Dopo il rigetto dell’istanza di revoca del 41 bis all’anarchico Alfredo Cospito da parte del ministero della Giustizia, è il tempo dell’attesa.

L’avvocato del detenuto, Flavio Rossi Albertini, ha annunciato l’impugnazione ma è il primo a non credere che possa essere efficace: «I tempi non sono compatibili con la salute di Cospito», ha detto, specificando che lo stesso vale per l’udienza della Cassazione del 24 febbraio, su cui avrà un’influenza anche il rigetto ministeriale.

Cospito era il primo ad aspettarsi il rigetto, ha confermato Rossi Albertini, secondo cui l’esito della vicenda è «quasi scontato»: la morte di Cospito, che ha perso 47 chili dopo 113 giorni di sciopero della fame. Il tracollo sarebbe «imminente».

La conferenza stampa alla Camera del legale, accompagnato dall’ex senatore Luigi Manconi, è stata anche il momento per replicare a distanza agli argomenti per il rigetto utilizzati dal ministero della Giustizia, che ha scelto di appoggiarsi soprattutto sulle argomentazioni del parere della procura generale di Torino, invece che su quelle della Direzione nazionale antimafia.

La sentenza «neutra»

L’istanza si basava sull’elemento nuovo della sentenza di assoluzione degli anarchici del “Bencivenga occupato” da parte della corte d’assise di Roma che, secondo l’ipotesi accusatoria, erano ispirati anche dagli scritti di Cospito.

Nel rigetto, il ministro Carlo Nordio ha definito la sentenza «di valenza neutra» per valutare la possibilità di modificare il regime del 41 bis per Cospito.

Eppure, come ha spiegato Rossi Albertini, i presupposti per collocare al carcere duro un detenuto sono quelli di recidere i legami con organizzazioni terroristiche che commettono atti violenti.

Tanto che proprio l’inchiesta sul “Bencivenga occupato” veniva citata nell’atto del ministero datato 5 maggio 2022 con cui il 41 bis è stato disposto, in cui si legge che i pm di Roma hanno rilevato una «continuità tra i dettami dell’ideologo Alfredo Cospito, detenuto, con la creazione di un’associazione con finalità di terrorismo e le condotte degli appartenenti a questa, individuati negli indagati del procedimento romano».

Tradotto: per il ministero l’indagine a carico degli anarchici è stata considerata uno degli argomenti di esempio per giustificare il 41 bis. La sentenza che ne è seguita e che ha assolto gli imputati escludendo ogni legame causale con gli scritti di Cospito, invece, non ha valore.

L’avvocato ha smentito le tesi di collusione di Cospito con la mafia portate avanti dal deputato di Fratelli d’Italia Giovanni Donzelli, ricordando che i gruppi di socialità in carcere vengono decisi dall’amministrazione carceraria e che «Cospito condivideva i ragionamenti sul suo sciopero della fame con gli unici con cui poteva, limitatamente, parlare».

Fino al 23 dicembre il suo gruppo di socialità era composto da detenuti considerati inoffensivi, tanto è vero che non esistono conversazioni trascritte tra di loro. È a gennaio che l’amministrazione lo sposta di gruppo, inserendolo in uno composto da un boss mafioso, un ’ndranghetista e un camorrista.

Il corpo come arma

Al netto del dettaglio specifico, l’argomentazione principale utilizzata da Nordio per giustificare il mantenimento del 41 bis non è un cavillo giuridico.

La tesi è che Cospito abbia aggirato il divieto di comunicare con l’esterno a cui serve il carcere duro con lo sciopero della fame. Secondo Nordio, il ruolo pericoloso di Cospito nell’influenzare la «galassia anarco insurrezionalista» è dimostrato dalle «azioni intimidatorie e violente seguite all’adozione del regime carcerario differenziato» e l’atto cita la lettera anonima arrivata al Tirreno del 28 dicembre 2022, l’incendio di un ripetitore a Torino il 28 gennaio e l’incendio di cinque macchine a Roma del 30 gennaio.

Il ragionamento è stato recepito dal parere della procura generale di Torino, che è l’unica a venire citata nei passaggi di merito dell’atto.

Secondo Nordio, quindi, prima del 41 bis Cospito orientava i comportamenti degli anarchici attraverso i suoi scritti. Dopo il 41 bis, li ha ugualmente orientati ma attraverso lo sciopero della fame che, «forma di protesta tradizionalmente non violenta», nel caso di Cospito «ha assunto un significato assolutamente opposto».

A sostegno di questa tesi viene citata la frase pronunciata dal detenuto: «Il corpo è la mia arma». Questi, secondo il ministero, sono le ragioni che impongono di mantenere Cospito al 41 bis, come unico strumento «capace di eliminare, o quantomeno di limitare, l’attività istigatrice» che mantiene nei confronti degli anarchici.

Si pone però un problema logico. Il ministero sostiene che Cospito, dal regime di carcere duro, influenza gli anarchici non più attraverso gli scritti ma con lo sciopero della fame, che è disposto a cessare solo con la revoca del 41 bis.

Seguendo questo ragionamento l’unico modo per far sì che Cospito interrompa ogni istigazione delle azioni violente all’esterno sarebbe appunto quello di revocargli il regime speciale. L’altra opzione, confermandogli il 41 bis, è quella che lui muoia. Col rischio, però, di trasformarlo in martire.

Cosa succederà

«Si può ancora intervenire senza che questo comporti cedimenti per lo stato», ha detto Manconi, riferendosi all’opzione dell’Antimafia di spostare Cospito al regime di alta sorveglianza con censura della corrispondenza.

Altre strade per evitare che l’anarchico muoia nel carcere di Milano Opera non ne esistono. L’avvocato ha confermato che non ci saranno richieste di grazia al Quirinale e nemmeno un ricorso per chiedere la sospensione della pena per ragioni di salute, perché questo non servirebbe solo a differire la pena ma non ad eliminare il 41 bis.

Inoltre, Cospito ha confermato nelle sue disposizioni anticipate di trattamento di non voler essere alimentato forzatamente.

L’interrogativo, ora, come si possa intervenire e se qualcuno voglia farlo. Certo è che il ministero ha portato sul piano politico più che giuridico il confronto. Nella scelta di mantenere la linea della fermezza, infatti, si sente l’eco delle parole della premier Giorgia Meloni, quando ha detto di non voler cedere al ricatto terroristico generato dagli attacchi anarchici.

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