste della magistratura capitolina, accessibili anche agli avvocati delle difese, e utilizzati nei processi. Demce è uno dei più efferati boss della criminalità albanese nella Capitale, legato alla camorra romana e ai narcotrafficanti che inondano la città di droga. I suoi sodali parlano di lui come un «Dio», la cui parola è legge e che fa rispettare in ogni modo. Lo scorso gennaio è stato condannato in primo grado a 18 anni e sei mesi per l’omicidio di un rivale.

A Vergine sono invece stati inviati da Striano cinque documenti, sempre nel 2022: sono carte giudiziarie in cui spuntano persone legate alla ‘ndrangheta in Emilia Romagna. Non viene segnalato in quali articoli dei due sarebbero poi comparsi i documenti ricevuti. Niente di segreto, ma tutti atti già pubblici, come ordinanze di custodia cautelare o richieste di arresto già depositate e conosciute agli avvocati degli indagati. Alcuni inoltre già citati nelle cronache sulla criminalità organizzata pubblicate da altri quotidiani negli anni passati. In nessun caso viene contestata la corruzione o la ricettazione: i file sono stati ricevuti in maniera totalmente lecita. Nessuno dei documenti indicati riguarda poi segnalazioni di operazioni sospette o informazioni bancarie o finanziarie.

Le ricerche di Striano

La procura di Perugia contesta a Striano anche centinaia di accessi abusivi ai sistemi informatici in uso alla procura nazionale antimafia. Sono stati poi gli stessi magistrati a dichiarare che molte delle ricerche effettuate dal finanziere hanno avuto esito negativo.

Ma gli accessi e le ricerche comunque rimangono, e Striano negli ultimi anni ha cercato il nome di numerosi esponenti della politica, dell’imprenditoria e dello spettacolo: dall’ex premier Giuseppe Conte e la sua compagna, al ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini e i suoi parenti acquisiti Verdini, dall’ex presidente della Juventus Andrea Agnelli, fino a Fedez e Cristiano Ronaldo. Oltre a Guido Crosetto, finito nelle ricerche di Striano per le indagini sulla criminalità organizzata nel settore della ristorazione e dell’ospitalità a Roma per via del suo legame con i fratelli Mangione, che in passato erano finiti in indagini accanto a nomi di punta della malavita romana.

Tra le ricerche anche quella sul presidente della Figc Gabriele Gravina, ora precipitata in un’inchiesta (ancora senza indagati) aperta dalla procura di Roma per alcune vicende legate alle trattative dei diritti televisivi.

In questo caso però, oltre all’accesso abusivo, è contestato anche il falso: lo spunto dell’indagine sarebbero state informazioni ricevute da un lobbista vicino al presidente della Lazio Claudio Lotito, che in passato aveva denunciato - a suo dire - alcune anomalie sulla vendita della Salernitana. Dei documenti relativi a Gravina e a Danilo Iervolino, presidente del club campano, sono stati scambiati con un ex finanziere, anche lui indagato, attualmente capo della sicurezza di Telsy, società del gruppo Tim. Tra gli altri indagati c’è poi un amministratore di condominio, un amministratore privato, una cronista che ha ricevuto informazioni su un foreign fighter in Ucraina: anche loro sono indagati per concorso in accesso abusivo e rivelazione di segreto.

La casa di Laudati

Negli atti dell’indagine si fa riferimento anche a un’altra inchiesta di Domani, quella su una speculazione edilizia che era in corso a Santa Severa, cittadina poco distante da Roma. Intorno a questo articolo c’è un’ipotesi che vede indagati Laudari e Striano per abuso d’ufficio, falso in atti pubblici e rivelazione di segreto.

L’articolo di Federico Marconi (non indagato), pubblicato nell’ottobre 2021, raccontava di una compravendita immobiliare nelle mire di speculatori immobiliari di dubbia fama, con alcuni fili che portavano alla criminalità organizzata. Il terreno al centro di tutto era di proprietà dell’Ordine dei frati minori e sulla compravendita c’era stato il nulla osta Vaticano.

Su questo sono presenti un convento e una chiesa, molto frequentata in passato anche da papa Giovanni Paolo II e i presidenti della Repubblica Cossiga e Scalfaro. Sul terreno inoltre sono presenti vincoli della soprintendenza archeologica, che insieme al comune di Santa Marinella e alla Regione Lazio, si sono mosse per bloccare l’operazione dopo il nostro articolo. La nostra inchiesta non ha ricevuto richiesta di rettifica, citazioni civili o denunce penali.

Ma secondo gli investigatori di Perugia l’articolo è al centro di un disegno criminale del magistrato e del finanziere, perché il primo è proprietario di una casa poco distante dal terreno. L’inchiesta, scrivono gli inquirenti, sarebbe stata sollecitata al giornalista di Domani per procurare un vantaggio a Laudati e un danno alla Curia. Non è chiaro però quando e come Striano e Laudati sarebbero stati in contatto con il cronista, che tipo di vantaggio abbia avuto Laudati e che tipo di danno i francescani. Di certo c’è solo che la notizia sulla speculazione non solo era vera ma ha anche portato al blocco dell’operazione opaca da parte delle istituzioni.

Come funziona l’unità Sos della procura nazionale antimafia

L’inchiesta di Perugia sulla fuga di notizie dalla banca dati della procura nazionale antimafia ha fornito l’assist perfetto a una parte della politica per condurre la battaglia contro le segnalazioni per operazioni sospette. Si tratta delle cosiddette Sos dell’antiriciclaggio di Banca d’Italia, che contengono informazioni sui flussi finanziari considerati sospetti.

Una categoria specifica nel mare di segnalazioni è identificata con la sigla “Pep”, che sta per “Persona politicamente esposta”. In questa categoria rientrano i membri dei partiti, di una fondazione o associazione collegate a un partito. Tra questi, però, possono rientrare anche assistenti, consulenti, familiari se hanno legami stabili con le persone politicamente esposte. Il motivo per cui la normativa ha dedicato una precisa categoria è semplice: monitorare con attenzione eventuali movimenti bancari sopra una certa soglia di chi rappresenta le istituzioni, che più di altri hanno la responsabilità della gestione di risorse della collettività. In un paese con il più alto grado di corruzione e distrazione di denaro pubblico in Europa.

La procura guidata da Raffaele Cantone ha deciso così di indagare anche sull’accesso a questa particolare banca dati dove confluiscono le Sos inviate dall’Ufficio informazione finanziaria (Uif) di Banca d’Italia. La stragrande maggioranza delle inchieste sulla pubblica amministrazione, sulla corruzione o sul traffico di influenze, ma anche sulle organizzazioni mafiose è cominciata proprio dai documenti dell’antiriciclaggio. Dall’analisi di queste relazioni i pm hanno ritenuto di avviare verifiche ulteriori scoprendo enormi giri di soldi, dietro i quali si celavano mazzette o riciclaggio. 

Le audizioni di Melillo e Cantone in antimafia e al Copasir

Mercoledì 6 e giovedì 7 marzo, il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo e quello di Perugia Raffaele Cantone sono stati sentiti dalla Commissione parlamentare antimafia, presieduta dalla deputata di Fratelli d'Italia Chiara Colosimo, e dal Comitato per la sicurezza della Repubblica. I due magistrati avevano chiesto di essere convocati in audizione in Parlamento (ma anche dal Consiglio Superiore della Magistratura) per chiarire i contorni dell'inchiesta e per permettere a deputati e senatori di trarre «le conseguenze politiche e amministrative».

Melillo: «Striano forse non agiva da solo»

Melillo ha definito l'inchiesta di Perugia una «terribile vicenda». Secondo il capo della procura antimafia Striano non agiva da solo, nonostante il suo sia solo un sospetto non supportato da prove: «Per estensione e sistematicità, la raccolta di informazioni che è attribuita a Striano ha caratteristiche che difficilmente ricorrono a iniziative individuali. Se esiste un perimetro di responsabilità più ampio lo scoprirà la procura di Perugia». Melillo ricorda infatti che anche lui era finito nella rete di dossier e spioni architettata da Pio Pompa, ex agente del Sismi legato all’allora capo dei servizi Niccolò Pollari.

Ai parlamentari, Melillo ha manifestato la sua preoccupazione per le numerose informazioni bancarie riservate che spuntano sui quotidiani, facendo riferimento ad alcuni articoli pubblicati da altri quotidiani sulle finanze di alcuni «importanti calciatori». Per questo ricorda di aver sollecitato i vertici delle procure di monitorare la stampa per vedere quali informazioni venivano pubblicate e su quali giornali, per sapere e andare alla caccia di eventuali talpe.

Ricorda che la Dna «ha le carte in regola» con condivisione unanime di «tutti i procuratori istituzionali», ma che bisogna chiarire «nodi problematici che ruotano intorno alla gestione delle Segnalazioni delle operazioni sospette». Nelle banche dati della procura nazionale antimafia «non sono presenti tutte le Sos realizzate» ma il 16 per cento delle oltre 150mila che ogni anno passano da Bankitalia.

Cantone: «Il mercato delle Sos è ancora aperto»

In tre ore di audizione davanti alla commissione parlamentare antimafia, il procuratore di Perugia Raffaele Cantone ha raccontato la genesi e le prime risultanze dell’inchiesta sul finanziere Pasquale Striano e sul magistrato Antonio Laudati, fino a pochi mesi fa in forza alla Direzione nazionale antimafia. Ha definito un «verminaio» ciò che è emerso dalle indagini. Ha parlato di un «mercato delle informazioni riservate», che non si è fermato nemmeno dopo le prime notizie sull’inchiesta. Ha specificato che dall'indagine è emerso un «numero mostruoso» di accessi sulle banche dati, oltre 10 mila. Alle domande di chi gli chiede se ci sono elementi che facciano pensare all’eversione e alle criticità sulla sicurezza nazionale, ha risposto prima con un «boh», per poi precisare che non ce ne sono. Ha poi detto due volte «grazie» al ministro della Difesa Guido Crosetto che con la sua denuncia ha dato il via all’indagine.

Il capo della procura di Perugia ha poi espresso sospetti e ipotesi che hanno mosso gli inquirenti in questi mesi: dalle finalità degli accessi di Striano, all’esistenza di mandanti o di una rete che voleva sfruttare le informazioni a cui aveva accesso, fino a chi - come «servizi stranieri» - poteva essere interessato a questi dati. Tutte domande che al momento, afferma Cantone, «non trovano risposta negli atti». Il pm ha poi detto di aver convocato e sentito molte delle persone finite nelle ricerche del finanziere Striano, ma nessuna di queste ha detto di essere stata ricattata negli ultimi mesi.

La genesi dell'indagine giudiziaria

Durante l'audizione di Raffaele Cantone è stato spiegato come è nata l'indagine sugli accessi abusivi di Striano. Due giorni dopo le inchieste di Domani sul suo conflitto di interessi, il ministro Crosetto si presenta ai carabinieri. È il 31 ottobre 2022, e Crosetto chiede di sapere quale sia la fonte delle notizie sulle sue consulenze milionarie, sospettando che dietro ci sia un accesso a dati riservate.
Viene subito chiesto a Sogei, società che si occupa dei sistemi informatici della pubblica amministrazione, di verificare chi aveva svolto ricerche su queste informazioni «dettagliatissime, che poteva sapere solo il datore di lavoro», specifica Cantone ai parlamentari in antimafia.

«Le ricerche sul sistema Serpico restituivano in modo netto» gli accessi di Striano. Così il 21 dicembre, dopo aver richiesto informazioni al magistrato Laudati (responsabile dell’unità Sos della Dna, di cui Striano era il comandante) viene notificato un avviso di garanzia al finanziere. Che viene interrogato il 1 marzo 2023 dai pm della Capitale: «Striano racconta del suo modus operandi investigativo e di aver svolto migliaia di accertamenti». Da queste dichiarazioni del finanziere sono partiti gli accertamenti che hanno fatto allargare l’indagine.

L’8 marzo è sentito a Piazzale Clodio anche Laudati, tirato in ballo da Striano. E un mese dopo, il 5 aprile, Roma manda il fascicolo a Perugia perché si ipotizza un coinvolgimento anche del magistrato. Dalle prime indagini emerge il «numero mostruoso» degli accessi di Striano: dal 1 gennaio 2019 al 24 novembre 2022, il finanziere ha consultato oltre 10mila atti, tra Sos, schede di analisi e approfondimento, e altre informazioni sui server della Dna e della guardia di Finanza.

Molte di queste erano su esponenti del mondo della politica e dell’imprenditoria. Al momento tutto fa pensare però che «Striano agisse in modo solitario e autonomo», afferma il procuratore. Non sarebbero però tutti accessi abusivi: «Ovviamente in tutte queste interrogazioni si sono escluse tutte quelle che avevano attinenza con i dossier lavorati dalla procura nazionale antimafia e trasmessi in modo regolare, e sono tanti per fortuna».

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