I fatti accaduti l’8 marzo, nel carcere Sant’Anna di Modena, sono episodi che rendono quella giornata la più buia della storia penitenziaria della Repubblica italiana. Un carcere che brucia, detenuti liberi di distruggere l’istituto, di strafarsi e morire per overdose di metadone (nove le vittime totali). Mentre altri si premurano, sollecitati dai vertici del carcere, di liberare il personale imprigionato. Lo stato, le procure e il ministero della Giustizia che passi hanno finora compiuto per chiarire tutti i drammatici eventi e le responsabilità dello scandalo? Ci sarebbero due questioni da affrontare. La prima riguarda quanto accaduto nel casermone prima dei trasferimenti dei detenuti in altri istituti. Leggendo le testimonianze di alcuni reclusi e anche di alcuni agenti, proprio lì sono iniziati i pestaggi dei poliziotti sui detenuti inermi.

Su quelle presunte violenze è stato aperto un fascicolo giudiziario che è già alla seconda proroga. Sono passati due anni e mezzo dai fatti. Ma all’interno di quel fascicolo sono contenuti i video di quella giornata, che documenterebbero attraverso le immagini le accuse dei carcerati da un lato e i saccheggi citati dai poliziotti dall’altro? La seconda questione invece riguarda direttamente il ministero e il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Per fare luce su quei fatti, e sulle rivolte all’inizio della pandemia, la ministra Marta Cartabia ha sollecitato l’istituzione di una commissione presieduta dall’ex magistrato Sergio Lari. La relazione è stata consegnata ad aprile, cosa ha stabilito sulla prigione emiliana? Domani ne ha chiesto conto all’ufficio stampa del ministero della Giustizia e proprio ieri, dopo la pubblicazione della prima puntata della nostra inchiesta, è stata pubblicata la relazione.

Il video misterioso

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Partiamo dalle violenze sui carcerati. Il procedimento è nella fase delle indagini preliminari, l’ultima proroga è stata richiesta e ottenuta dalla procura nell’aprile scorso. Sono cinque gli agenti indagati per tortura. Gli inquirenti stanno cercando di fare luce su quanto è accaduto, ma le indagini procedono a rilento.

Sono iniziate a seguito di alcuni esposti presentati, nel 2020, da sette detenuti che hanno raccontato quello che era successo prima nel carcere emiliano, e poi in quello marchigiano, Ascoli Piceno, dove alcuni di loro erano stati trasferiti. Il fascicolo è nelle mani della magistrata Lucia De Santis e del procuratore Luca Masini.

Tutti i detenuti denuncianti raccontano di violenze iniziate all’interno di uno stanzone, nell’area mensa. «Gli davano i calci nelle gambe, li buttavano a terra, tanto erano ammanettati, erano in due, gli toglievano le scarpe, le scarpe le hanno buttate tutte in un unico punto, le hanno ammassate tutte in un unico punto e là manganellate a tutta forza», racconta uno dei detenuti.

A Domani anche un agente penitenziario ha confermato i pestaggi. «Alcuni detenuti entravano e poi uscivano con i volti sanguinanti», dice un agente. Ma altri detenuti che non figurano tra i denuncianti, indagati per i saccheggi e per le devastazioni, raccontano le stesse scene.

Le testimonianze

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«Il carcere, quel giorno, è stato abbandonato, i reparti antisommossa dovevano entrare prima ed evitare la morte dei reclusi per overdose. Sono andato in questo stanzone, un locale a U, ci doveva essere un’altra stanza anche dall’altra parte. In quel locale c’erano detenuti già sanguinanti, erano stati massacrati, ad altri venivano inferte manganellate sulla schiena. Quando i detenuti venivano portati fuori ricevevano calci e pugni. Prima di uscire c’erano agenti a destra e sinistra, li hanno massacrati. A me no, sono malato di cuore e rischiavo l’emorragia. Ricordo Liccardi (Giobbe, ndr) che era lì a organizzare i trasferimenti e anche Maria Rosaria Musci che era al suo fianco (entrambi indagati, ndr)», spiega R.M, un ex detenuto. Liccardi e Musci sono indagati per tortura, ma si dichiarano estranei alle contestazioni.

Ma i video che potrebbero incastrare o scagionare gli agenti esistono oppure no? Parrebbe di sì, almeno a leggere le relazioni scritte da Mauro Pellegrino, comandante del carcere. «Dall’analisi delle videoriprese disponibili, si possono delineare le condotte tenute dai rivoltosi, il grado di partecipazione e i profili di responsabilità dei singoli soggetti», scrive Pellegrino il 20 luglio 2020 nella sua relazione alla procura.

La stessa procura cita una nota della squadra mobile depositata l’11 marzo 2020 con allegati otto dvd. «Una volta completata la delegata analisi dei filmati del circuito di video-sorveglianza interna ed effettuata la conseguente valutazione del grado di partecipazione di tutti i detenuti coinvolti», continua Pellegrino il 21 luglio 2020.

Video agli atti del fascicolo sul saccheggio del carcere, dunque, ma indisponibili alle parti e non presenti nei fascicoli sulle morti? Eppure le due vicende giudiziarie raccontano gli stessi episodi avvenuti nello stesso giorno e nello stesso carcere.

La divulgazione rappresenta inoltre un elemento di pubblico interesse, necessaria a fare trasparenza sulla pagina più cruenta della storia penitenziaria della Repubblica italiana.

Al momento quei video non sono visionabili, ma non dovrebbero comunque esserci immagini relative a quanto accaduto nello stanzone dove sarebbero avvenuti i pestaggi. Le telecamere dovrebbero infatti aver ripreso solo quanto accaduto nel nuovo padiglione.

La relazione della Cartabia

Dopo i fatti di Santa Maria Capua Vetere, il ministero aveva promesso telecamere funzionanti in tutte le carceri e promosso l’istituzione di una commissione ispettiva per ricostruire quanto accaduto nelle prigioni italiane nel periodo pandemico, attraverso un provvedimento firmato da Bernardo Petralia, capo del Dap e dal suo vice Roberto Tartaglia. Entrambi hanno lasciato l’incarico, sostituiti da Carlo Renoldi.

Appena istituita la commissione, la ministra Marta Cartabia aveva dovuto difendere la scelta di inserire nel gruppo di lavoro Marco Bonfiglioli, presente l’8 marzo a Modena, in stretto contatto con Mauro Pellegrino. La ministra ne confermava la presenza nella commissione ispettiva rispondendo a una interrogazione parlamentare presentata dalla deputata Giuditta Pini, ora fatta fuori dalle liste del Pd. Alla fine Bonfiglioli non ha lavorato al caso Modena.

La relazione della commissione è stata pubblicata ieri dopo la diffusione della prima puntata della nostra inchiesta. Cosa emerge? Gli agenti della polizia penitenziaria hanno fronteggiato situazioni da «scenario di guerra», evitato una fuga di massa, non sono emersi elementi utili a ritenere scorretto il comportamento della polizia penitenziaria che ha fronteggiato resistenze nella fase di preparazione dei trasferimenti, fase nella quale potrebbero essere avvenute le violenze. «Sono, tuttavia, residuati dei dubbi di non poco momento per quanto riguarda l'ipotesi, cui si è accennato in precedenza, che da parte della Polizia penitenziaria possano esservi state violenze in particolare ai danni di un gruppo di detenuti nella fase prodromica al trasferimento in altri istituti, mentre si trovavano radunati in un locale della caserma agenti in attesa di essere identificati e perquisiti», si legge. Ma la commissione non ha avuto accesso ai verbali e neanche ai video, la procura di Modena non ha risposto alla richiesta di «avere i filmati prodotti anche dalla Polizia di Stato, oltre che dalla Polizia Penitenziaria». Così su quel giorno il giudizio è sospeso in attesa del lavoro dei pubblici ministeri.

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