Un grosso guaio in Puglia per il Partito democratico. Voti comprati a 50 euro, pagati a elettori schedati in elenchi buoni per ogni evento elettorale. Insomma, l’intreccio tra malavita e politica, a Bari e in regione, ripropone nel Pd la questione etica dei cacicchi e dei portatori di voti, spesso abili trasformisti che saltellano da una coalizione a un’altra a seconda del vento che tira.

L’ultima indagine della procura barese ha portato alle dimissioni di Anita Maurodinoia, assessora ai Trasporti della giunta regionale guidata da Michele Emiliano. Maurodinoia, fondatrice del movimento Sud al centro, è indagata nella stessa inchiesta che ha portato ai domiciliari il marito, Sandro Cataldo, e il sindaco di Triggiano, Antonio Donatelli.

Secondo la procura esisteva un sistema di compravendita dei voti, una macchina rodata per acquistare i consensi con buona pace della democrazia rappresentativa, ridotta a mercato delle vacche. Il tariffario il seguente: dieci euro per i giovani che accompagnavano ai seggi chi doveva votare; 50 euro per gli elettori, suddivisi anche in gruppi familiari.

«Il genio della compravendita di voti», così il consigliere di circoscrizione, Armando De Francesco, definiva Cataldo in un audio agli atti dell’indagine. Il trionfo elettorale veniva, a detta di Cataldo, comunicato anche al presidente Emiliano, totalmente estraneo all’indagine, che se ne complimentava. C’è anche un altro riferimento al governatore nelle intercettazioni: Cataldo esorta la moglie assessora a portare «un non meglio specificato documento all’attenzione del presidente ovvero di farglielo firmare».

Ras e cacicchi

Di certo è un brutto colpo per il Partito democratico che arriva a poche settimane dall’attacco della destra sulla città di Bari: il sindaco Pd finito nel mirino della maggioranza di governo, che ha chiesto a gran voce una commissione di accesso per verificare eventuali infiltrazioni mafiose dopo alcune indagini della procura sul voto di scambio che hanno riguardato consiglieri comunali eletti a destra e poi passati col centrosinistra.

Ma il metodo brutale e scomposto delle destre per colpire l’amministrazione di centrosinistra di Bari non cancella il mercimonio elettorale che trova conferma ulteriore nell’ultima inchiesta dei pm del capoluogo pugliese.

Un mercimonio che da un punto di vista penale chiama in causa le responsabilità dei singoli, innocenti fino a condanna definitiva, ma da un punto di vista politico mette in difficoltà il Pd di Elly Schlein, che fin dal suo insediamento aveva promesso una guerra senza quartiere ai cacicchi e ai ras del consenso.

Tuttavia a distanza di tempo, le indagini giudiziarie mettono al tappeto la pratica del trasformismo, mai combattuta da Michele Emiliano, presidente di regione che ha lavorato alla coalizione allargata accogliendo a braccia aperte ex esponenti di destra.

Il Sistema

I protagonisti dell’ultima inchiesta, in tutto sono 72 gli indagati, erano già stati sfiorati da indagini, dichiarazioni, intercettazioni, ma non servivano le microspie degli inquirenti per porsi una domanda sulla massa di voti garantita a ogni tornata elettorale dagli odierni indagati. Eppure sono rimasti al loro posto.

L’assessora Maurodinoia era già stata indagata per corruzione con il marito, nel 2022 era arrivato il proscioglimento con il giudice che sottolineava «l’esistenza di relazioni amicali assolutamente inopportune che, tuttavia, non superano la soglia del fondato sospetto in merito al loro coinvolgimento» in vicende corruttive, «difettando la prova di un collegamento tra le regalie/utilità erogate e gli affidamenti aggiudicati, tale da rendere sostenibile l’accusa di corruzione».

Maurodinoia è stata ribattezzata “lady preferenze”, ha sempre portato in dote vagonate di voti, vanta un’amicizia con la consigliera Maria Carmen Lorusso, arrestata nell’operazione antimafia di inizio marzo insieme al marito, Giacomo Olivieri.

«Io e Anita siamo molto amiche e alle regionali l’ho sostenuta a spada tratta», diceva Lorusso. A inizio marzo era arrivata la notizia di un’indagine proprio a carico di Maurodinoia per voto di scambio politico-mafioso partita dalle elezioni comunali a Bari del 2019.

Tuttavia, evidentemente, per il Pd e la giunta regionale a guida Emiliano questi elementi non erano sufficienti per ripensare alla sua nomina. Così lei è rimasta inamovibile.

Nonostante vicende che vanno al di là della disputa giudiziaria, ma che riguardano questioni di opportunità: come quella che gli investigatori, in un’altra indagine, definiscono una «strutturata conoscenza fra la Maurodinoia e suo marito Cataldo sia con il Tommaso Lovreglio che con suo padre Battista, elemento di primo piano del clan Parisi».

Relazioni sempre negate dall’assessora Maurodinoia, che ora deve fare i conti con la nuova indagine che svela un sistema, «il sistema Sandrino», dal nome di suo marito.

Il mercato dei voti

«Lui (Cataldo, ndr) che è un genio, su questo bisogna riconoscerlo, lui aveva un sistema infernale che nessuno sa al mondo secondo me. Lui ti sapeva dire se tu lo votavi o meno attraverso questa tecnica», diceva De Francesco.

Il sistema era rodato e consisteva nel dare indicazioni di voto precise e differenti a ogni elettore in modo da verificare allo spoglio l’esatta esecuzione del mandato in cambio del denaro: c’è chi doveva segnare la x solo sul nome del candidato e chi era obbligato a scrivere il nome della preferenza.

«Quando si dice che il voto è segreto è bugia perché tu lo scopri dopo due secondi, attraverso il suo metodo io te lo scopro dopo due secondi, e quello quando andava a vedere che c’era ti pagava altrimenti non ti pagava. Allora ci faceva dire ovviamente alle persone che dovevano votare in questa maniera», spiegava il consigliere municipale in uno degli audio agli atti.

Ma come riusciva Cataldo a intercettare nuovi votanti? «Il sistema, che si sarebbe avvalso – anche ma non solo – dei numerosi contatti, soprattutto relativi ai tanti giovani in cerca di una stabile occupazione lavorativa, registrati ed acquisibili perlopiù dagli archivi da due università telematiche».

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