Il procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi, è ancora al centro dello scontro in corso tra i magistrati. Una settantina di toghe (ma le adesioni stanno crescendo) ha sottoscritto una lettera al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che è anche presidente del Consiglio superiore della magistratura, per chiedere un suo intervento «per rimediare alle gravi distorsioni dell’autogoverno della magistratura, disvelate dallo scandalo meglio noto come Magistropoli».

L’iniziativa è trasversale ma si è animata nelle chat dei simpatizzanti del gruppo Articolo 101, la cui lista ha eletto quattro rappresentanti nell’Associazione nazionale magistrati che oggi siedono all’opposizione della giunta quasi unitaria di Giuseppe Santalucia. Tuttavia, tra le firme si ritrovano i nomi di molti magistrati che si definiscono indipendenti, il più noto dei quali è il milanese Guido Salvini, che svolse le indagini sulla strage di piazza Fontana.

A sorprendere, oltre alla durezza del contenuto, è anche la tempistica: proprio Santalucia e il segretario dell’Anm Salvatore Casciaro, infatti, sono stati ricevuti il 18 febbraio dal presidente Mattarella.

«Un incontro che è avvenuto all’insaputa di una parte del comitato direttivo centrale dell’associazione – dice Andrea Reale, eletto in Anm con Articolo 101 –. La lettera ha l’obiettivo di far conoscere al presidente lo stato interno del dibattito nella magistratura e prospettargli la posizione raccolta trasversalmente tra i colleghi, che non sappiamo se sia stata oggetto del confronto con Santalucia e Casciaro».

La lettera, che ricorda il discorso di Mattarella al plenum del Csm del giugno 2019 e il biasimo per le degenerazioni correntizie, ritorna sui fatti rivelati da Luca Palamara nel suo libro-intervista “il Sistema” ed è un attacco diretto a Salvi. «Tra coloro che sono stati investiti dalle rivelazioni dei mezzi di informazione, infatti, solo una parte, pur significativa ma certamente non completa, ha liberato l’Istituzione che rappresentava dal peso di una situazione divenuta oggettivamente insostenibile, facendo un passo indietro», scrivono le toghe.

L’attacco a Salvi

Tuttavia, aggiungono, «in relazione a comportamenti che nell’esercizio delle funzioni non esiteremmo a censurare con fermezza, non solo difettano le doverose iniziative delle autorità competenti ma, sotto il profilo disciplinare, si è anche registrata l’adozione di una generale direttiva assolutoria, col conseguente rischio che comportamenti di tale genere, anziché essere sanzionati, siano avallati e ulteriormente incentivati». Il riferimento è proprio alla direttiva redatta da Salvi, che contiene una sorta di elenco di condotte che la procura generale di Cassazione - che è anche deputata a svolgere la funzione disciplinare per i magistrati – ha ritenuto di perseguire disciplinarmente e un elenco dei comportamenti ritenuti biasimabili ma non sufficienti a innescare un procedimento.

Tra queste, quella che ha fatto più discutere riguarda la non illiceità della autopromozione dei magistrati che contattavano Palamara, come risulta dalle chat raccolte dal trojan installato nel suo cellulare: "L'attività di autopromozione effettuata direttamente dall'aspirante, anche se petulante, ma senza la denigrazione dei concorrenti o la prospettazione di vantaggi elettorali, non può essere considerata in violazione di precetti disciplinari", si legge nelle linee guida. Questo perché il self-marketing, "non essendo una condotta “gravemente scorretta” nei confronti di altri, è in sé inidonea a condizionare l'esercizio delle prerogative consiliari".

Proprio questo passaggio, che già era stato oggetto di critiche, ha assunto un nuovo connotato proprio rispetto alla posizione dello stesso Salvi, per come descritta nel libro di Palamara.

Il passaggio riguarda le trattative per la nomina del predecessore di Salvi, Riccardo Fuzio, le cui dimissioni in seguito allo scandalo Palamara hanno poi portato alla nomina di Salvi, che tuttavia era in lizza per il posto già nella tornata precedente. L’ex magistrato romano, infatti, racconta che Salvi era il candidato gradito all’allora vice-presidente del Csm e di area Magistratura democratica, Giovanni Legnini: «Per blandirmi, Legnini mi propone di presiedere la commissione, la quinta, che dovrà decidere su quella nomina. Io sto al gioco, accetto e in giugno – ce n’è traccia sul mio cellulare – vedo Giovanni Salvi, che mi invita su una splendida terrazza di un lussuoso albergo romano nei pressi di corso Vittorio Emanuele». Proprio questo passaggio – che non è stato ancora oggetto di smentita – lascerebbe intendere che lo stesso Salvi si sarebbe autopromosso davanti a Palamara per ottenere la nomina. Esattamente la condotta esclusa ex post da quelle ritenute disciplinarmente rilevanti.

L’appello a Mattarella

Ecco il punto della contestazione da parte dei firmatari della lettera a Mattarella. «Allarma, al riguardo, apprendere dal racconto di un ex Presidente dell’ANM ed ex membro del CSM – che non risulta né smentito né oggetto di querele – che comportamenti di questo tipo sarebbero stati realizzati da chi, nominato proprio in nome di una forte discontinuità con il comportamento del suo predecessore costretto alle dimissioni, avendo il compito istituzionale di curare l’interesse pubblico al rispetto della disciplina da parte degli appartenenti all’ordine giudiziario, ha adottato siffatta generale direttiva». Salvi, appunto.

La lettera si conclude chiedendo un intervento al presidente della Repubblica, a cui viene chiesto di mettere fine «a una diffusa inerzia rispetto a iniziative che sarebbero tanto naturali quanto doverose».

I punti su cui agire, secondo i firmatari, sono due: «l’inserimento del sorteggio nella procedura di selezione dei componenti del CSM e la rotazione degli incarichi direttivi e semi-direttivi». Il sorteggio è stato anche l’elemento caratterizzante della campagna di Articolo 101 alle elezioni dell’Anm ma la soluzione non ha trovato accoglimento nella proposta di riforma del Csm attualmente depositata in parlamento, né ha raccolto consensi tra i membri della giunta dell’Anm, a partire dal presidente Santalucia che si è detto disponibile ad affrontare il discorso ma personalmente contrario al sorteggio.

L’altro punto è la rotazione degli incarichi, «in grado di eliminare in radice il carrierismo e la concentrazione di potere in mano a pochi, fenomeno preoccupante e dei cui effetti distorsivi e dannosi le recenti cronache ci hanno resi tutti ancor più consapevoli. La rotazione negli incarichi direttivi e semi-direttivi sulla base di criteri legali – onde selezionare non i presunti “migliori”, la cui scelta può troppo facilmente avvenire in base alle distorte logiche che abbiamo appreso con sconcerto essere state non infrequenti, ma magistrati adeguati, temporaneamente addetti a compiti organizzativi – costituisce l’antidoto più efficace contro la degenerazione correntizia».

Queste le richieste fatte a Mattarella, «per avviare finalmente l’ormai non più differibile azione di recupero della fiducia di cui l’Ordine Giudiziario e la gran parte dei Magistrati meritano di godere».

La posizione di Ermini

Il pesante attacco a uno dei vertici della Cassazione, che è anche membro di diritto del Csm, potrebbe però essere prodromico di una contestazione analoga che potrebbe essere mossa anche al vicepresidente del Csm, David Ermini. Anzi, è possibile che nei giorni prossimi siano lanciate iniziative per stigmatizzare il metodo raccontato da Palamara – e ancora mai smentito – utilizzato per la sua nomina e chiedere un gesto di responsabilità da parte sua, che si tradurrebbe in una richiesta di dimissioni.

Ermini, parlamentare dem di area ex renziana e avvocato, in quanto non magistrato non è passibile di procedimento disciplinare e questo giustificherebbe il fatto che gli attacchi ancora non si siano abbattuti su di lui. Tuttavia, il libro di Palamara getta una luce altrettanto distorta sui metodi adottati anche per la sua elezione alla vicepresidenza.

«C’è una cena a casa di Giuseppe Fanfani, membro del Csm in quota renziana. Siamo invitati io, Ferri ed Ermini per chiudere il cerchio. Io e Ferri chiediamo all’ultimo al padrone di casa se può venire anche Lotti, lui non obietta né tantomeno obietta il vicepresidente in pectore Ermini. L’oggetto della cena sono i numeri: siamo sicuri che su Ermini raggiungiamo i fatidici tredici?», racconta Palamara. La serata si sarebbe conclusa con una stretta di mano sul suo nome e uno scambio di battute tra i due: «Facciamo e rifacciamo i conti e avviso Ermini: per essere sicuri di arrivare a tredici dovrà votarsi anche lui. So che non è bello – gli dico – ma così è. E lui lo farà».

Se davvero i fatti si fossero svolti in questo modo, il metodo non sarebbe per nulla diverso da quello utilizzato nel dopocena all’Hotel Champagne per l’individuazione di Maurizio Viola come successore a capo della procura di Roma.

Il clima nella magistratura associata è ancora tesissimo e gli strascichi delle dichiarazioni pubbliche di Palamara – che nel frattempo ha depositato ricorso in Cassazione contro la sua radiazione dalla magistratura – minacciano di far tremare altre posizioni apicali.

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