Verso le prossime elezioni dell’Anm, i gruppi associativi si stanno confrontando sul modello di magistratura. Nuove geometrie: Mi e Area uniti sulla discrezionalità del Csm, Unicost, Md e gli indipendenti vogliono i punteggi
La toga non basta più a difendere la magistratura, né a darle prestigio. Dal 2018 dello scoppio del caso Palamara a oggi, è stata una lunga traversata nel deserto, che sembra ancora lontana dall’essere conclusa: troppi gli strascichi non ancora lasciati alle spalle, tante le contrapposizioni interne, asprissimo il confronto con la politica.
Con tre effetti ben distinti che, andando oltre la contingenza delle polemiche quotidiane, si scaricheranno verosimilmente sull’elezione della nuova giunta dell’Associazione nazionale magistrati nel gennaio prossimo.
La riforma
La grande questione su cui tutti i gruppi associativi hanno trovato un minimo comune denominatore è la contrarietà alla riforma della magistratura incardinata dal centrodestra e che il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha annunciato sarà in aula dal 26 novembre.
Il testo è sintetizzabile in tre punti: la separazione ordinamentale delle carriere tra giudici e pm, che avranno due percorsi di carriera distinti; la conseguente creazione di due Csm, da cui verrà scorporata la funzione disciplinare, da assegnare unitariamente a una sola Alta corte; il sorteggio puro dei componenti togati e il sorteggio temperato di quelli laici, da una lista stilata dal parlamento.
La riforma, inizialmente la Cenerentola tra il premierato e l’autonomia, è oggi considerata «necessaria» dalla stessa premier Giorgia Meloni e cavalcata da tutto il centrodestra. Se formalmente viene ripetuto che non si tratta di un contrappasso punitivo, la realtà è che nessun esponente di governo resiste alla tentazione di citarla in ogni occasione in cui il confronto tra maggioranza e toghe si inasprisce. Così, del resto, è successo in queste settimane di polemica sulla questione migratoria.
Fonti da via Arenula confermano la volontà assoluta di procedere senza modifiche: «Più si tocca un testo, più pasticci si fanno», è la tesi. In particolare, la parte più costituzionalmente problematica è quella che riguarda il sorteggio puro per i consiglieri togati, visto che la Carta parla di «componenti eletti». Eppure, è la tesi spiegata più volte dal sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro, il sorteggio è l’unica via per smontare «un sistema legato al potere correntizio» e «noi crediamo nel merito, e il sorteggio ci garantirà quello».
L’autoriforma
Accanto alla riforma costituzionale, corre anche il tentativo di autoriforma da parte delle toghe. Pur con la chiusura all’iniziativa del governo, infatti, le toghe sono ben coscienti del fatto che il sistema scoperchiato dal caso Palamara abbia leso l’immagine della categoria ma anche sollevato questioni impossibili da ignorare rispetto al cosiddetto “carrierismo”: l’ambizione dei magistrati ad assumere incarichi direttivi – soprattutto ai vertici delle procure – appoggiandosi per farlo alla sponsorizzazione e agli accordi tra gruppi associativi al Csm.
Proprio su questo sta lavorando l’attuale Consiglio, con la sponda della riforma dell’ordinamento giudiziario introdotta dalla Cartabia, che prevede una revisione del testo unico sulla dirigenza. La questione è solo apparentemente burocratica, e tocca invece uno dei nodi più sensibili: da un lato la discrezionalità del Csm, dall’altro il bisogno di trasparenza sull’attribuzione degli incarichi.
Per questo, in un confronto acceso, si sono delineate due visioni e anche l’emergere di una nuova geometria di alleanze al Csm. Da una parte, infatti, si sono coagulati i gruppi centrista di Unità per la Costituzione e progressista di Magistratura democratica insieme ai due indipendenti Roberto Fontana e Andrea Mirenda, che sostengono la proposta che fissa quelle che vengono definite «regole del gioco» a monte: ovvero un sistema di punteggi relativamente rigido con cui interpretare il curriculum di ogni aspirante procuratore, di modo che la discrezionalità del Csm si espliciti nella fissazione dei criteri più che nella scelta a valle del candidato.
Come scrive la consigliera di Md Mimma Miele, «la discrezionalità deve tornare ad essere scelta sui valori, non sulle persone».
Dall’altra, invece, c’è una proposta che ha visto l’inedita confluenza tra i conservatori di Magistratura indipendente (autori in solitaria di una prima proposta) e i progressisti di Area, i quali hanno ritoccato e smussato il testo iniziale in una sorta di terza via, con l’obiettivo di preservare al massimo la discrezionalità del Consiglio. In questa proposta si pone come obiettivo «improntare le scelte future a maggiore chiarezza e predeterminazione», ma «non attribuendo indici numerici», bensì «gerarchizzando rigidamente gli indicatori», a partire da quello della durata dell’esperienza giudiziaria.
Tradotto: no ai punteggi come prevede la prima ipotesi di maggiore discontinuità, ma l’indicazione di una scala di priorità attraverso cui leggere il curriculum. L’obiettivo di Area è quello di «far convergere tutto il Consiglio», ma per ora prevalgono le distanze.
Entrambe le proposte arriveranno davanti al plenum verosimilmente il 13 novembre, e determinante sarà il voto dei laici di centrodestra, di cui ancora non si conosce chiaramente l’orientamento (in Quinta commissione, Claudia Eccher si è astenuta).
La comunicazione
In questa tenaglia si inserisce il sentire della magistratura di base: un corpaccione variegato di quasi diecimila toghe composto in prevalenza da magistrati civili. Gli scontri degli ultimi giorni con il governo hanno fatto emergere per l’ennesima volta negli ultimi mesi la grande questione del contegno che un magistrato dovrebbe tenere e del rispetto che dovrebbe portargli il potere esecutivo.
Se il suo esprimersi pubblicamente, partecipando alla vita democratica, ne pregiudichi o meno la percezione di terzietà e imparzialità.
Le toghe conservatrici di Mi hanno sostenuto che le affermazioni critiche nei confronti del governo da parte del magistrato Marco Patarnello in una mail poi pubblicata dai giornali «impongono una riflessione», e che «essere e apparire indipendenti è la prima condizione di credibilità». Una sensibilità, questa, «condivisa da moltissimi colleghi». Spiegato da una fonte d’area: le esternazioni fuori misura ledono l’immagine della categoria, e oggi più che mai serve self-restraint.
Un modello, questo, «che è in linea con quello che vorrebbe l’attuale governo e sottinteso in tutte le sue iniziative di riforma», è la critica mossa da una fonte progressista.
La visione opposta – nelle corde dei gruppi progressisti e, al Csm, anche della parte indipendente dei togati – è quella di difendere il diritto dei magistrati di prendere posizione nella fase di formazione delle leggi, senza che questo debba implicare la rinuncia a svolgere le funzioni di giudice o astenersi dai processi in cui poi quelle leggi vengono applicate. In una parola, come viene sintetizzato da una fonte, «difendere l’autonomia del magistrato rispetto al profilo silenzioso auspicato dal governo».
Proprio questa diversa percezione dello standing della magistratura è ormai un elemento di confronto ineludibile anche al Csm, dove giacciono varie pratiche a tutela, che vanno dal diritto di esternazione a come regolare la presenza sui social delle toghe.
Questi tre punti di frizione e di confronto interno saranno inevitabilmente al centro del prossimo congresso dell’Anm, in cui a oggi la sensazione dei magistrati è che possa esserci una prevalenza di Mi, che anche al Csm due anni fa ha ottenuto la maggioranza relativa. Anche in quest’ottica, la quadra con Area sulla riforma del testo unico della dirigenza potrebbe essere segno degli equilibri che si stanno muovendo.
Una virata rispetto all’attuale presidenza di Area, però, sarebbe errato considerarla necessariamente un allineamento al governo. La volontà degli ultimi anni, infatti, è stata quella di arrivare a una giunta il più possibile unitaria tra gruppi associativi (almeno i maggiori), proprio per non prestare il fianco a strumentalizzazioni politiche.
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